“Buongiorno, posso avere un bicchiere di Schweppes?” domanda Benoit con tono gentile, avvicinandosi al banco del bar. Gerard, gilet grigio e occhiali, prende una bottiglia dal frigorifero, con il sottofondo di una musica della radio. Poi Benoit va a sedersi ad uno dei piccoli tavoli del locale dove sono seduti Arturo, Cristiano e gli altri, davanti a un succo di frutta o ad un caffé, mai all’alcool. Ci si scambia qualche parola, qualche sorriso di amicizia.
Questo non è un locale come un altro ma è il bar degli “Invitati alla festa”, un luogo sperimentale di accoglienza, al centro di Besancon. Gerard, come Arturo e Benoit, ha un handicap psichico. Ha dovuto lasciare il lavoro da qualche anno in seguito ad una grave depressione. Da un mese viene qui tutti i martedì pomeriggio e infila la divisa da barman, tranquillamente. “Questo mi permette di incontrare altre persone — sorride — e mi sento meno solo”.
Arrivando a “Invitati alla festa” è difficile immaginare ciò che accade dietro la facciata un po’ scolorita dell’antica chiesa che si affaccia sulla strada non lontano da Doubs. Un piccolo mondo fiorisce nella pace, nel lavoro e nella festa in questo antico convento dei cappuccini.
In questa casa vivono stabilmente tredici persone. È anche un’oasi dove quasi ottanta ospiti vengono a rigenerarsi con la compagnia e impegnandosi in diverse attività. Ceramica, danza, pittura, ma anche corsi di inglese e di informatica. La casa è dotata di una sala ultramoderna che tutta Besancon gli invidia! La “Bottega dell’usato”, con centinaia di vestiti da vendere, apre l’associazione al quartiere perché non è bene rinchiudersi su se stessi. Né dimenticare l’essenziale: la piccola cappella accoglie regolarmente preghiere e momenti di riflessione. Una quarantina di volontari completano questa comunità, variabile all’apparenza, fondata su una pietra d’angolo: l’accoglienza degli esclusi.
Quando dai una festa, invita i poveri, gli storpi, i ciechi, e sarai felice
(Lc. 14, 13).
L’ispirazione evangelica dell’associazione è dovuta a una psichiatra della città, Marie Noelle Mouchet-Besancon. Da quando ha concluso gli studi, ha sempre pensato a un posto dove potessero vivere le persone malate psichiche, depresse, psicotiche. Quelle persone che “muoiono di solitudine” più che per il loro male. Quindici anni fa gli “Invitati alla festa” erano una trentina, che si riunivano una domenica al mese per un pranzo e una passeggiata. In seguito il ritmo si è accelerato: Marie Noelle ha imbarcato nell’avventura suo marito, prima di acquistare il convento nel 1998.
Un luogo ideale, dotato di chiostro e giardino che ha permesso lo sviluppo di altre attività e l’accoglienza di un maggior numero di persone. Marie Noelle e Jean abitando in un piccolo appartamento nel cuore del convento, assumono del tutto l’impegno a “vivere con”. Lui, che è stato funzionario dell’amministrazione, si ricicla con la formazione e consacra tutto il suo tempo libero alla associazione. Lei, pur dedicandosi part time al lavoro nel suo studio in città, non si sente psichiatria in questo posto: “Questi non sono miei pazienti — riflette — questa è piuttosto una grande famiglia”. Una famiglia, dove ciascuno trova il suo posto e sviluppa ciò che è. “Vivere con loro, questo li salva e questo mi salva”. Anche se la sofferenza per alcuni resta a volte terribile, la vita in comune permette progressi insperati.
Nel corridoio, nell’intervallo tra due attività, incontriamo Filippo. Con i suoi quarant’anni è un anziano della casa che ha cambiato la sua vita. Da quando vi è stato accolto non è più ritornato all’ospedale psichiatrico. Da poco è stato assunto per lavorare sei ore alla settimana, quanto cioè gli consente la pensione di invalidità. Il lavoro ha ridato un senso alla sua quotidianità. Come è successo per altri ospiti, l’associazione è riuscita ad reinserirli e ha attenuato la divisione tra i malati e gli altri. Meglio di niente.
Chi è chi? Chi accoglie e chi è accolto? Il visitatore inizialmente si sforza di distinguere il ruolo di ciascuno. Poi rinuncia lasciando spazio agli incontri con le persone, decisamente, sotto questo aspetto, inclassificabili. Marie Noelle commenta: “Questo è un luogo ambiguo, ma è una buona ambiguità. Noi siamo ai margini, ma dentro la vita. E la vita va dove vuole”. Può darsi che la vita porti la coppia fondatrice degli “Invitati” a sostenere progetti simili in tutta la Francia.
Al bar Cristiana viene a dare il cambio a Gerard e scambia un sorriso con un’amica seduta a un tavolo. In mezzo al locale, sospeso a un filo, un cartellone con una figura e una poesia attrae l’attenzione, dando forse la soluzione al mistero luminoso di questa casa: “Era rimasto nel suo angolo — era rimasto nel buio — gli inviti alla festa erano rimasti senza voce — Lo vide il cieco — lo prese per mano, e lo condusse verso i canti della festa”.
Cyril Donille , 2004
(Ombres et Lumière, n. 145)
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.87
Sommario
Editoriale
L'iniezione di Uscobupt di M. Bertolini
Parliamo di lavoro
Il collocamento mirato di T. Cabras
Storia di Giorgio e del suo lavoro di P. Tardonato
Articoli
Benedetta mi ha convertito di Giampaolo
Il film «Le chiavi di casa» di T. Cabras
La barca bianca di J. Larsen di Silvia Gusmano
Associazione “Invitati alla festa” di Cyril Donille
Una Casa-famiglia dove la maternità ritorna gioia di Giulia Galeotti
Come guardano i bambini di una mamma
Sguardo come?
Rubriche
Libri
Sempre Capricci!, R. Giudetti, M. Lecci
Bianco su nero, R. Gallego
Mio padre è un chicco di grano, L. De Vita
Francesca Cabrini, L. Scaraffia