Oliviero aveva sette anni quando mio marito ed io lo abbiamo accolto per la prima volta a casa nostra. Un bel ragazzino dai grandi occhi scuri. Siamo rimasti disarmati di fronte al suo comportamento: non parlava, non ci ascoltava; cercava disperatamente rubinetti d’acqua e pezzi di spago per alimentare i suoi giochi ripetitivi fino all’eccitazione.
Quel giorno, ci siamo accontentati di evitare il peggio. Quanto a saperlo accogliere, tenerlo occupato, farlo progredire, capirlo: altre persone altamente qualificate lo hanno saputo fare, progressivamente, con pazienza, convinzione, rispetto. Mattone su mattone, con la fedele collaborazione dei suoi genitori, hanno aiutato Oliviero a costruirsi, a essere quello che è oggi.
Nicole S.

Ombre del passato e luci del presente

In un caldo pomeriggio estivo del 1960, dal ponte della nave che ci portava in patria, Irene ed io, allora ventenni, osservavamo, con nostalgia, la costa egiziana allontanarsi all’orizzonte, una bassa striscia pianeggiante che il tramonto colorava con tinte che ci ricordavano la sabbia del deserto ai bordi del quale eravamo nati. I pochi spiccioli in tasca e i tanti progetti e speranze, che albergavano nei nostri cuori, erano i soli bagagli che ci portavamo appresso per sposarci ed iniziare insieme una nuova vita. Ben presto l’Italia ci accoglieva con il suo profilo costiero di verdi montagne, a noi sconosciuto, con le cime rischiarate dalle prime luci dell’alba, quasi come un allegorico invito a vincere le difficoltà delle numerose scalate che il futuro ci riservava, forti del sentimento d’unione, proprio di una famiglia cristiana, che i nostri genitori ci avevano trasmesso.

In una sera invernale del 2004, un cielo terso e pieno di stelle avvolge una collina toscana sulla cui cima un casale accoglie tutta la nostra famiglia per festeggiare il quarantesimo compleanno di Oliviero. Le fiamme che crepitano nel gran camino illuminano il suo viso dal quale traspare la gioia, che non può esprimere a parole, nell’essere attorniato da noi genitori, da suo fratello, sua sorella, dai rispettivi moglie e marito, e dalla piccola nipotina Elsa che, con garbo e civetteria, alle sue prime parole aggiunge già “zio Oli”, “nonno barba” e “nonna Irene”.

Due immagini che delimitano un arco di tempo nel quale alla spensieratezza dei primi anni di matrimonio subentrarono angosce per la sindrome di autismo, diagnosticata nei primi anni di vita al nostro primogenito Oliviero, angosce che ci prostrarono e ferirono profondamente annebbiando la visione dei nostri progetti per il futuro. Il primo sentimento di rifiuto totale di tale realtà, vissuto con un senso di colpa, oggi non suscita in noi alcuna vergogna, per la consapevolezza maturata negli anni che rifiutare significa anche volontà di reagire, migliorare, progredire e conciliare la gravosa responsabilità di genitori di un bambino autistico, con il rispetto delle proprie personali ambizioni e aspettative per il futuro. È stata questa sintonia di pensiero, tra Irene e me, che ha potuto lenire le nostre ansie aggiungendo, nel corso della nostra vita, al tepore delle fiamme di un camino, il tepore dell’affetto di Oliviero, dei suoi fratelli e di tutta la nostra famiglia.

Prime diagnosi, primi accertamenti, prime delusioni! Delusioni e scoraggiamenti nel sentirsi soli con la nostra pena, soli in mezzo ad una società ancora piena di pregiudizi sull’handicap mentale.

Soli, anche quando bisognava diffidare delle millanterie di guaritori e ciarlatani e capire dallo sguardo di nostro figlio che noi genitori eravamo il suo unico punto di riferimento in un mondo frenetico e caotico a lui incomprensibile; questa sua fiducia in noi non poteva e non doveva essere disattesa. “Stereotipie”, “instabilità” e tanti altri termini riempiono pagine di sterile sapere di chi effettivamente non sa dare risposte a chi, come noi, si raffrontava quotidianamente con l’autismo.

