Nel Centro dove ho vissuto mi hanno insegnato a camminare, a parlare, ad annodarmi le scarpe, a tagliare la carne senza infilzare il mio vicino, a scrivere con il computer. Ma gli altri disabili che mi stavano intorno, considerati dalla società come dei «vegetali», sono stati i miei veri maestri. Mi hanno insegnato che non ci si costruisce da soli. È guardando gli altri, partecipando al loro modo di risolvere le situazioni, che si impara la maggior parte delle cose. Così ho visto come Dominique sdraiato sulla sedia a rotelle, riusciva a strappare un sorriso al suo corpo. Da lui ho imparato che l’essenziale non è tanto ciò che sì fa o ciò che si ha ma ciò che si è.
Ho imparato anche da Leonardo, «il muto del quartiere», ad essere attento all’altro e a sviluppare le mie capacità. Leonardo aveva un ritardo mentale ma notava ogni nostro cambiamento.
Compagni nella prova
Ho vissuto la mia vita come un gioioso combattimento. Ogni giorno bisognava ripartire da zero, affrontare le difficoltà, accettare le sfide e essere allegri. Le vittorie, anche le più piccole, ci facevano crescere. Tutti le condividevano. Quando ho avuto il coraggio di imparare a camminare, cadevo regolarmente quasi ad ogni metro. Dominique mi osservava e…rideva dei miei tentativi. Ho capito allora che, non essendo capace né di camminare né di parlare, il solo modo che aveva trovato per incoraggiarmi, era la risata. Dominique avrebbe potuto facilmente essere geloso; «Io non camminerò mai. Alexandre cammina. Questo non è giusto». Invece, senza amarezza, lui condivideva la mia speranza di vittoria. Eppure non è affatto facile essere contenti in una situazione simile!
Il combattimento gioioso è la presa di coscienza che la vita è, in realtà, una cosa seria, difficile e che, malgrado ciò, si farà di tutto per renderla bella, gioiosa e solidale.
Oggi è portato ad esempio l’uomo che riesce a farsi da solo (spesso schiacciando gli altri). Non ci viene detto che l’uomo che si fa da solo può anche rovinarsi da solo e molto in fretta. All’istituto eravamo compagni di difficoltà, insieme davanti alla prova. Questa unione ci legava più della sofferenza comune che vivevamo con un po’ di umorismo, con leggerezza, rifiutando ogni sentimento di pietà.
Alcuni cercano di negare il loro handicap. Uno dei miei compagni aveva un pollice di meno. Per questo passeggiava sempre con la mano in tasca. Diceva che questo faceva «fico». Io non condivido la sua opinione. Si tratta di una battaglia di ogni giorno perché non si può accettare il proprio handicap una volta per tutte. Non ci sono ricette miracolose. In certi giorni l’handicap ci fa soffrire più che in altri.
Nella mia vita, al di là dei miei genitori — eccezionali — e dei miei amici, una persona è stata molto importante: Padre Morand. Anche lui è stato un compagno nelle difficoltà. Aveva ottantasette anni, e spesso era mal rasato e malvestito. Un giorno sono andato a trovarlo. «Mi dica. Padre, il vostro Dio che fa lassù?» Ha preso nota della mia domanda senza tentare di rispondermi con degli argomenti. Siamo diventati grandi amici. Desideravo essere come lui. Emanava una gioia profonda non con sorrisi forzati ma col suo atteggiamento di fronte alla vita. Non voleva cambiarmi: mi accoglieva come ero senza giudicarmi. Parlavamo. Così faceva con tutti. Quando è morto mi ha lasciato, in eredità, un certo sguardo che uso tutti i giorni.
Qualcuno recentemente mi parlava di una ragazza depressa di sedici anni, — colpita anche lei da paralisi cerebrale — che aveva già tentato diverse volte il suicidio. Che fare per ridarle il gusto della vita? Io non credo che ci siano ricette miracolose. Si vorrebbe eliminare la sofferenza al più presto e si deve lavorare per questo. Ma bisogna anche sapere aspettare che la persona sia matura per ascoltare chi vuole aiutarla. Personalmente ciò che mi ha aiutato è l’incontro con brave persone, persone autentiche. A volte bisogna provocare questi incontri e provocare la Provvidenza.
Ma si ha un bel costruire la propria vita, sforzarsi di lottare: a volte capitano difficoltà pesanti, troppo pesanti. Si può soccombere da un giorno all’altro. Bisogna ricominciare tutto.
C’è spesso la tendenza a giudicare negativamente chi soffre. Ci si domanda perché non fa niente per uscirne: quando la sofferenza è troppo grande, non c’è speranza, ci si rassegna. Per lottare bisogna avere una speranza anche se è folle. Tutte le prove che conosciamo nella vita possono diventare una possibilità e una forza. È qui che si può applicare al quotidiano la volontà, la speranza e soprattutto l’aiuto reciproco.
Ho trovato la filosofia
Fino a quattordici anni non valevo niente a scuola: era scoraggiante. Ho ripetuto due o tre classi. I miei genitori non appartengono ad un ambiente intellettuale. Così quando ho detto che volevo studiare filosofia sono stati d’accordo perfino prima che dicessi che cos’era! Mi davano completa fiducia! Io devo, veramente, questa mia vocazione, alla Provvidenza… Quando ho fatto i test di orientamento, mi hanno domandato quale è la forma del pallone… mi hanno fatto fare una torre con dei cubi! Poi bisognava scegliere in un elenco di mestieri: informatico, cassiere, idraulico. Io mi dicevo: «filosofo, è prima di idraulico». Nel programma non c’era nessuna proposta di studio! Non bisognerebbe scartare troppo presto certe strade anche per le persone disabili.
Ogni essere umano è unico. Ogni persona è veramente, secondo me, una fonte di meraviglia.
(da O. et. L. n. 135).
Alexandre Jollien , 2002
Elogio della debolezza
Autore: Alexandre Jollien
Editore: Qiqajon
Pubblicato: Pagine: 120
Prezzo consigliato: 9€
EAN: 9788882271091
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.79 - Il passo sicuro della speranza
Sommario
Editoriale
Abitare la speranza di M. Bertolini
Articoli
Ora la mia vita sta riprendendo forma e colore di Monica
Piccoli in carcere di Brunella
La mia vita come una gioiosa battaglia di A. Jollien
E poi? Cosa sarà di loro? Un amico di F.L.
La casa di Dario di C. Fornari
Il parco dei frutti dimenticati di E. De Rino
Semaforo rosso di P. André Roberti
Per portare frutto
Nuove tecnologie e disabilità
Rubriche
Libri
Onora il padre e la madre, M. Quilici
Cogliere u fiore e consegnarlo alla luce, M.T. Mosconi e E. C. Straluino
Dio mi ama così come sono, M.H. Mathieu