Con la sua vita e il suo esempio, in un mondo di guerre e di competizioni, S. Francesco rifulse senza cercare di arricchirsi, di avere potere o di vincere. Rifulse per la sua umiltà e la sua povertà, per la sua vita semplice e vicina alla natura. Rifulse per la sua audacia rimanendo un uomo di pace. Rifulse vivendo con una comunità di “fratelli” e annunciando un nuovo modo di vivere.
S. Francesco sapeva che le sue comunità erano nate da Dio, erano condotte da Dio; che la vita dei suoi frati era una vita di relazione che trasformava i cuori e per questo diventava un segno per il mondo.
Anche noi, insieme, abbiamo scoperto che le comunità dell’Arca e di Fede e Luce sono nate da Dio e sono condotte da Dio; che sono luoghi di relazione, una relazione che ci trasforma e per questo vorrebbero essere un segno nel mondo.
Francesco era un giovane del suo tempo: amava la vita, amava guadagnare, spendere, far buoni affari. Gli piaceva ballare e fare follie. Desiderò essere un cavaliere e partecipò a una guerra: volle dimostrare le sue abilità militari combattendo contro i perugini che lo fecero prigioniero.
La società nella quale Francesco viveva era divisa fra ricchi e poveri, una minoranza che aveva troppo e una maggioranza che non aveva lo stretto necessario. C’erano soprattutto molti emarginati: lebbrosi che vivevano in villaggi di cui era vietato l’accesso. Si dice che in Europa, allora, ci fossero ventimila di questi villaggi.
Da quali avvenimenti il cuore di questo giovane fu trasformato e fu portato a fondare le sue comunità? La trasformazione avvenne poco per volta. Ci furono dapprima un incontro, poi una chiamata e infine la missione.
L’incontro
Ecco come Francesco racconta questo momento essenziale della sua vita nel testamento da lui scritto qualche mese prima della morte:
Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a fare penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. È di poi stetti un poco e uscii dal mondo.
In cosa consiste questa dolcezza, questa gioia di essere stato con i lebbrosi? Non è forse l’esperienza della realtà del Vangelo? L’esperienza di una trasformazione.
I lebbrosi non erano solo malati gravi, ma erano il simbolo di quanto vi fosse di più sporco, orrendo e rifiutabile nella società. Non stupisce che Francesco ne avesse orrore e non potesse nemmeno guardarli.
Ciò che la società del suo tempo voleva erano la ricchezza, la salute, la bellezza, la potenza, la fama, l’ammirazione: tutto l’opposto della sporcizia, dell’orrore, del lezzo dei lebbrosi. Francesco faceva parte di quella società.
Poi egli scoprì la verità del Vangelo: scoprì la persona amata da Dio nascosta dietro la lebbra. Allora il messaggio di Gesù gli apparve vero. Beati i poveri in spirito. I muri e i pregiudizi che chiudevano il cuore di Francesco e condizionavano le sue azioni caddero. Divenne libero. Non fu più schiavo di ciò che la società pensava e annunciava. Questa liberazione fu la gioia.
Molti di noi potrebbero ricordare il primo incontro con una persona emarginata, rifiutata, un “lebbroso” del nostro tempo, incontro che ha toccato e trasformato il cuore e che ci ha portati all’Arca o a Fede e Luce. Ci ha portati ad aprirci e alla generosità ben sapendo che la società rifiuta ed emargina le persone con un handicap nonostante gli sforzi e i miglioramenti conquistati.
La generosità è quando qualcuno di “superiore” si china verso qualcuno di “inferiore” per dargli i suoi beni e il suo sostegno. È’ una questione di potere. Il generoso conserva il controllo: dà ciò che vuole, quando e come vuole. C’è così una distanza fra chi dona e chi riceve.
La generosità,invece, dovrebbe condurre a un incontro: l’incontro con una persona debole. Tu mi racconti la tua storia. lo ti ascolto. Scopro il tuo nome, i tuoi doni, le tue sofferenze. Il mio cuore ne è toccato. Entro in una comunione di cuore con te. Divento vulnerabile nei tuoi confronti. Non c’è più superiore e inferiore. Siamo legati insieme, fratelli e sorelle nell’umanità. C’è un’alleanza fra noi. Il mio cuore si è trasformato. È questo un momento di meraviglia.
