“Dopo che è nata Valeria mi sono detto: ma è così facile fare il padre?”. Prima infatti per Antonio Bini, 53 anni, di Monopoli, era stato difficile, molto difficile. Prima vuol dire Anita. Anita ha 20 anni, quattro più della sorella Valeria. A causa di un’asfissia al momento del parto è affetta da un ritardo psicomotorio piuttosto grave, ha frequentato la scuola pubblica solo fino alla quinta elementare e sempre controvoglia per l’impossibilità di adattarsi ad orari e disciplina. “Il rapporto con la scuola è per me una ferita ancora aperta – racconta il papà – alle elementari il problema principale era l’orario d’ingresso. Anita non sopporta di alzarsi presto, perciò avevo proposto al suo medico di chiedere al direttore della scuola il permesso di farla entrare più tardi. Il medico ha risposto che Anita doveva abituarsi a fare come gli altri e le cose sono andate sempre peggio. Resto convinto che un tentativo si poteva fare”.
Tutta la vita di Antonio è un tentativo di far stare meglio Anita. “Oggi per me il problema non è l’handicap di mia figlia perché quello l’ho accettato. E anzi noi siamo stato fortunati perché la scoperta del suo problema è stata graduale, non abbiamo avuto lo choc improvviso che hanno ad esempio i genitori dei bambini Down. Ma a volte mi prende lo sconforto quando cerco di uscire con Anita, vedere gente, fare cose, insomma avere una vita normale e lei non vuole. Se dice no è no. Allora mi viene di pensare che il problema non è l’handicap, ma il suo essere pigra, abulica”. Insomma Anita fa le cose che le va di fare e solo quelle. Suo padre invece le fa tutte. “Quando hai un problema come quello che ho io, lo cancelli dalla mente e ti butti nelle cose da fare”. La famiglia di Antonio anima l’oratorio della parrocchia (e questa è una di quelle cose che anche Anita fa volentieri). Oltre a questo il papà si è buttato a capofitto in un’associazione che si chiama “Per loro” e gestirà lo sportello informativo sull’handicap al Comune di Monopoli. “I genitori hanno bisogno di aiuto ma non devono aspettare che piova dal cielo, devono andarselo a cercare facendo valere i propri diritti. Le leggi ci sono ma per farle rispettare bisogna darsi da fare, e molto”. Antonio ci tiene molto che passi questo appello alla mobilitazione comune dei genitori. “Sono così tanti in Italia le mamme e i papà di persone handicappate che forse potrebbero fondare un partito politico e mandare qualcuno in Parlamento!”.
Questo modo di essere padre tutto proiettato sul fare, sul partecipare, sul prendere la parola, quest’ansia di padre-cittadino che vuole che a sua figlia non manchi nulla di ciò che una società civile può riservare a una persona svantaggiata, a volte paradossalmente si risolve nella necessità di stare lontani da casa – e quindi da Anita – più tempo del necessario. “Io non ho nessuno svago per me – dice Antonio – perché l’associazione mi prende molto tempo e a volte mia moglie me lo rimprovera”. Lui sa che il peso della famiglia ricade per la maggior parte sulla mamma. “Quando riusciamo ad essere in due e Anita non vuole uscire di casa, uno va e l’altro resta. Ma quando mia moglie è sola, come spesso accade, e Anita fa resistenza diventa un dramma uscire. E questo dramma è tutto e sempre di mia moglie”. La conversazione con Antonio finisce qui. Deve andare. Ha una riunione importante e non può mancare.
di Vito Giannulo, Ombre e Luci n.92, 2005
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