Mio figlio si rende conto del suo handicap? Devo parlargliene?

Fin dall’inizio della sua vita, il bambino poco per volta si rende conto della sua differenza. Se la mamma ha avuto una diagnosi prenatale, è probabile che il bambino in utero sia stato avvolto da uno stato di ansia. È un po’ come se perdesse la sua identità di bambino a vantaggio di uno statuto mal definito, designato con parole più o meno dotte come “mongolismo”, “sindrome di Down”, “trisomia 21”. Il bambino è oggetto di analisi, di sguardi inquisitori dove spesso non c’è posto per la tenerezza. Egli è lì presente quando si evoca la possibilità di abbandonarlo, di rinunciare al suo riconoscimento come figlio.

Alla nascita avverte le emozioni del papà e della mamma, le loro inquietudini, esitazioni, le paure per l’avvenire… Poco a poco si accorge delle sue difficoltà rispetto agli altri bambini. Soffre anche per lo sfalsamento fra quello che fa e quello che ci si aspetta da lui. Lungo tutta la sua vita, lo sguardo degli altri in difetto o in eccesso sarà per lui un’esperienza traumatica. Deve adattarsi a questi sguardi maldestri di fuga o di paura, d’infantilizzazione o di compassione.

Parlare con lui quindi della sua sindrome, lo aiuta a prenderne coscienza e ad accettarla. È molto importante cominciare, fin da subito, a spiegargli con parole semplici la sua identità e filiazione, ma anche i limiti e le costrizioni imposte dalla sua condizione. Certo all’inizio non capirà il significato delle parole ma sarà sensibile al tono della voce, alla tenerezza e al rispetto con cui sono dette. Poco importa se queste parole saranno accompagnate da qualche lacrima, dal momento che lui si sente amato così com’è. Il bambino deve prendere l’abitudine di sentir parlare della sua disabilità. Da evitare ad ogni costo la rivelazione, spesso brutale, fatta da un terzo, sconosciuto, senza uno sguardo o una replica possibili. Quella rivelazione che deve invece essere fatta progressivamente nella quotidianità della vita familiare.

Parliamogli con parole nostre, quelle che vengono dal cuore. Parole che lo aiutano a capire che è riconosciuto così com’è, che non è solo lui solo ad avere differenze, paure, frustrazioni e che può contare sull’aiuto degli altri.

Un giorno forse sarà lui stesso a far domande sull’origine della trisomia 21 o delle sue difficoltà. Non evitiamo tali domande. Parliamo anche delle emozioni che queste suscitano. Medici e psicologi esperti nel campo, possono aiutare ad affrontare questi temi. Spieghiamogli che lui ha il suo posto, come gli altri, in famiglia, in classe, nelle società, e che non è prima di tutto un down, ma una persona unica con le sue difficoltà e difetti.

Come aiutare mio figlio ad accettare meglio la sua condizione?

Parlare al vostro bambino della sindrome Down, lo aiuta a conoscersi e ed accettarsi com’è, a fargli capire che il dialogo è possibile e che non è vergogna parlarne. È importante per lui sapere che voi siete disponibili per discutere della sua condizione o per trovare buoni interlocutori al momento desiderato.

Del resto, è lungo e difficile ma essenziale che voi stessi accettiate lo stato di vostro figlio. Infatti, più chi gli è vicino accetta il suo handicap e le varie difficoltà da questo generate, più la persona down è capace di accettare se stesso.

Scopriamo questo bambino per come è. Valorizziamo i suoi progressi e incoraggiamolo. Non bisogna né nascondere le sue difficoltà, né sopravvalutarlo, ma spiegare bene i limiti, di mettere al primo posto i punti positivi che possono aiutarlo ad avanzare.

Mio figlio potrà prendere la patente di guida? Guidare la macchina o il motorino?

Purtroppo no, patente di guida (automobili o moto) non è pensabile. Infatti, anche se si tratta di un giovane dal comportamento abituale molto ragionevole, una persona down non può far fronte ad un’evenienza imprevista.

È questa una realtà difficile da accettare, soprattutto per i maschi, ma la sicurezza del giovane — come quella di tutti coloro che guidano un mezzo — sarebbe troppo compromessa.

