Non c’era allora nessun centro per Francesco e così l’abbiamo sempre tenuto in casa. La vita era scandita da notti spezzettate e da pasti omerici. Non avremmo potuto resistere a questa usura quotidiana se ogni estate i nonni non lo avessero preso per qualche giorno permettendoci così di evadere, viaggiare, ritrovare il sonno e delle vere vacanze.
In questo compito i nostri genitori erano aiutati e sostituiti da uno o l’altro dei nostri fratelli o sorelle, ma non da tutti: le reazioni sono molto diverse nelle famiglie numerose come la nostra.
Per esempio, dei cugini non tanto vicini con i quali avevamo poche occasioni d’incontro, ci hanno offerto un aiuto inatteso. Due di loro ci hanno ospitato a Parigi per le operazioni chirurgiche di Francesco, ci hanno accompagnato all’ospedale… Altri ci hanno accolto nella loro casa di campagna e si sono sempre interessati dei progressi di nostro figlio.
Il tempo aiuta a capire meglio
A parte dunque i nostri genitori e qualche fratello o sorella, l’atteggiamento della cerchia famigliare ci ha, a volte, fortemente sconcertati. Eravamo, allora, sotto lo choc della prova e non capivamo i motivi di reazioni così diverse fra loro. Ci aspettavamo che tutti avessero nei confronti di Francesco un comportamento simile al nostro: che condividessero le nostre speranze un po’ folli e i nostri scoraggiamenti; che avessero, almeno in apparenza, interesse a quella lotta quotidiana di tutti i minuti.
Oggi, a distanza, capiamo meglio, anche se non sempre accettiamo, le ragioni della indifferenza apparente di alcuni nostri vicini nei confronti di Francesco. Abbiamo capito che la sofferenza patita da un bambino, dai suoi genitori, fratelli e sorelle, modifica spesso l’atteggiamento degli altri nei loro confronti. Avvicina o fa fuggire, operando una sorta di ridistribuzione delle amicizie e dei rapporti famigliari. Le simpatie superficiali sono vagliate al fuoco della prova. Alcune resistono, si arricchiscono e si trasformano in vera amicizia. Altre relazioni si creano, nate dalla solidarietà di chi soffre o di chi lotta. Si rivelano anche quelli la cui qualità d’animo permette di avvicinare e di aiutare chi è vicino quando si trova nell’angoscia o nella rivolta. La prova ci ha fatto vivere i rapporti umani in un nuovo clima, più rude, ma anche più vero.
Abbiamo il diritto di giudicare?
Questa verità sulle persone ci ha spesso indotti a giudicare. Per noi, chi non era con Francesco era contro di noi. Chi tra fratelli, sorelle, zii o nipoti non gli diceva “buongiorno” o “arrivederci”, era classificato come ostile o irrecuperabile. Lanciati come eravamo nella lotta per l’educazione di Francesco, non avevamo né il tempo né la preoccupazione di trascinare con noi gli indifferenti. “Chi mi ama mi segua…” e gli altri erano lasciati al margine della strada. Ma, quelli che scartavamo, avevano veramente il cuore così arido? Col tempo abbiamo constatato che alcuni di loro manifestavano una vera timidezza, non sapendo come fare per manifestare la loro simpatia. Altri ci trovavano troppo concentrati sulle difficoltà di Francesco, troppo egocentrici, troppo induriti dalla lotta. Non eravamo in grado di ascoltare i loro problemi così importanti per loro, per noi minimi.
È tempo per un nostro esame di coscienza
Forse, non siamo stati proprio noi a creare buona parte di quelle incomprensioni, di quelle indifferenze apparenti che ci hanno così ferito?
Non abbiamo troppo spesso fatto sentire all’uno o all’altro che le loro lamentele erano molto relative rispetto alle nostre pene?
E ancora oggi, se qualcuno sembra non interessarsi a Francesco, non mettiamo tutto il nostro amor proprio per non parlare di lui noi per primi? Non costruiamo così facendo la nostra parte di muro che fratelli o sorelle non osano più oltrepassare? Con la nostra intransigenza, non scartiamo quel giovane, cugino o cugina che potrebbe aiutare Francesco, essergli vicino?
Aprire un cerchio d’amore
Come comportarsi quindi con i parenti, gli amici?
Non esiste una ricetta.
Bisogna riconoscere che durante la prima fase della prova, quando i genitori di bambini disabili sono sotto lo choc iniziale e presi dalla spontanea rivolta, è per loro molto difficile prendere le distanze. Ma, una volta superato il “nocciolo duro” della rivolta e della disperazione, tocca a loro prendersi per mano perché la famiglia non si chiuda in sé stessa, per diventare dei testimoni accoglienti non persone che allontanano.
Proprio la loro esperienza di sofferenza e di vita quotidiana eccezionalmente difficile può aiutarli. Se essa non si irrigidisce ma si lascia portare dallo Spirito, può trasformarsi in intelligenza del cuore. Sapranno allora spontaneamente come reagire con ciascuno. Potranno dare notizie del proprio figlio disabile con la stessa naturalezza che usano per gli altri figli. Parleranno dei suoi progressi con lo stesso piacere con cui comunicano i successi di studio degli altri figli. Sapranno, senza nascondere le difficoltà e gli insuccessi, comunicare ai parenti i piccoli passi così esaltanti della personalità in crescita del figlio disabile. Faranno scoprire, poco per volta, ai fratelli e sorelle, zii e cugini, la ricchezza della persona che si nasconde dietro l’handicap. Nelle varie occasioni sapranno insegnare — senza aver l’aria di imporsi — come comunicare con lui, come salutarlo, quali gesti usare… Pian piano sapranno svelare non con teorie ma con un contatto vivo, che la ricchezza delle persone non si riduce all’apparenza; che le persone anche le più disabili, attraverso quel cerchio d’amore che sanno creare attorno a sé, possono diventare fonti intense di luce umana e spirituale.
Jacques Labrousse, 2005
(da O.L. n. 154)
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.95
Sommario
Editoriale
Irradiare la pace come fanno “loro” di M. Bertolini
Articoli
Se avessi ascoltato la mia disperazione?! di A. Manfucci
E ho ripensato tutto! di C. Vigli
Bambini e autismo: Mosaico della pace
Domande sulle persone Down
Come reagire all’indifferenza di chi è vicino di J. Labrousse
Il mio primo campo di F. Atlante
“Hola Madrid!” di L. Nardini
Teorie comportamentali: TEACCH vs ABA di M. Pilone
Rubriche
Libri
E li chiamano disabili, Candido Cannavò
Mio figlio mi divora, Lilyane Nemet-Pier
Donne nel respiro di Ruàh, Silvio Mengotto
Obiettivo decrescita, Marco Bonaiuti
Il barattolo di maionese e caffé