La scuola “Fabrizio de André”, in via della Nocetta a Roma, fino dai primi anni ’80, ha messo in atto l’integrazione dei portatori di handicap, con impegno speciale e grande fiducia nella bontà e nella possibilità di attuazione della Legge. Oggi sono presenti, tra scuola madre e succursale, 45 ragazzi disabili su 600 iscritti.
Ne parliamo con la vicepreside, la professoressa Carla Rapò in una mattinata di sole e di vento, in un bar all’aperto sul piazzale del Gianicolo, tra il monumento a Garibaldi e il coloratissimo teatro dei burattini. Anche questo luogo e questo tempo ci sembrano, in qualche modo, emblematici, in sintonia con ciò che ascoltiamo.
La prof, ssa Carla elenca innanzitutto le condizioni logistiche che hanno permesso a tanti ragazzi in difficoltà un buon inserimento.
- Il parco di Villa Pamphili che circonda la scuola permette ogni possibile attività all’aria aperta, dalla corsa liberatoria, alla osservazione della natura, alla lezione all’aperto…
- I laboratori di varie attività, presenti nella scuola permettono a tutti gli alunni di occuparsi in tempi stabiliti di musica, ceramica, teatro, cucina con il vantaggio per tutti che è facilmente intuibile.
Ma, precisa la nostra amica, a dare il via a questo cammino difficile sono state determinanti innanzitutto:
- la volontà del preside, che ha voluto la sua scuola aperta all’integrazione,
- la determinazione e la dedizione di alcuni insegnanti curricolari con preparazione speciale, presenti fin dall’inizio di questa esperienza.
Parlando con la prof.ssa Carla Rapò si ha poi la sensazione che vi siano alcuni ferrei principi, alcune convinzioni di base che sostengono e rendono proficuo il lavoro di queste persone:
- il concetto di coeducazione. I portatori di handicap, i normodotati, gli insegnanti, gli operatori scolastici, le famiglie tutti hanno diritto a crescere e ad educarsi insieme giovandosi del reciproco aiuto.
- L’handìcap è visto come forza dirompente nell’immobilismo della Scuola italiana.
- Il concetto di integrazione che va sviluppato: dal momento dell’inserimento inteso come pura presenza fino al concetto di “identità integrata” quando ogni membro del gruppo ha un ruolo e caratteristiche personali che lo rendono a tutti gli effetti membro di quel gruppo. Da qui deriva il concetto di “handicap situazionale” (l’handicap cambia, diviene più o meno grave a seconda delle circostanze) e la convinzione che noi tutti siamo chiamati non ad annullare, il che è impossibile, ma ad alleggerire la situazione di handicap.
A questi principi di base si accompagnano (e derivano) indicazioni e avvertimenti, naturalmente molto generali, quasi segnali luminosi, che devono di volta in volta segnalare un pericolo, indicare una via d’uscita, consigliare un percorso speciale…
Cerchiamo di ripeterli come li abbiamo recepiti nel corso della nostra conversazione.
- Spesso le situazioni sono difficili, sembrano superare le nostre forze. Dobbiamo allora ricordare e accettare che ciascuno fa solo quello che può, solo tutto quello che può, comunque un cammino. Questo al di là di qualsiasi nostro progetto (o ambizione?)
- Non ci si deve irrigidire nei principi, neanche in quelli apparentemente irrinunciabili. Per esempio: non è vero che il ragazzo disabile può fare tutto quello che fanno gli altri, né che può restare in classe lo stesso tempo degli altri. E importante invece come si utilizzano il suo tempo e le sue capacità.
- Collaborazione con la famiglia: vuol dire ascoltare tutto ciò che i genitori conoscono e ci comunicano del loro ragazzo e insieme vigilare affinchè né rinuncino all’impegno di seguirlo, né si creino illusioni e pretendano troppo da lui e dalla scuola.
- L’integrazione dei ragazzi disabili non può che avvenire in modo progressivo e programmato.
- È necessaria una ricerca continua. Si devono utilizzare tutti gli strumenti, da quelli basilari previsti per legge, a quelli che l’esperienza insegna. E di ogni esperienza fatta all’inter no della propria o di altre scuole, bisogna fare tesoro.
Passiamo a un argomento preoccupante. La scuola Fabrizio de André come tutte le altre scuole ha nuove difficoltà di questi tempi.
- L’insegnante di sostegno è assegnato per non più di 9 ore settimanali per ogni ragazzo riconosciuto disabile. Ma con vere alchimie nell’orario, negli accorpamenti degli alunni, ecc. si riesce a sostenere per più ore i ragazzi più colpiti.
- Le classi non sono più formate di 20 alunni nel caso della presenza di ragazzo con handicap ma di 23 e anche di 25 studenti e questo naturalmente rende più difficile l’andamento educativo e didattico in generale.
- E di grande aiuto tuttavia, oggi, la presenza continua a fianco del ragazzo disabile dell’Assistente Educatore Comunale, con preparazione specifica, che lo segue nelle ore scolastiche, lo aiuta negli spostamenti, lo assiste nelle sue necessità.
E poi…e poi… la prof.ssa Carla ci parla un po’ dei suoi ragazzi, uno per uno: ci racconta di Carlo, il piccolo down, pieno di voglia di imparare che ha fatto commuovere anche la Commissaria nel giorno dell’esame, e di Francesco, autistico, che, pure a suo agio nella classe, durante il viaggio a Parigi nonostante l’assistenza continua, è stato turbato, irrequieto e ha creato un mucchio di problemi…
Lei non finirebbe di parlare e noi staremo ad ascoltarla per ore tra il vento e il sole, tra Garbaldi e il teatro di Pulcinella… ma poi ci separiamo, Cristina ed io con una nuova speranza dentro: “Finalmente una cosa vera, non teorica, vera, attuata e bellissima!…”.
– Tea Cabras e Cristina Tersigni
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 83, 2003
Sommario
Editoriale
Avevo deciso di non amare mio fratello di Sarah
L’arte di chiedere aiuto di David Wilson
Medico, ho imparato a consultare il mio cuore - Intervista con Oleh Romanchuk
Speciale Scuola e Handicap di T. Cabras e C. Tersigni
Una scuola da imitare
Dall’osservatorio scolastico dell’AlAS
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Mille pasti al giorno di E. de Rino
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Comunicazione Aumentativa Alternativa di V. Gallo, A. Bulgheroni
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Lettera a Mariangela e a molti altri di don V. Palmisano