Potrà sposarsi, avere figli?

Il matrimonio è legalmente possibile, a meno che la persona non sia sotto tutela, e rappresenta un sogno per molti di loro ma è un impegno che pochi possono assumere.

Il giovane down non può avere figli a causa di una infertilità quasi costante. La giovane down può essere feconda anche se la maternità non è per lei auspicabile per molte ragioni. La giovane madre non può assumere le cure e l’educazione del figlio e — se dovesse accadere — rischia di esserne molto perturbata. I genitori, spesso anziani, rischiano di avere la responsabilità oltre che della figlia, anche del bambino. Inoltre, il figlio rischia di avere la sindrome della madre e l’handicap del padre se anche questo è disabile.

Bisogna dunque accettare e far capire alla giovane che, come molte altre donne, la sua vocazione nella vita è di far molte cose belle, ma non d’avere un figlio. Questo non le impedirà di avere una vita piena e riuscita. I genitori possono citarle persone non sposate, alle quali la giovane sarà fiera di identificarsi.

Come aiutare mio figlio a vivere la pubertà e la sessualità?

Il ragazzo o la ragazza al momento dell’adolescenza, a poi all’età adulta, ha — come ogni giovane — un’affettività che sboccia ma che è per lui più difficile da controllare. È spesso molto, troppo espansivo nell’esprimere i sentimenti. I genitori devono presto insegnarli che se amare l’altro è una cosa meravigliosa, certi gesti appartengono alla vita personale e non si fanno in pubblico; che non è bene abbracciare o stringere fra le braccia chiunque si incontri e che amicizia o amore presuppongono il rispetto reciproco.

L’adolescente deve imparare che il suo corpo gli appartiene, che nessuno può toccarlo senza il suo consenso: “non lo fai se non lo vuoi”.

Le pene d’amore sono a volte profonde e dolorose, difficili da riconoscere perché il giovane non le esprime chiaramente. Possono essere rivelate da una tristezza insolita o da un diverso modo di comportarsi.

Nelle ragazze, l’espressione dell’affettività non si traduce sempre con la ricerca di una vita sessuale vera e propria. Tenersi per mano, baciarsi e abbracciarsi rappresenta spesso l’ideale. Se avvengono dei rapporti, non sono sempre soddisfacenti, a volte sono vissuti male, perché ciò che si vede alla televisione o al cinema è molto diverso da ciò che si vive nella realtà.

I ragazzi anche loro non sempre richiedono una attività sessuale vera e propria. L’importanza delle discussioni in materia da parte della famiglia, medico, psicologo, educatore, non è meno grande. Certo, ogni persona è unica e non ci sono ricette fatte. Bisogna parlare della pubertà all’adolescente prima che questa inizi. Se c’è un fratello o una sorella più grandi, è piacevole e rassicurante diventare come lui o come lei. In generale diventare “grande” è molto valorizzante. In ogni caso, sia per i giovani che per i loro genitori, è utile un incontro con un medico o una ginecologa (per le ragazze) che abbiano pratica della sindrome Down. Gli argomenti relativi alla pubertà e alla sessualità sono spesso difficili da affrontare con tutti gli adolescenti, down o meno.

Traduzione M.B.

Nel prossimo numero: Alzheimer: anziani divenuti disabili, il mondo che li circonda e si prende cura di loro.

Un sostegno per i bambini

L’indennità di accompagnamento, che viene corrisposta a coloro che non siano in grado di camminare senza l’aiuto di un accompagnatore o che abbiano necessità di assistenza continua per svolgere le attività quotidiane (per mangiare, per vestirsi…), può essere riconosciuta anche a bambini di tenera età. E vero che questi ultimi. per il solo fatto di essere molto piccoli, richiedono comunque continua assi stenza, tuttavia vi possono essere situazioni di patologia tali da richiedere un’assistenza diversa e più impegnativa, sia nei tempi sia nei modi, rispetto a quella necessaria per accudire un bambino sano. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza n. 11.525 del 17 maggio scorso.

(da Famiglia Cristiana n. 39/2006)

Domande sulle persone Down ultima modifica: 2006-09-27T15:08:29+00:00 da Redazione

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