Daniele è un bellissimo ragazzo di 14 anni con grave ritardo delle acquisizioni e autismo. Non parla e apparentemente non reagisce a stimoli esterni anche se in certi momenti apprezza molto le coccole da parte dei genitori e degli amici. Ha un modo tutto suo per comunicare e farsi capire che va imparato e interpretato da chi gli sta vicino.

Daniele a 15 mesi ha iniziato a perdere tutto quello che fino a quel momento aveva imparato e a 3 anni ha cominciato la sua esperienza di inserimento nelle scuole pubbliche con una insegnante di sostegno e un assistente comunale (AEC) che pensava ai cambi dei pannolini e che imboccava Daniele. L’insegnate di sostegno e l’assistente comunale erano presenti massimo 2 ore al giorno ciascuno. Anna Maria, la sua mamma si fa portavoce di Daniele per condividere la sua esperienza di un ragazzo con grave handicap inserito nelle scuole pubbliche.

Tutto sommato l’asilo per Daniele fu un esperienza positiva anche perché ancora non c’era la pressione della “didattica” e anche la socializzazione con gli altri bambini fu relativamente facile. I problemi cominciano per Daniele e per tutta la sua famiglia (ci sono altri 3 fratelli) con l’inizio della scuola elementare statale, un circolo Montessori. Sicuramente il materiale usato dalle scuole Montessori aiuta moltissimo nella didattica, perché si tratta di un materiale che rende più percepibile l’attività dei sensi. Vengono infatti utilizzati per esempio degli strumenti musicali per incentivare l’udito oppure oggetti morbidi per toccare…

Bambini come Daniele non possono seguire la lezione normale: loro hanno bisogno di un lavoro individualizzato. L’integrazione deve essere utilizzata e vissuta in modo diverso. Non serve a niente se i ragazzi come Daniele passano la maggior parte del loro tempo nei corridoi con gli insegnanti del sostegno oppure con il bidello. Spesso le insegnanti di ruolo non desiderano la presenza dei ragazzi nella classe perché temono che ci possa essere troppo disturbo e temono reazioni dei genitori di bambini “sani”.

Qui Anna Maria tocca un tasto importante, sostenendo che spesso il sostegno servirebbe più ai genitori di figli sani che ai ragazzi come Daniele. Sono i genitori che andrebbero preparati meglio alla presenza di un bambino con problemi in classe. Spesso l’ignoranza e la paura delle cose sconosciute da parte dei genitori, fuori dagli schemi abituali, portano ad atteggiamenti e mosse che feriscono profondamente i ragazzi disabili e le loro famiglie.

La conoscenza più profonda di Daniele aiuta la sua integrazione in classe, con i compagni… Un bambino che passa la maggior parte della giornata nei corridoi non è considerato parte della classe, perché fisicamente non c’è. E questo ha una serie di conseguenze negative per Daniele — non lo invitano sempre alle feste di classe, non partecipa alle recite e ai saggi e non fa gite scolastiche con i compagni.

Per Daniele il III anno di elementare è stato l’anno peggiore e lo ha dimostrato molto vivacemente, perché non voleva proprio entrare nella scuola e si buttava per terra. Aveva anche ripreso un vecchio vizio, cioè di mettere in bocca tutto quello che trovava in giro. Anna Maria non poteva contare sulla collaborazione degli insegnanti per capire i motivi di questo disagio, ma spesso i bambini le raccontavano quel che succedeva in classe.

Solo molto tardi la sua mamma aveva capito che il problema era una sorta di gelosia da parte di un altro ragazzo con difficoltà più lievi. L’insegnante di sostegno aveva deciso di “razionalizzare” il suo tempo e lavoro e applicava lo stesso metodo di insegnamento per tutti e due ragazzi. Per Daniele era impossibile seguire e a Pietro veniva tolto del tempo prezioso.

Fu questo l’ultimo anno per Daniele in questa scuola (aveva 12 anni) perché era arrivata una chiamata provvidenziale da parte della psicologa di Anni Verdi la quale si era resa conto che l’inserimento scolastico così impostato non dava nessun risultato. A Daniele fu così offerto un inserimento in una scuola, sì pubblica con integrazione, ma allo stesso tempo una scuola speciale, più adatta a lui, con un programma quasi su misura per lui, con insegnanti di sostegno che fanno questo lavoro per convinzione e vocazione e non per disperazione in attesa di un posto fisso come insegnante di ruolo.

Huberta Pott, 2005

Integrazione scolastica: il sostegno serve ai genitori dei ragazzi “sani” ultima modifica: 2005-09-19T14:59:32+00:00 da Ilaria Pennacchini

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