Oliviero a suo modo ci educava, perdonava i nostri errori e ci rendeva sempre più accorti nelle nostre scelte e decisioni.

1970, primi vagiti di una nuova vita ci riempiono di gioia, vagiti che presto si evolvono nelle dolci parole “mamma!”, “papà!”. È nato Alessio e la sua carica d’energia infonde in noi nuova linfa, aprendoci prospettive per il futuro che appagano sogni e speranze per tanti anni disattese. Dopo i suoi primi passi, un’altra vita si annuncia, è la sorellina Manuela che con grazia sorride ai suoi rumorosi fratelli. Tutti quanti, mentre mamma e papà sono in ufficio, danno da fare, a casa, a una meravigliosa nonna paterna che si prodiga, con l’abnegazione d’altri tempi, in mille amorose cure per i nipoti e per i loro genitori. Ben presto i bambini ai loro giochi aggiungono, spontaneamente, atteggiamenti protettivi per il loro fratello maggiore, si sentono inconsciamente partecipi di responsabilità più grandi di loro! Una parte della loro semplicità infantile fugge e matura velocemente ed è per loro il contributo pagato all’acquisizione di un forte senso di responsabilità che gli accompagnerà per tutta la vita.

Integrazione! Primi anni del 1970, all’epoca unicamente un’ideologia! Le ideologie, con il pretesto di condividere ideali e concetti che singolarmente sono da tutti accettati come l’integrazione per tutti nella società, stravolgono ‘giuste convinzioni e portano grossolanamente avanti politiche senza realmente prendere in considerazione gli interessi e necessità di chi deve subirne le conseguenze. Per i casi più gravi, generalizzare un metodo crea discriminazione non rendendo possibile la pluralità di libere scelte alternative.

I nostri ambienti di lavoro, a carattere internazionale, ci offrivano la possibilità di cercare risposte, non trovate in Italia, anche in altri paesi europei; risposte al nostro bisogno struggente di trovare per Oliviero un ambiente pedagogico curativo che potesse plasmare, nel rispetto della dignità umana, la sua personalità disturbata da esternazioni discordi dai suoi intendimenti interiori che noi genitori percepivamo attraverso la delicatezza dei suoi lineamenti e rari sorrisi.

Altre montagne da scalare si profilavano all’orizzonte, anche se per scalarle un aereo di linea creava e crea tuttora, con centinaia e centinaia di voli, un cordone ombelicale che avrebbe mantenuto Oliviero sempre partecipe della vita familiare, amalgamando ambiente curativo e socio-terapico al calore dell’affetto dei suoi cari. Ogni tre settimane Oliviero rientra a casa per un breve week-end! Un impegno enorme d’energie e di costanza per chi, come noi, doveva conciliare responsabili tà di lavoro con la certezza di avere trovato per Oliviero l’ambiente e gli operatori che potevano accoglierlo e accompagnarlo in uno sviluppo armonioso nei limiti delle sue possibilità. Un’isola lambita da acque calme che proteggono dall’impeto della “Grande Corrente” dove come fuscelli si è sbattuti dai marosi della vita della società moderna e bisogna avere le forze per non soccombere.

Un venerdì mattina, i primi fiocchi di neve cadono sulla pista dell’aeroporto di Ginevra. La mia esperienza professionale mi fa comprendere che il traffico, durante la giornata, sarà congestionato. Voli cancellati, passeggeri trasferiti sul volo, che la sera stessa, doveva portarmi con Oliviero a casa, occupando i pochi posti ancora disponibili per chi, come noi, viaggiava senza diritto alla prenotazione. Alle prime ore della sera l’aeroporto è chiuso per neve! Le previsioni non danno speranza di miglioramenti. C’è ancora un’altra possibilità per rincasare, prendere il treno. La “Grande Corrente” doveva mettere alla prova, ancora una volta, le nostre forze fisiche ed emotive. Sciopero dei treni in Italia! Niente cuccette, alla frontiera nessuno sa come “l’odissea”, per raggiungere Roma, si evolverà. È mezzanotte, il treno, rombando, lascia la Svizzera e attraversa il Sempione. La sua corsa si arresta 500 metri prima della stazione di Iselle; altri treni sono accodati sui binari. Fuori nevica abbondantemente, ma i passeggeri vengono “invitati” a scendere sui binari, sprofondando per parecchi centimetri nella neve, e ad aprirsi un varco per arrivare a piedi in stazione dove un servizio alternativo di autobus ci avrebbe portato a Domodossola. Si sale su un treno che nessun sa quando partirà. Strani personaggi si affacciano negli scompartimenti bui, una, due volte, come predatori che fiutano la loro preda! L’odissea va avanti con varie fermate interminabili. Nel tardo pomeriggio del sabato arriviamo a Roma. Lacrime di stress represso rigano i nostri volti! Poche ore da trascorrere in famiglia e già l’indomani Irene dovrà riaccompagnare Oliviero. Altri aerei, altre trepidazioni. i

