Nell’ultimo numero di Ombre e Luci abbiamo letto una bellissima preghiera di una mamma polacca che invitava ad avere uno sguardo non di compassione verso i figli diversi. Io condivido totalmente questo atteggiamento che ognuno di noi dovrebbe acquisire ma vorrei porre qualche domanda alle mamme ed ai papà con la speranza che loro ci possano ulteriormente illuminare (quante cose ci hanno già insegnato!) in tema di sguardi.
Sono la mamma di quattro figli e tutta la nostra famiglia è attivamente coinvolta nella vita di Fede e Luce, quindi conosciamo un po’ tutti il mondo dell’handicap. Ma anche con tutta la nostra “esperienza” non sono mancati i momenti in cui un primo sguardo è stato un momento di imbarazzo, di impaccio e di difficoltà per me.
Come spiegare ai propri figli che loro nell’asilo devono accogliere un compagno diverso, meno interessante, meno bello, meno forte come se fosse uguale a tutti gli altri?
Come spiegare ai propri figli che devono essere naturali nel guardare e trattare un compagno diverso?
Come spiegare ai figli che non devono voltarsi per non vedere il ragazzo spastico che cammina per strada?
Come spiegare ai figli che non devono fissare il ragazzo spastico con lo sguardo?
Come spiegare ai bambini che devono avere un atteggiamento naturale verso i bambini con difficoltà, tenendo presente che nel momento in cui diciamo di essere naturali, a loro già gli abbiamo tolto la naturalezza?
Qualche giorno fa durante la messa sono uscita dalla chiesa con i due figli piccoli (2 e 8 anni) per dare al parroco la possibilità di fare un’omelia indisturbata e davanti alla chiesa abbiamo incontrato una mamma con il suo bambino in passeggino. Anche lei evidentemente aveva avuto la mia stessa idea e voleva far stare tranquillo il sacerdote. I miei figli si sono subito fiondati su questo bambino il quale era visibilmente un bambino down. Una classica situazione dove lo sguardo può essere un imput per la mamma per passare la giornata in modo gioioso oppure questo sugardo può rovinarle la giornata perché ferita. Le classiche domande da parte dei miei figli: “Come si chiama e quanti anni ha questo bambino?” “Se ha già due anni e mezzo, perché non cammina e gioca a calcio con noi? Come mai ha le mani così piccole?
Tutte domande per me terribili, per i figli domande innocenti e fatte in modo naturale. Non voglio pensare quanto probabilmente avrà sofferto la mamma di questo piccolo bimbo, sia per le domande fatte, sia per il paragone che avrà fatto col mio figlio della stessa età.
Allora chiedo alle namme che hanno voglia di raccontare esperienze avute in modo che possano aiutare altre mamme di bambini piccoli per imparare. Penso che sia importantissimo insegnare le cose fin da piccoli.
Una mamma, 2004
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.87
Sommario
Editoriale
L'iniezione di Uscobupt di M. Bertolini
Parliamo di lavoro
Il collocamento mirato di T. Cabras
Storia di Giorgio e del suo lavoro di P. Tardonato
Articoli
Benedetta mi ha convertito di Giampaolo
Il film «Le chiavi di casa» di T. Cabras
La barca bianca di J. Larsen di Silvia Gusmano
Associazione “Invitati alla festa” di Cyril Donille
Una Casa-famiglia dove la maternità ritorna gioia di Giulia Galeotti
Come guardano i bambini di una mamma
Sguardo come?
Rubriche
Libri
Sempre Capricci!, R. Giudetti, M. Lecci
Bianco su nero, R. Gallego
Mio padre è un chicco di grano, L. De Vita
Francesca Cabrini, L. Scaraffia