Fatima è una bambina di due anni, perfettamente intelligente, che vive grazie ad un respiratore, alla bombola dell’ossigeno, al tubicino che le porta la pappa direttamente nello stomaco. Fatima è così perché quando è nata, per un’errata manovra dell’ostetrico, ha subito una grave lesione del midollo. La gravità della sua situazione richiede una presenza qualificata 24 ore su 24 e la famiglia non è quindi in grado di assisterla. Fatima vive perciò in una piccola comunità che l’ha accolta all’inizio di quest’anno.
Sono le cinque del mattino. Suona un allarme: bip, bip, bip. Questa volta è quello dell’indicatore dell’ossigeno. Fatima deve essere aspirata perché le secrezioni le impediscono di respirare bene. Prendo il sondino metto il guanto sterile, accendo l’aspiratore, tolgo il tubo dell’apparecchio che permette a Fatima di respirare e infilo il sondino nella cannula della trachea. Lei mi guarda con quegli occhioni che parlano quasi a chiedermi: uffa, ancora? Questa notte è la quinta volta che l’aspiro. E la stessa manovra le sarà ripetuta per una dozzina di volte domani, nell’arco della giornata.
Non passa nemmeno mezz’ora e ancora l’allarme: e il respiratore che indica «pressione massima». L’aria non riesce ad entrare bene nei polmoni della piccola. Le cambio posizione. L’allarme cessa. Mi stendo sul lettino accanto a Fatima e mi auguro almeno mezz’oretta di sonno. Bip, bip, bip! Niente da fare: succede così ogni volta che le cambio postura: le secrezioni vengono sollecitate e occorre aspirarle di nuovo. Sondino, guanto, cannula ecc.
Dentro la testa si insinua un pensiero: ma come fa una mamma a reggere questo ritmo, o anche a ritmi meno faticosi, meno stressanti ma continuativamente, giorno e notte? lo domani, finito il mio turno di lavoro, ho due giorni di riposo. Una mamma nò. lo ho scelto di lavorare con questi bambini, perché mi piace, perché dà senso al mio fare, perché, perché… Una mamma non ha scelto di avere un bambino così, se l’è ritrovato. Una mamma non stacca mai, non ha ferie.
Fra poco arriveranno le colleghe a darmi il cambio. Preparo la moka grande del caffè, accendo il gas. Bip, bip, bip! Salgo di corsa le scale e mi fiondo in camera di Fatima. La pinzetta che tiene attaccato al dito di Fatima il sensore per leggere la quantità di ossigeno si è staccata: la rimetto al suo posto e torno di sotto a curare il caffè.
Ma a metà scala mi raggiunge un altro bip, bip, bip. Risalgo. Fatima non ha un bel colore e l’indicatore della frequenza cardiaca indica un valore troppo basso. E una delle solite emergenze ma nonostante l’abitudine e la frequenza professionale ho un brivido che corre lungo la schiena. Stacco il tubo del respiratore, inserisco l’ambu, quel palloncino che immette aria nei polmoni con una pressione manuale. Con una mano premo con ritmo veloce e con l’altra raggiungo la manopola dell’ossigeno e la porto al massimo. Fatima, a poco a poco, riprende colore e i valori sui monitor si normalizzano. La riattacco al respiratore, modero l’ossigeno e mi siedo accanto a lei che dorme.
Intanto il caffè è uscito per conto suo e allaga il fornello. Sento la porta di casa che si apre e arrivano le colleghe a darmi il cambio. Fatima è stabile e la lasciamo dormire. Attorno al tavolo e davanti ad un nuovo caffè, racconto la notte e loro si apprestano a dividersi i compiti. Ritorna quel pensiero: una mamma non ha riposi, non ha ferie… e cosi mi ritrovo a dire che posso fermarmi io a dare una mano per Fatima, visto che una delle ragazze è nuova e non ha dimestichezza con le tante cose da fare.
E le cose da fare sono tante anche nel corso della giornata. Toilette personale, massaggio, prima colazione, per non parlare della pulizia e preparazione degli strumenti che la aiutano. Poi portiamo Fatima in soggiorno con gli altri bambini: Qui, seduta sul suo passeggino, ricollegata al respiratore Fatima incontra la sua avventura quotidiana: fisioterapia, ginnastica respiratoria, cartoni animati, allenamento alla comunicazione, giochi. Poi la pappa di mezzogiorno, i cambi di pannolini, la sollecitazione intestinale, il bagnetto a fine giornata, la cena. Il tutto intramezzato dagli orari dei farmaci e dai bip bip che segnalano nuove necessità..
E questo è solo l’elenco delle esigenze di questa bambina speciale. Ma in una casa ci sono altre cose da fare: lavare, stirare, fare la spesa seguire gli altri bambini, ricordarsi di avere un marito. Come farà una mamma?
In comunità vivo questa vita e questi ritmi per scelta, con una serenità che deriva dall’incoscienza, con uno spirito cha ha radici profonde nel terreno dei valori e della fede. A volte, chi passa a conoscere questa casa, uscendo dice: che brava!
Ma io non mi sento brava: bravi, coraggiosi, grandi sono quei genitori che, silenziosi, ogni giorno, ripetono gli stessi gesti per amore del loro bambino. Questi genitori sono i miei maestri.
Dany, 2002
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.80
Sommario
Editoriale
«Ci è stato dato un figlio» di M.Bertolini
Solo un trattino di E. Gucciardo
Articoli
QUESTI FIGLI CHE NON PARLANO
Lettera da una mamma del Molise
Ma come fa una mamma?! di Dany
Che cosa «fare» con loro? - La Casa del Sole e il Centro di Solidarietà di C. Campanini - C. Lupi
Amici. Sempre. di Cristina
Incontri di Nanni
Natale nel mio cuore di Camille Proffit
Favola: La scopa incantata - Una fiaba di Natale di N. Livi
Casa famiglia "La Tenda"
La fola de Nadae - La favola di Natale... in dialetto veneto di G.Zaninello
Libri
Lettere di Natale alla madre, R.M. Rilke