Anna rientra in casa e mi dice: “Mamma, io voglio fare l’amore con Roberto”, (suo cognato).
“È impossibile, cara, Roberto è sposato con tua sorella”.
“Allora voglio fare l’amore con te perché io ti amo, tu anche mi ami ed io desidero un innamorato”. “Anna, si può fare l’amore solo quando si ama un uomo”.
“Io non trovo nessun uomo, perciò non posso amare e non ho il diritto di fare l’amore, è ingiusto. Si può essere felici anche senza fare l’amore” (sic).
Anna ha trenta anni, ma in lei c’è ancora una grande confusione sull’atto sessuale. Lei lo associa ad una pulsione, al piacere, piuttosto che all’affettività. Le ho spiegato l’obiettivo di questo atto con il suo esito naturale: la procreazione. Non so se lei ha capito. Eppure, come ai suoi fratelli e sorelle, ho sempre indicato il legame tra amore e sessualità, senza dissociarli.
Anna vive in una Casa famiglia mista, di ispirazione cristiana e non ha nessuna protezione per eventuali rapporti sessuali. Non sopporta la pillola e non voglio pensare alla chiusura delle trombe. Per farlo bisognerebbe che Anna capisse ma neanche ora, a trentanni, è cosciente del suo handicap in modo sufficiente. Non è ancora del tutto matura. Come accetterebbe di non poter più avere un bambino?
E oltre a questo, la cosa più dura per me come mamma, sarebbe dover dire a mia figlia: “Non è augurabile che tu abbia un bambino”.
Che angoscia per i genitori!
Se le capitasse di avere un bambino ci sentiamo incapaci di allevarlo, alla nostra età. Allora, cosa resta da fare? Confidare nella Provvidenza? Fino a quando? Bisogna accettare qualsiasi cosa? So che Anna, ormai da tanto tempo, ha pulsioni molto forti. Come proteggerla? Ormai da tempo non vive con noi, ma se anche fosse ancora da noi? Se Anna provasse un sentimento forte per qualcuno sarebbe possibile permetterle una relazione sessuale senza prospettive di matrimonio e di bambini? Che angoscia per i genitorii E perché esigere da Anna un certo tipo di vita che non abbiamo preteso dagli altri figli che, senza dubbio, hanno vissuto più liberamente?
– L.M., 2003
Solitudine, solitudine
Le persone disabili, seguendo l’influenza dell’ambiente e dei modelli che li circondano, sentono fortissimo il desiderio di vivere, soprattutto nelle grandi città, in un appartamento proprio con un compagno o una compagna Vogliono vivere come tutti, per cancellare la loro diversità. Ma, una volta nell’appartamento, si trovano di fronte al loro isolamento e … alla televisione. E questa la soluzione? Noi che li seguiamo dobbiamo affrontare problemi di omosessualità, dobbiamo rispondere alla loro aspirazione di vivere in coppia, alla domanda di contraccezione, di aborto. La pillola è un mezzo che proponiamo ma non è questo che risolve il problema di fondo.
Quali possibilità di relazioni hanno queste persone così assetate di amicizia?
Una educatrice di persone disabili che vivono in appartamento
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.82
Sommario
Editoriale
Quando il silenzio fa rumore di M. Bertolini
Articoli
Veronica e Alessandro si sono sposati di M. M.
Ho diritto anch’io all’amore? di L. M.
Facile preda di Cristiano
Il matrimonio tra sogno e realtà di A. C.
Sono una mamma adottiva a distanza La mamma di Roberta
Una scelta difficile di Girolamo
Traumatizzata di una mamma
Vita sessuale per quale amore di S. Lacroix
Non esitate a parlarne presto di M. O. Réthoré
Sessualità: il meglio e il peggio di J. Vanier
In casa-famiglia di B. Gautier
Vogliono sposarsi. Cosa decidere? di B. di M.