Scritto nel 1947 in occasione della discussione sull’art. 218 del codice penale tedesco in materia di aborto, questo breve saggio di Romano Guardini colpisce per la sua lucidità e, soprattutto, per la sua preveggenza. Con una pacatezza inusuale in scritti relativi a questi temi e senza mai ricorrere ad argomenti religiosi, il filosofo affronta questioni, come il problema dell’uso dell’embrione, che a noi parrebbero emersi solo a seguito delle recenti tecniche di procreazione assistita.

A suo avviso, ed è la questione di fondo, esiste un’insanabile contrapposizione tra la moderna concezione dell’uomo “quale unico responsabile e padrone della propria esistenza”, e “il senso prima vivissimo della fondamentale intangibilità della vita umana”. La tentazione diffusa è infatti quella di leggere questioni come l’aborto, la selezione degli embrioni e il loro utilizzo a fini di ricerca come mere decisioni individuali.

Inequivocabile è l’ammonimento del filosofo: “Se si comincia a considerare il danno come una ragion sufficiente per violare la vita umana, non si può tener fermo nessun limite in maniera convincente”.

Così, ad esempio, negare all’embrione la qualifica di essere umano fin dal primo momento del suo sviluppo, legittima l’individuazione di una graduatoria di valore applicabile non solo alla fase embrionale, ma a tutti i momenti del processo vitale. Come prima della nascita è individuabile un meno e un più, così avviene dopo: quanto più un individuo è malato, debole, sventurato, tanto meno può pretendere la qualifica di essere umano, giacché la menomazione, la malattia, la decadenza fisica e psichica sono tutte devianze rispetto all’optimum che è la persona nata, sana e forte.

Giulia Galeotti, 2005

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Il diritto alla vita prima della nascita – Recensione ultima modifica: 2005-12-23T09:30:24+00:00 da Giulia Galeotti

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