Ombre e Luci – In poche parole, che cos’è la sessualità?
Il termine “sessualità” riunisce cose diverse, sia sensazioni e gesti che piacere e funzioni. Io preferisco parlare di “vita sessuale”, termine più ricco, perché sottintende la vita e il fatto che siamo sessuati, cioè differenti in quanto uomini e donne. Ogni persona sposata o celibe ha una vita sessuale.
Le emozioni che proviamo, i desideri, ma anche le pulsioni, le fantasie, i sogni, fanno parte della nostra vita sessuale. Il fascino di una persona, il sua viso, la sua bellezza, la sua voce, i suoi occhi, il piacere di stare con lei, tutto questo fa parte della vita sessuale. Allo stesso modo ne fa parte il fatto di non avere relazioni sessuali con la prima persona che si incontra, il fatto di vivere nella continenza, cioè nella castità che è rispetto della differenza e distanza fra i corpi. La vita sessuale non è l’attività sessuale. Le due cose si confondono troppo facilmente.
Essere uomo, essere donna cosa implica?
Prima di tutto accettare di non potere essere tutto e che ci sia una parte dell’umanità che ci sfugge: se siamo donne ci sfugge ciò che vivono gli uomini, se siamo uomini ci sfugge ciò che vivono le donne. È aspirare all’incontro, riconoscere come valore ogni differenza, compresa la differenza tra i sessi. Ogni uomo e ogni donna sono stati creati a immagine di Dio. Ci vogliono maschio e femmina per rendere completa l’immagine di Dio. La differenza ci apre all’altro sesso, ma anche a Dio.
Oggi si parla di “diritto alla sessualità”. L’esercizio di questo diritto è garanzia di felicità?
Non capisco bene questo modo di intendere un diritto. Perché significherebbe che, a fronte, qualcuno avrebbe degli obblighi. Parlerei piuttosto di legittimo desiderio del piacere fisico, della pienezza. Chi non conosce il piacere fisico manca di una dimensione importante della vita.
Ma ci sono due estremi da evitare.
Credere che liberare le nostre pulsioni conduca alla felicità e alla pienezza
Oggi c’è un tipo di teoria delle pulsioni verso la quale bisogna essere critici. La semplice soddisfazione delle pulsioni può condurre a un’esaltazione del corpo che ci fa regredire, ci impedisce di crescere ed è contraria alla nostra libertà; essa non ci permette di giungere al desiderio che passa necessariamente per la rinuncia. È facile rendersi conto che c’è una differenza tra piacere e felicità. Il piacere può essere triste. Al contrario, ci può essere gioia nella rinuncia. Oggi si pensa solo alla propria soddisfazione e non al beneficio della rinuncia. In realtà la questione è quella di sapere come trasformare l’energia sessuale in una vita più ricca, verso il desiderio e verso l’amore.
L’altro estremo è quello di ] negare sistematicamente le pulsioni.
Queste esistono dentro di noi e una rinuncia totale potrebbe portarsi dietro forti frustrazioni e tensioni fisiche.
Ogni azione educativa consiste nel trovare l’equilibrio tra questi due estremi.
L’importante è aiutare ognuno a scoprire la verità della sua vita sessuale e a impregnarla di libertà. Ci si può augurare che ognuno scopra piaceri autentici e veri con il suo corpo, quale esso è, con gli atti che egli è capace di vivere. 11 piacere fisico non è necessariamente l’unione dei corpi. Abbracciarsi, ritrovarsi tra amici o in famiglia sono forme di piacere. Tra il darsi la mano e l’unione dei corpi vi sono diversi gradi!
Spesso si distingue la vita sessuale dalla relazione amorosa, perché?
Perché si perde di vista la vocazione della vita sessuale, che è una relazione di alleanza tra due persone, f dono reciproco di due libertà. L’unione dei corpi è e deve essere l’espressione di questo dono. Questo è il centro del pensiero cristiano come è espresso da Giovanni Paolo II. Questo dono porta la felicità. Non si basa sul piacere, ma sulla gioia. La gioia nasce dal vero incontro tra due persone. L’essere umano trova la sua verità in questo dono, che è anche accoglienza. Raggiungere la felicità è raggiungere l’esperienza della vita come dono a tutti i livelli, spirituale e fisico. Del resto i gesti di amore di un uomo e di una donna esprimono il dono e l’accoglienza reciproci. i corpi sono fatti per questo. Mentre con la masturbazione spesso si regredisce al livello di personalità del tutto immatura.
Si può essere felici quando si deve rinunciare al matrimonio?
