Allo stesso tempo conforta incontrare persone che si dedicano totalmente a questi bambini, vedere realtà lontane dai vecchi orfanotrofi, posti che sembrano normalissime villette o casette dove ragazzi e bambini possono sentirsi accolti, amati e respirare aria di casa.
Una di queste case famiglia si chiama Il Tetto su Lungotevere Dante ed è una delle più antiche a Roma; nata nel 1953 sul grandissimo terreno donato dal noto costruttore Anzalone, ha accolto decine e decine di ragazzi in difficoltà e, per i ragazzi di 60 anni fa che continuano a vedersi di domenica con le loro proprie famiglie, ancora oggi c’è una piccola casetta chiamata lo chalet. Fa piacere vedere che l’impegno di 60 anni fa a favore di questi “bambini vinti” è servito a trasformarli in “vincitori”, vederli ora con le loro famiglie e la loro serenità.
Il Tetto che vediamo oggi ha riaperto le sue porte di casa da un anno circa, dopo una breve interruzione di 15 mesi, e accoglie un massimo di sei bambini di età tra sei e dodici anni.
“Siamo 8 in questo momento, perché abbiamo accolto due richieste di SOS per un breve periodo… lo so… non dovremo essere in otto, ma che fai… dici di no? Non abbiamo avuto il coraggio di rifiutarli, anche perché avremmo messo in difficoltà il municipio con il quale collaboriamo strettamente. Sono i municipi, tramite gli assistenti sociali, che ci segnalano i ragazzi che hanno bisogno di essere accolti” ci dice Daniele, uno degli educatori responsabili che vive nella casa e che fino ad un anno fa ha mandato avanti il progetto insieme ad altri tre professionisti (sociologi, educatori…) come volontario. Il Tetto si è evoluto nel modo di gestire la casa famiglia, si è un po’ allontanato dal semplice volontariato, anche se tuttora i volontari hanno un ruolo fondamentale. Viene seguito un vero e proprio progetto con la presenza di professionisti specializzati in questo campo. Per questo motivo accolgono principalmente bambini e non adolescenti perché le realtà e i bisogni sono molto differenti tra loro e, tendenzialmente, non vanno mescolate.
I volontari sostengono gli operatori nel loro lavoro e aiutano i ragazzi nel fare i compiti, passano il tempo libero con loro oppure si occupano di qualche accompagnamento.
Per Daniele è importante che non ci sia troppa alternanza di persone per evitare confusione nella gestione della vita quotidiana. Normalmente quando un bambino non ottiene una cosa dalla madre, farà un altro tentativo dal papà confidando nella sua mitezza e forse anche stanchezza. In una casa famiglia dove ci sono tanti bambini con richieste e tanti adulti presenti a turno è essenziale non avere troppe persone responsabili all’interno ed è anche molto importante tenere un diario della giornata sempre aggiornato. Solo così si può facilmente verificare quale linea di condotta è stata presa per una certa situazione e quindi quale strada percorrere.
Settimanalmente le tematiche relative ai bambini accolti vengono discusse durante la riunione di equipe educativa. Gli operatori ed educatori che vivono nella casa famiglia sono infatti regolarmente seguiti da psicoterapeuti, per poter mantenere una serenità interiore nella gestione di tutti casi difficili fortemente coinvolgenti.
Esiste una stretta collaborazione con un’organizzazione internazionale che manda ogni 6 mesi ragazzi e ragazze per svolgere il servizio civile nella casa famiglia.
La vita quotidiana del Tetto è organizzata in modo che assomigli il più possibile a una vita in famiglia e anche l’arredamento della casa è semplice e casalingo. La cucina non è enorme, stile mensa, ma una cucina accogliente dalle dimensioni medio/grandi dove si riesce a cucinare per una media di 15 persone. Nei weekend le persone presenti sono ancora di più, perché spesso i genitori dei minori, quando possono e vogliono, vengono a trovare i loro figli in casa famiglia. Questi incontri, dice Daniele, sono molto importanti per tutti: gli operatori si confrontano con i genitori sull’andamento dei figli, chiedono consigli e valutano insieme agli assistenti sociali eventuali cambiamenti che rendano possibile un reinserimento nelle proprie famiglie. Avendo uno spazio molto grande con un bellissimo giardino e campi intorno, il TETTO si presta molto per fare incontri, feste e grigliate e a volte anche i compagni di classe dei bambini ed altri amici esterni trovano un ottimo posto di aggregazione, gioco e svago. La casa famiglia si è fatta pian piano conoscere nel quartiere e si sono ormai creati stretti legami di amicizia con svariate famiglie del quartiere, della scuola…
Secondo Daniele la casa famiglia dovrebbe servire da “ponte” per i bambini e la permanenza non dovrebbe durare più di 2 o 3 anni, durante i quali viene fatto un progetto individuale per ogni utente che prevede l’insegnamento di regole da seguire, la cura di se stessi e nel quale, ove possibile, si lavora con l’intera famiglia. Non è previsto il rientro a casa per i fine settimana perché, purtroppo, risulta destabilizzante rispetto ai passi compiuti durante la settimana: i genitori che vengono nei fine settimana hanno comunque un ruolo attivo per i loro figli, cucinando per loro, partecipando alle riunioni e confrontandosi con gli educatori e operatori della casa famiglia e con gli assistenti sociali.
Huberta Pott, 2008
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.102