In questo periodo di otto anni, a cadenza di qualche mese, l’Autore annota eventi della sua vita segnata dalla malattia, affidando al diario espressioni della sua esperienza interiore umana, spirituale e, soprattutto, sacerdotale. Come conciliare le parole della Scrittura, secondo cui la forza di Dio si manifesta proprio nella debolezza, con la concreta esperienza del servo inutile, con l’abbandono progressivo dei compiti del ministero sacerdotale, con la perdita irrimediabile del senso di ogni cosa?
A un ritiro di sacerdoti, incaricato di introdurlo, sceglie le parole di S. Paolo su quei deboli scelti da Dio per confondere i forti. Durante l’esposizione “la parola incespicava … il pensiero si smarriva … il fiato mancava”. Non conosce la reazione degli altri sacerdoti, ma alcuni segnali gli “sembrano eloquenti”. Vive nella carne lo scandalo che desta la debolezza mentre meditano l’insegnamento circa la sua potenza.
L’Autore non perde mai di vista la vita reale, non sovrappone mai la propria angoscia o, al contrario, l’esaltazione ai suoi sentimenti veri: il rifiuto del male “che tale comunque resta”, la percezione acuta del “mio niente. Inconsistenza. Impotenza. Sconcerto”; l’umiliazione per la grave difficoltà a parlare durante l’omelia.
La fede “non toglie la sofferenza, non è una sorta di analgesico spirituale: la sofferenza resta con tutta la sua pesantezza”. Ma la fede dell’autore è anch’essa vera, e genera una domanda continua di senso che corre lungo tutte le pagine del diario. “La piccolezza” reale, o totale insignificanZa … per essere assunta positivamente … esige un intervento assoluto della grazia”.
Con questo riconoscimento della incapacità assoluta dell’uomo di uscire da solo dalla prigione della sua situazione mortale, e con la fiducia che tanto può la grazia di Cristo, si chiude il diario.
Segue una serie di poesie. Una delle più toccanti rievoca la figura del padre, morto in un bombardamento aereo quando l’Autore era ancora un bambino.
“E tuttavia non immagine di morte di te mi resta, Padre, ma … il disteso tuo silenzio colmo, a tavola, di pace, l’approdo rassicurante delle tue ginocchia quando dal lavoro rientravi stanco; lo stupore per nuovi piccoli lembi di mondo scoperti dalla canna della tua bicicletta”.
Il lettore non può non collegare questi ricordi d’amore del bambino che fu l’Autore del diario con la sua richiesta di sapersi lasciare andare all’abbandono fiducioso e filiale all’amore di Dio.
Francesco Bertolini, 2006
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.93
Sommario
Editoriale
La forza della tenerezza di M. Bertolini
La forza della tenerezza
L’incanto si è rotto di M. Bertolini
Le mollette di Roberto di Roberto e Valeria M.
La ragazzina nuova di T. Cabras
Dalle un bacio di V. S.
In carcere di J. Vanier
Pizza, supplì e bibita a 7 euro di M. B.
La tenerezza di Dio di L. Nardini
Altri articoli
Questo bambino lo amo! di I. de Mézerac
Counseling in rima di A. Bianchi
La malattia e la fede di F. Bertolini
Scheda: Il Parkinson di V. Levi della Vida
Gli amici che non ti aspetti di Monica
Cartelli letti alle porte delle chiese
Libri
Né giusto né sbagliato, P. Collins
Credere e curare, I. R. Marino
La disabilità non è un limite, AA. VV.
Il Vangelo per tutti i disabili mentali
Dopo di noi, insieme a noi, F. Belletti
Gli oggetti raccontano storie straordinarie di oggetti comuni, S. Tamberi