Essere coppia non è l’assoluto della vita sessuata. Noi non siamo la metà di una coppia che cerca l’altra metà. Ciascuno, nella sua interezza, ha la propria vocazione. Del resto, sposati o celibi, tutti facciamo l’esperienza della solitudine dell’esistenza. Ma i celibi vivono questa esperienza in modo particolare e irriducibile. La felicità consiste nel vivere questa solitudine come abitata da una presenza, da una sorgente interiore, nella profondità di se stessi. Questa sorgente ci fa scoprire che siamo assolutamente unici. La nostra vita ha valore non soltanto perché non ci sono persone uguali a noi, ma perché siamo il fmtto di un atto unico e gratuito. Non siamo a questo mondo per caso per incidente o per errore. La sorgente della nostra vita è Dio che ama e vuole che noi amiamo. Sperimentare questo nella propria carne, sia in una situazione di normalità sia in quella di disabilità, significa scoprire una fonte di gioia e di pace.
Inoltre può essere per noi una ragione di gioia appartenere a un gruppo, una comunità, un movimento o un servizio. Questa forma di alleanza fraterna e aperta ha numerosi
punti in comune con una famiglia.
Le persone non sposate per certi versi possono vivere il dono e la relazione ancor più delle persone sposate. Sono più disponibili. Inoltre possono vivere altre forme di fecondità che non sia la fecondità fisica ma una paternità e maternità spirituali di grande ricchezza! Esse possono permettere all’altro di nascere a una nuova dimensione di vita.
Che validità ha un matrimonio se la responsabilità dei contraenti non è totale? E se non c’è apertura alla procreazione?
Come moralista penso che ci possa essere matrimonio per una persona con handicap psichico o mentale. Una persona può non essere completamente responsabile riguardo ad alcuni aspetti importanti della sua vita — in particolare gli aspetti intellettuali o sociali — ma esserlo in tutto ciò che è rapporto e impegno in una data singola relazione. Quanto alla procreazione, se vi sono ragioni obiettive che lo rendono non desiderabile, mi sembra che il “non desiderabile” diventi il “non possibile”. Siamo allora in una situazione eccezionale: la coppia potrebbe non desiderare bambini non per rifiuto della fecondità o per egoismo, ma per ragioni obiettive. In questo caso credo che possa essere riconosciuto il valore di questa unione, di questa alleanza. II primo frutto dell’amore è l’amore. Quando due persone si aiutano l’un l’altra, si aiutano a vivere, a portare responsabilmente un handicap, a nascere insieme alla vita, questa è già una forma di fecondità della coppia.
Nel nostro tempo, si incoraggia molto la procreazione per soddisfare il desiderio di maternità della madre.
È grave il fatto di considerare il bambino come un mezzo per raggiungere la pienezza. E un modo di strumentalizzarlo: così il bambino in questo serve ad appagare il desiderio dell’adulto, a permettergli di realizzarsi. L’interrogativo sul desiderio di avere bambini deve esser posto prima di tutto in rapporto al bambino e al suo bene. Se qualcuno manifesta questo desiderio bisogna analizzare le sue ragioni. Vi sono ragioni molto profonde e spirituali, come il desiderio di dare. Ma ci possono essere desideri meno nobili: il desiderio, ad esempio, di prolungare se stessi, negare la morte, dimenticare i propri limiti vivendo per procura attraverso un altro. Ciò può essere una fuga da se stessi.
Ora spesso i disabili vivono nell’angoscia. L’angoscia è l’espressione di un vuoto. Quando sono fondati sul vuoto tutti i desideri — come la gioia e la procreazione — diventano affascinanti. Se c’è un fondo di pienezza diventano relativi. Superare i propri desideri infantili significa assumere pienamente la propria condizione umana. Questa può essere un’occasione di progresso spirituale per vivere pienamente la propria esistenza. Ma ciò può accadere solo se si ha coscienza che la propria esistenza ha valore.
“Per me sei molto prezioso, io ti stimo e ti amo… Ho disegnato la tua immagine sulle palme delle mie mani…”. (Is 43, 4; 49, 16).
– Saverio Lacroix, 2003
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.82
Sommario
Editoriale
Quando il silenzio fa rumore di M. Bertolini
Articoli
Veronica e Alessandro si sono sposati di M. M.
Ho diritto anch’io all’amore? di L. M.
Facile preda di Cristiano
Il matrimonio tra sogno e realtà di A. C.
Sono una mamma adottiva a distanza La mamma di Roberta
Una scelta difficile di Girolamo
Traumatizzata di una mamma
Vita sessuale per quale amore di S. Lacroix
Non esitate a parlarne presto di M. O. Réthoré
Sessualità: il meglio e il peggio di J. Vanier
In casa-famiglia di B. Gautier
Vogliono sposarsi. Cosa decidere? di B. di M.