Con i responsabili della casa riflettiamo continuamente sulle relazioni affettive che le persone disabili stabiliscono tra loro e se è più giusto lasciare che si sviluppino o impedirle. Ci chiediamo: con quale diritto ne parliamo e interveniamo? Perché ci intromettiamo in questo campo così importante, della sessualità? Noi abbiamo un potere su queste persone, e c’è sempre il rischio di abusarne. Per questo i nostri criteri nello scegliere come comportarci non dovranno mai essere: “faccio così perché per me è più facile, e mi evito qualsiasi rischio”.
Scelta di partenza
Il “diritto all’amore”, di questi tempi, è nell’aria. All’interno del Centro come direttore, potevo far valere il mio diritto di responsabile nell’ambito del lavoro e così fin dall’inizio, avevamo stabilito questa regola: “Guardare, ma non toccare. Ma nella Casa famiglia è diverso: questa è un luogo dove si vive, è necessario essere meno rigidi. Si possono stabilire soltanto delle regole di buon comportamento; non ci si spoglia in pubblico, non si gira per i corridoi poco vestiti. Non si va nella camera di un altro ospite, se ci si deve andare la porta della stanza deve restare aperta, ecc., ecc. All’interno della Casa Famiglia, ci sono, un piano per i ragazzi e uno per le ragazze. L’accoglienza di uomini e donne è stata una scelta (consapevole) di partenza che riflette la vita nella sua complessità. Uomini e donne restano complementari anche nelle piccole cose. Nella Casa sono sempre presenti, al minimo, due responsabili, ma questo non impedisce ogni tanto, qualche situazione difficile. Penso ad un ragazzo, Davide, che ha tendenze omosessuali. I suoi genitori, con molti sensi di colpa, gli permettevano, ad ogni finesettimana di frequentare un sex-shops; ritornava da noi con un comportamento incompatibile con la vita della comunità. Per il bene della casa abbiamo dovuto separarci da lui.
Lo stile della vita, le regole nelle relazioni rendono inutili, all’interno della Casa, i contraccettivi. Tuttavia bisogna valutare caso per caso: posso ricordare una ragazza che si sarebbe concessa a chiunque — e questo era già avvenuto in passato — e che ora fa uso di contraccettivi.
Iniziare una relazione?
Quando inizia una relazione al Centro ci chiediamo: “È bene che questo ragazzo vada avanti con questa relazione?” Nell’équipe non arriviamo sempre alla stessa conclusione. Penso a Luca che ha incontrato una ragazza molto carina, di un’altra Casa Famiglia. All’inizio tutto è andato bene, erano sereni. Per tre anni li abbiamo seguiti, abbiamo parlato con loro di ordine, di soldi, di cucina, di sessualità, di avvenire. Ma la loro vita in comune è stata un fallimento. Dopo tre mesi Elena si è trovata incapace davanti ad una casa da tenere ed è entrata in grave depressione. Eppure la loro relazione era bella e per questo li abbiamo messi sotto tutela “ravvicinata” (controllo del denaro, regolamenti e proibizioni severe…) Ora stanno bene insieme…
Recentemente abbiamo avuto un caso difficile; Gianna, una giovane down di 35 anni, ha iniziato una relazione con Luigi. All’inizio si è sentita amata, si è aperta, pacificata nelle sue angosce. In seguito, al romanticismo dei primi tempi è seguita l’ossessione: Gianna è diventata completamente dipendente, ha cominciato a mentire, a rubare, a telefonare di nascosto, non dormiva più.Il ragazzo, molto sensuale, cercava il contatto fisico: provocava in lei una eccitazione che lei poi ricercava da sola. Tutto questo ci ha fatto riflettere: ma è vero amore?
Dopo un po’ abbiamo concluso che no. Luigi pensa solo al suo piacere immediato mentre Gianna vive in un matrimonio immaginario, dissociato dalla realtà. Questa relazione diventava distruttrice.
