Divenuti adolescenti (Carlo sempre più alto, più bello, più forte) non ho voluto dividerli anche se vedevo che la classe che frequentavano non era adatta ad Antonio, che cominciava a non seguire per niente certe materie nonostante il “doposcuola” generoso di Carlo. Mi sono detta: “Meglio che continuino insieme, perché così Antonio soffrirà di meno”. Però…
Antonio, crescendo, vedeva e capiva sempre di più quanto Carlo fosse bravo; come le ragazze gli stessero intorno; Antonio sentiva di non essere come lui; si rendeva conto, piano piano, di essere un mezzo fallito ma non ne parlava mai con nessuno. Si limitava a guardare con sempre maggior ammirazione il piccolo fratello divenuto più alto di lui di venti centimetri; con i capelli lunghi corvini tenuti insieme nel codino. Sorrideva alle “ragazze” di Carlo, forse pensava che una, magari la meno carina, avrebbe potuto un giorno chissà! chiedergli di uscire con lui.
Un giorno ci fu una festa di compagni di classe. Furono invitati insieme. Carlo, pieno di gentilezza come al solito, si trascinò dietro il fratello che, come al solito, era più che mai silenzioso e intimidito, no anzi, impaurito. Gli diceva: “vedrai sarà la volta buona, troverai la tua ragazza!”.
Antonio rimase per tutto il tempo della festa vicino al buffet; con gli occhi imbambolati e desiderosi fissava senza tregua la compagna che gli piaceva da sempre, alla quale avrebbe voluto dire tante cose senza mai riuscirci, e con la quale — era sicuro — sarebbe stato tutto diverso per lui…
Ormai tutti ballavano, c’era un po’ di confusione: nessuno faceva caso ad Antonio, fermo lì al buffet, con lo sguardo fisso sulla sua “innamorata”.
Ad un certo punto la vide andare vicino a Carlo, avvicinarglisi, dicendo ad alta voce in modo che anche lui sentisse: “Senti un po’, Carlo, non puoi dire a quel ritardato di tuo fratello di togliermi gli occhi di dosso?”.
E fu il precipizio. Antonio da quel giorno non parlò più.
Non volle più andare scuola. Rimaneva sdraiato sul letto per tutta la giornata a guardare il soffitto. A nulla valsero le sollecitazioni di Carlo e dei genitori. Nessuno di loro fu in grado di capire quello che nel suo cuore era accaduto. Più tardi, nonostante i tentativi messi in atto, fu dichiarato “malato psichico”, una parola che lui non capì mai.
Mariangela Bertolini, 2006
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.93
Sommario
Editoriale
La forza della tenerezza di M. Bertolini
La forza della tenerezza
L’incanto si è rotto di M. Bertolini
Le mollette di Roberto di Roberto e Valeria M.
La ragazzina nuova di T. Cabras
Dalle un bacio di V. S.
In carcere di J. Vanier
Pizza, supplì e bibita a 7 euro di M. B.
La tenerezza di Dio di L. Nardini
Altri articoli
Questo bambino lo amo! di I. de Mézerac
Counseling in rima di A. Bianchi
La malattia e la fede di F. Bertolini
Scheda: Il Parkinson di V. Levi della Vida
Gli amici che non ti aspetti di Monica
Cartelli letti alle porte delle chiese
Libri
Né giusto né sbagliato, P. Collins
Credere e curare, I. R. Marino
La disabilità non è un limite, AA. VV.
Il Vangelo per tutti i disabili mentali
Dopo di noi, insieme a noi, F. Belletti
Gli oggetti raccontano storie straordinarie di oggetti comuni, S. Tamberi