Non è ciò che è successo a Francesco? La sua visione del cuore si è cambiata. Ora per lui non è più importante essere l’élite, il migliore, il vincitore, avere potere e ricchezze anche se per fare il bene e essere generoso. L’importante è avere una relazione e un incontro veri con i poveri, vivere con loro come un povero, per il Regno di Dio, il regno dell’Amore
La chiamata di Gesù
Francesco allora cominciò una vita di preghiera e una vita vicina ai poveri e alle persone colpite dalla lebbra. Sul finire del 1206 Francesco si trovava nella chiesa di S. Damiano, una chiesa semidiroccata, che cadeva in rovina. Mentre pregava dinnanzi a un dipinto di Gesù crocifisso, gli sembrò che da quel dipinto Gesù gli parlasse:
“Francesco, ripara la mia casa che va in rovina.
In questo dipinto il corpo di Gesù appare di grande dolcezza, di grande serenità, di grande delicatezza. Non è il corpo di un uomo forte, di un duro, di un guerriero. E’ il corpo di colui che Giovanni Battista ha chiamato l’ “agnello di Dio”, un piccolo agnello.
Francesco prese alla lettera le parole di Gesù: avrebbe dovuto riparare la chiesa dissestata di S. Damiano. Per farlo, cercò denaro. Vendette i suoi vestiti, il cavallo, fece una questua e si mise al lavoro.
Però l’invito di Gesù aveva un significato molto più profondo: la Chiesa è la casa di Gesù e, a quell’epoca, la Chiesa era caduta in rovina. Molti vescovi, molti abati, molti sacerdoti vivevano una vita mondana, avevano molti beni, vestiti suntuosi e molti servitori, Era una Chiesa corrotta da scandali e, a causa del desiderio di ricchezza e di potere, molto lontana dal messaggio di Gesù.
Il papa Innocenzo III era cosciente della gravità di tale situazione. Nel 1215 convocò il IV Concilio Lateranense per riformare la Chiesa “deplorando — diceva — gli scandali che disonoravano il gregge di Cristo”.
Gesù aveva chiesto a Francesco di “ricostruire” la Chiesa. Queste parole di Gesù fanno eco alle parole di Dio riportate dal profeta Isaia al cap. 58:
“Condividere il pane con l’affamato, alloggiare i poveri senza tetto, vestire chi è nudo.
Allora la tua luce brillerà come l’aurora, la tua ferita presto si rimarginerà. Allora griderai e Yahvwé ti risponderà; chiamerai e ti dirà:”Eccomi”.
Se ti privi per l’affamato, se risollevi l’oppresso, la tua luce si alzerà nelle tenebre; sarai come un giardino innaffiato come una fonte zampillante le cui acque non si inaridiscono. Presso di te si ricostruiranno le antiche rovine …sarai chiamato Riparatore di brecce…”
Grazie al suo amore e all’amore che vivevano i suoi confratelli, Francesco avrebbe fatto più del Concilio per riformare la Chiesa. Avrebbe mostrato la vera strada verso il Regno di Dio, il Regno dell’Amore. Voleva che la Chiesa ritrovasse la sua bellezza originale, la bellezza delle Beatitudini.
Non siamo anche noi, all Arca e a Fede e Luce, chiamati da Dio per riparare le ferite del mondo, le separazioni fra potenti e deboli, fra gente in buona salute e persone colpite da un handicap; le divisioni fra religioni e fra le Chiese. Oggi Gesù ci dice: “Va, ripara la mia casa.” Non è questa la nostra vocazione? Come avvenne per Francesco anche per noi questo impegno sarà molto oneroso e richiederà molto tempo.
La missione
Ascoltando, probabilmente il 12 ottobre 1208, le parole di Gesù riportate nel Vangelo di Matteo, Francesco comprese qual’era la sua missione:
“Andate e annunciate ovunque che il Regno di Dio è vicino. Non portate con voi né oro né argento nelle vostre cinture né bisaccia per il cammino né due tuniche.” (Mt. 10)
Nell’ascoltare queste parole, Francesco provò la stessa gioia che aveva sperimentato nell’incontro con i lebbrosi. San Bonaventura, che ha scritto una vita di S. Francesco, riporta che il Santo, trasportato dalla gioia, esclamò: “Ecco ciò che voglio. Ecco ciò che desidero con tutto il cuore!”
