Quando vado in una prigione parlo spesso della storia delle persone della mia comunità perché so che, per certi versi, è anche la storia di quelli che in quel momento ho davanti: una storia di rifiuto, di insicurezza, di fallimenti e di dolore.
Stavo dando le ultime risposte alle loro domande quando uno si alza, comincia ad urlare: “Tu…tu hai avuto una vita facile, non puoi capire quello che noi abbiamo vissuto. A quattro anni vidi violentare mia madre sotto i miei occhi, a sette, mio padre mi vendette ad alcuni omosessuali, a tredici la polizia cominciò a venirmi a cercare… Se qualcuno verrà ancora in questa prigione a parlarci di amore, giuro che gli spaccherò la testa a calci”.
Io l’ascoltavo senza saper cosa dire: mi aveva messo con le spalle al muro…Pregavo. Poi gli dissi: “E vero, ho avuto una vita facile; è vero, non conosco la vostra vita, ma quel che so è che ciò che tu hai appena detto è molto importante, perché noi, là fuori, troppo spesso vi giudichiamo senza sapere niente delle vostre sofferenze, della vostra storia, della vostra infanzia. Mi permetti di dire a quelli là fuori quello che mi hai detto oggi?” Acconsentiì.
Aggiunsi allora: “Veramente anche voi avete delle cose da dire a noi che siamo fuori; ma un giorno uscirete di qui perciò anche voi forse avete bisogno di sentire certe storie”. Poi gli chiesi se potevo ripassare dalla prigione quando mi trovassi di nuovo da quelle parti e disse di sì. Finita la conferenza, andai da lui. Gli strinsi la mano, gli chiese come si chiamasse e di dove fosse. Mi venne d’un tratto l’ispirazione di chiedergli se fosse sposato e siccome rispose di sì, gli dissi: “Parlami di tua moglie”.
Allora quell’uomo pieno di violenza e di odio dentro di sé, cominciò a piangere: fra le lacrime mi parlò di sua moglie: era su una sedia a rotelle, viveva a Montréal e da due anni non l’aveva più vista.
Avevo davanti a me un bambino che piangeva, assetato di tenerezza, un uomo di immensa vulnerabilità. Parlando di amore, comunione, tenerezza — di tutto ciò egli era stato privato — avevo riaperto le sue ferite e questo non riusciva a sopportarlo.
Mi insegnò che non sempre la fonte delle lacrime e della violenza è l’orgoglio o l’avidità o il timore di non avere il necessario…ma è qualcosa di più profondo: è difendersi dall’insopportabile, è proteggersi dalla propria vulnerabilità. Dalla propria paura di soffrire.
E questo Dio lo sa.
Jean Vanier , 2006
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.93
Sommario
Editoriale
La forza della tenerezza di M. Bertolini
La forza della tenerezza
L’incanto si è rotto di M. Bertolini
Le mollette di Roberto di Roberto e Valeria M.
La ragazzina nuova di T. Cabras
Dalle un bacio di V. S.
In carcere di J. Vanier
Pizza, supplì e bibita a 7 euro di M. B.
La tenerezza di Dio di L. Nardini
Altri articoli
Questo bambino lo amo! di I. de Mézerac
Counseling in rima di A. Bianchi
La malattia e la fede di F. Bertolini
Scheda: Il Parkinson di V. Levi della Vida
Gli amici che non ti aspetti di Monica
Cartelli letti alle porte delle chiese
Libri
Né giusto né sbagliato, P. Collins
Credere e curare, I. R. Marino
La disabilità non è un limite, AA. VV.
Il Vangelo per tutti i disabili mentali
Dopo di noi, insieme a noi, F. Belletti
Gli oggetti raccontano storie straordinarie di oggetti comuni, S. Tamberi