Abbiamo allora preso la decisione di separarli dolcemente ma con fermezza. La conclusione del nostro gruppo è stata: “Insomma, malgrado le reali capacità di cuore, la persona disabile è egocentrica di natura: è raro che possa entrare nella dimensione dell’amore come dono e che sappia integrare la sessualità a questa dimensione”. Quando la finalità dell’amore non è possibile, evitiamo di iniziare il cammino.
Questa riflessione ci porta a pensare che il celibato non scelto è anche un appello. Penso a Sebastiano, un ragazzo molto attratto dalle ragazze ma incapace di stabilire una autentica relazione d’amore. È profondamente religioso. L’abbiamo aiutato a fare una scelta morale. Ho potuto parlare con lui di cose molto intime (della masturbazione soprattutto) per aiutarlo a vincere i suoi sensi di colpa. Ha capito che ciò che viveva non lo aiutava a crescere e che poteva vivere il celibato come un dono di se stesso. Questo lo ha molto pacificato. E un ragazzo intelligente e penso che un giorno sarà capace di vivere la sua autonomia.
Per non farne dei “frustrati”
Noi vorremmo accompagnare lo sviluppo completo della loro affettività.
- Per mezzo della vita comunitaria: quando si passa una bella serata tutti insieme, si ride, si canta e si balla, allora il cuore è appagato; mentre se si sta troppo a lungo davanti alla televisione, ci si tiene la mano ecc., si rischia di più.
- Con la tenerezza: (sapere abbracciarli, accennare una carezza, dare una pacca sulle spalla…) che non risveglia la sessualità.
- Con la presenza di persone anziane che hanno il ruolo di nonni. Queste partecipano alla vita della comunità per qualche momento, un pasto, una preghiera, qualche servizio. Questi “nonni” sono “quelli a cui si può dire tutto”. Giacomo, che non ha più nessun parente, è contento di portare ogni giorno il pranzo a Mirella, e questo gesto è diventato la gioia della sua giornata!
- Con la presenza degli amici: dei vicini, degli amici sostenitori che passano ogni tanto. Un sacerdote in pensione, già assistente spirituale di Fede e Luce, è venuto ad abitare nella casa. È un bene che i disabili abbiano diverse persone con cui confidarsi ed è bene che queste persone non appartengano agli stessi gruppi.
Più si risponde in modo soddisfacente alla richiesta di affettività, più si attenua le pulsione sessuale. Questo richiede una struttura, delle serate programmate, animate e una buona occupazione del tempo.
La persona disabile deve essere molto seguita. Non si può occuparsi soltanto della sua vita affettiva e sessuale. È la persona nella sua totalità che deve essere compresa e accompagnata e per questo si deve ricorrere alle attività.
Nelle nostre case, ad esempio, ognuno ha una sua responsabilità: per uno c’è il compito di spazzare, per l’altro quello di fare il caffè del mattino. C’è Nicola che va da solo in piscina e Maria che ha il permesso di fare una commissione rientrando dal Centro. È importante adattare a ciascuno tutte queste attività che comprendono anche il disegno, lo sport, le riunioni a Fede e Luce.
Che cosa vuole Dio da noi? Che siamo felici, che ci amiamo, che stiamo insieme agli altri. Non c’è solo la sessualità per avvicinarsi alla felicità. La persona disabile mentale è assetata di tenerezza, ed è talmente capace di darne e di riceverne! Impariamo (di nuovo) a vivere secondo il progetto di Dio e lasciamoci trascinare da questa dipendenza.
– Baudoin Gautier, 2003
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.82
Sommario
Editoriale
Quando il silenzio fa rumore di M. Bertolini
Articoli
Veronica e Alessandro si sono sposati di M. M.
Ho diritto anch’io all’amore? di L. M.
Facile preda di Cristiano
Il matrimonio tra sogno e realtà di A. C.
Sono una mamma adottiva a distanza La mamma di Roberta
Una scelta difficile di Girolamo
Traumatizzata di una mamma
Vita sessuale per quale amore di S. Lacroix
Non esitate a parlarne presto di M. O. Réthoré
Sessualità: il meglio e il peggio di J. Vanier
In casa-famiglia di B. Gautier
Vogliono sposarsi. Cosa decidere? di B. di M.