I primi compagni seguirono Francesco perché sentirono questa gioia profonda permeare lo stile di vita semplice da lui proposta. Francesco non cercò fin dall’inizio, di aiutare i poveri; volle essere povero lui stesso, come il suo Maestro, Gesù. Non poteva annunciare la Buona Novella ai poveri e alle persone colpite dalla lebbra se lui e i suoi confratelli avessero continuato a vivere nell’agiatezza. Bisognava essere con loro. Sapeva bene che la sua trasformazione si era realizzata nel rapporto con loro. Essi erano e sono infatti segni della presenza di Dio sulla terra. Dio è vicino alle persone che la società rifiuta. Essere povero per Francesco è camminare sulle orme di Gesù, è vivere come è vissuto Gesù che si è spogliato di ogni forma di gloria ed è vissuto vicino ai lebbrosi, ai peccatori, alle prostitute.
Essere povero per Francesco è dipendere da un altro. È dipendere da Dio, anche nelle cose più essenziali per la vita. Se non si possiede nulla e se si ha una fiducia totale in Dio, non si ha bisogno di proteggersi o di proteggere i propri beni. Non si vive più di desideri frustrati ma si ha la gioia di avere tutto, perché Dio ci dà tutto.
La gioia di non avere nulla, di nulla possedere è una sfida dell’Amore. Se è Gesù che chiama i suoi discepoli ad essere poveri non è per esaltare la povertà ma per mostrare chiaramente che Gesù stesso si occuperà dei suoi amici. La povertà per Francesco è per l’amore, è un’esperienza di fiducia radicale e totale in Gesù. La gioia della povertà è la gioia dell’Amore.
Essere povero è una chiamata alla comunione, all’amicizia e all’amore perché se siamo insieme, come fratelli e sorelle che si amano realmente, abbiamo l’essenziale. L’amicizia e l’amore sono le ricchezze più grandi.
Essere povero per Francesco è anche identificarsi con i più poveri della società; è accettare di essere rifiutati con loro. Questa è la novità introdotta da Francesco. La Chiesa del suo tempo e forse quella di tutti i tempi voleva soccorrere i poveri, essere generosa, il che implica avere un certo potere. Come è possibile vivere con gli emarginati e gli esclusi? Come essere al servizio dei poveri? Francesco si sentiva chiamato a vivere come loro: era una forma particolare di spogliazione. Era troppo idealista? La strada per vivere il Vangelo deve passare attraverso gli studi e una particolare vita di disciplina o deve passare attraverso una vita con i poveri? Questo interrogativo fu alla base di incomprensioni con l’autorità ecclesiastica.
Essere povero per Francesco era altresì accettare le proprie povertà e debolezze, i propri handicap interiori. Si può accettare di stare con persone che hanno limiti e handicap visibili e irrimediabili senza accettare i nostri propri limiti e handicap invisibili all’esterno e irrimediabili?
Francesco volle essere un segno della verità del Vangelo, un segno che il mondo non è votato alla guerra e alle ingiustizie che provengono dal distacco fra ricchi e poveri. |
La pace e l’amore sono possibili, ci dice S. Francesco con la sua vita.
Questo testo è stato tratto — col permesso dell’autore — dalla “Veglia su S. Francesco” tenuta ad Assisi da Jean Vanier nel Maggio 2005 ai responsabili dell’Arca. Chi desiderasse avere il testo integrale, può rivolgersi a Ombre e Luci.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.100
Sommario
Editoriali
Una grande famiglia di M. Bertolini
Con tutto il cuore di M.H. Mathieu
Articoli
La grande famiglia
San Francesco, l'Arca e Fede e Luce di J.Vanier
Né lui né i suoi genitori di C. M. Martini
Dedicato alle namme e ai papà , di A. M. Cosmai
E se Gesù ci scrivesse oggi...
Maria: storia illustrata
Alla scoperta della redazione di Ombre e Luci! di C. Ventura
...e non siamo soli! di C. Ventura
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Una redazione... in condominio di M. e G. Rossi
Noi, dei piani di sopra di O. Gammarelli