Santa pazienza! — diceva mia nonna — e la invocava proprio quando stava per perderla, quando gli altri argomenti erano esauriti e l’urlo o lo scapaccione sembravano inevitabili. Perché santa? Perché fa miracoli come i santi, o perché rende santo chi la esercita con fatica e costanza? Me lo chiedo ora avendo appena letto le riflessioni così vere e importanti di P. Petitclerc.
E chissà perché, quando Mariangela mi ha chiesto di ricordare qualche momento in cui esercitando questa virtù avrei ottenuto risultati insperati come insegnante o come amica dei ragazzi disabili, ho pensato, per prima cosa, quanta poca in realtà ne ho esercitata o, perlomeno, quanta in più ne avrei dovuta usare e, in secondo luogo ho pensato alla pazienza silenziosa, continua e spesso sottovalutata che esercitano invece loro, i nostri amici disabili.
Non voglio qui riferirmi alla quotidiana fatica per i ragazzi con difficoltà mentali e motorie, del crescere e dell’imparare ogni cosa nei primi anni di vita e in quelli della scuola primaria perché il discorso sarebbe troppo grande e complesso, ma a cose più semplici, ad esperienze che molti di loro affrontano sorridendo ogni giorno, a risultati che raggiungono a prezzo di impegno e costanza senza perdere fiducia e pazienza, appunto, godendo di quello che fanno e gratificando con la loro gioia chi li segue nel lavoro. Chiunque ha visto questi ragazzi con difficoltà diverse, imparare, per fare un esempio, a prendere le misure su un’asse di legno, piantare chiodi, usare tenaglie e cacciavite, colorare piccoli spazi e incollare con precisione listelli e strisce di stoffa per ottenere l’oggetto programmato, capisce subito cosa intendo dire. E anche chi ha visto una ragazzina colpita da lieve o grave spasticità lavorare a maglia o passare il filo e l’ago attraverso la larga trama del tessuto per ottenere un ricamo multicolore, anche lui sa di quanta santa, meravigliosa pazienza quella ragazzina ha bisogno!
E quanta pazienza, questi santi della pazienza, devono usare anche nei nostri confronti, verso di noi amici e educatori, verso le nostre goffaggini, i nostri malumori e le nostre impazienze, il nostro chiedere troppo e troppo in fretta, i nostri suggerimenti confusi, i nostri rimproveri fuori posto: quanto pazienza da parte loro, per continuare a rispettarci e a volerci bene.
Certo anche noi dobbiamo e sappiamo essere pazienti, anche dei pazienti fuori misura e siamo compensati, a volte, da alcune belle sorprese.
Quella maestra che — mi raccontava — ha tenuto un bambino in classe a “disegnare tondini” e basta per un anno intero, senza mai scoraggiarsi ma sostenendolo in ogni modo fino a quando, solo nell’anno successivo, a un tondino si è aggiunto un primo “codino” e poi “un braccino” e tutti quei tondini pian piano si sono trasformati in vocali e consonanti quella maestra appunto, ha vinto con la pazienza ma anche con l’intuito e dell’affetto.
Conosco una preside che per sistemare un suo ex alunno “difficile” ha scritto a duecento diverse cooperative agricole integrate e ne ha visitate finchè ha trovato quella giusta in tutti i sensi per il suo ragazzo. Ne ha seguito l’inserimento, ha assistito ad un suo primo fallimento e con santissima pazienza ha cercato un’altra situazione che finalmente si è rivelata quella giusta. E, ancora adesso “non molla” il suo lavoratore sempre un po’ refrattario: lo invita periodicamente a pranzo per redarguirlo o ascoltare le sue lamentele e non dimentica di tallonare i suoi datori di lavoro! Un’altra vittoria della pazienza? Sì, ma anche quanta grinta e quanta fiducia nella buona volontà della gente!
Un’ultima piccola storia. Nel laboratorio l’Alveare quando Elisabetta ha deciso di dirigere la commedia musicale “Maschere in piazza” ha affrontato un duro lavoro. Tutti noi, ragazzi e signore, eravamo ben al di sotto del compito che ci aspettava. Balli figurati, tanti movimenti di scena, dialoghi, canzoni, costumi a non finire. Con passione e tenacia, utilizzando inventiva, buon gusto, fantasia e amicizie preziose, tempo e abilità delle signore amiche, ha portato a termine il suo compito e ha ottenuto un piccolo trionfo per tutto l’Alveare e per i ragazzi, uno per uno, impegnati al meglio secondo le loro possibilità e caratteristiche, resi tutti belli ed eleganti dai costumi di scena. È stata pazienza? Sì, c’è voluta una grande pazienza di fondo, rafforzata dalle giuste impazienze verso le cose che non andavano o che potevano andare meglio. E’ stata vera pazienza, in lei che non era di natura paziente, ispirata e sostenuta dall’affetto che la legava ad Augusto, Cabiria, Carlo, Maria, Alvaro, Gianni, Annunziata, Giacomo e a tutti noi che non la dimenticheremo.
Maria Teresa Mazzarotto, 2007
Insegnante e madre di 5 figli. Ha collaborato con Ombre e Luci dal 1990 al 1997.
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.98
Sommario
Editoriale
Mamme coraggio e oltre di M. Bertolini
Articoli
Salvatore, medico pediatra, acondroplasico di S. Anastasi
Scheda informativa: Acondroplasia
La fattoria delle meraviglie di L. Nardini
La mia pazienza ha dei limiti di J. M. Peticlerc
Santa Pazienza di T. Cabras
Perché il dolore? Pensieri di F. R. Poleggi
L’abbraccio di Lorella di I. Perri
Dialogo aperto
Libri
1500 grammi di cenere, M. Aramini
Occhi d’oro, M.G. Marchesin
Nell'intimo delle madri, S. Marinopoulos
La luce e la letizia, C. Anedda
Il figlio terminale, G. Noia
Ho 12 anni faccio la cubista, M. L. Pijola
Lettera alla tua famiglia, V.Andreoli