Oliviero sta per compiere diciotto anni. Il distretto militare, da me interpellato in anticipo sull’arrivo della “cartolina rosa”, mi dà vaghe assicurazioni; il caso di Oliviero non è contemplato; bisogna presentarsi al distretto per la chiamata alle armi! Tutto si svolgerà velocemente assicurano… La “Grande Corrente” ci lanciava una nuova sfida! Al presidio dell’arruolamento, mi presento con Oliviero, ma le cose sono diverse da quelle che mi sono state annunciate. Bisogna fare la fila insieme con tanti giovani che, come Oliviero, in mutande devono essere misurati e scrutati. Uno degli scrutatori, in camice bianco e stellette, ravvisa, nella nenia che Oliviero canticchia per rassicurarsi, una mistificazione; non se la sente di prendersi la responsabilità di un esonero per un ragazzo che ha due gambe, due braccia, due occhi dallo sguardo sfuggente e una bella voce musicalmente intonata. Oliviero è arruolato per tre giorni all’ospedale militare del Celio! Altri scrutatori sottomettono Oliviero ad indagini. Solo per un problema organizzativo, data la mia insistente presenza, ad Oliviero viene dato un “permesso di libera uscita” per tornare a casa a dormire, ma l’indomani alle sette e trenta bisognava rientrare in “caserma”! Violenze… con le quali un sistema generalizzato discrimina chi ha solo bisogno di solidarietà sociale e rispetto della dignità umana. Alla fine tutti si convincono: Oliviero è esonerato dal servizio militare. Prima di lasciare il Celio siamo “invitati” a ritirare alla cassa il soldo: la paga per tre giorni di umiliazioni e mortificazioni.

Oliviero, per la legge, è ormai adulto. Noi genitori non possiamo più agire a suo nome per far valere i suoi diritti nei meandri della burocrazia. Bisogna procedere per vie legali con l’interdizione! Sul tavolo del giudice tutelare un fascicolo contenente, tra l’altro, decine di “nulla osta” richiesti a tutti i nostri parenti sino al quarto grado, porta a chiare lettere la dicitura “Procedimento …Vincenzo contro Oliviero”. Padre contro il proprio figlio!

Tre episodi di vita vissuta, scelti tra i tanti, che rendono evidenti parossismi d’idee, di diritti degli uni che stravolgono quelli degli altri, di comportamenti i quali, al confronto con individualità umane che non rientrano in determinati schemi e modelli, possono sfociare nel ridicolo!

Tanti altri genitori, come noi, hanno trovato, nella complementarità della loro unione, forze che non immaginavano nemmeno di avere; forze che hanno permesso loro di non lasciarsi sommergere, isolare e annichilare da “autismo che crea autismo” e dare priorità e spazio nella propria vita ai sentimenti, ai principi cardine dell’educazione ricevuta, alle attese reclamate dalla propria personalità. Solo in un contesto così delineato è possibile ‘integrarÈ, “curare”, “armonizzare” e ritrovarsi …sotto un cielo terso e pieno di stelle circondati da tepori rischiarati dalle fiamme di un camino!

Vincenzo e Irene Ruisi, 2005

Autismo: la storia di Oliviero ultima modifica: 2005-03-16T16:00:26+00:00 da Vincenzo e Irene Ruisi

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