Forse non ce ne rendiamo conto ma spesso quello che cambia la nostra vita non sono gli avvenimenti ma gli incontri.
Mi hanno chiesto, Silvia, di raccontare qualcosa della nostra amicizia: io, tu, Andrea tuo fratello e Cristina, che ora è mia moglie.
Non volevo scrivere niente, sai, perché mi sento in colpa con te e con i tuoi genitori. È tanto tempo che non mi faccio sentire. Da quando vi siete trasferiti, non sono più venuto a trovarvi. Per fortuna che c’è Cristina a mantenere i contatti. Insomma, mi sembra di avervi un po’ abbandonato. Ma molti ricordi sono vivi e, col tuo permesso, proverò a richiamarne alcuni.
Mi vengono in mente piccole cose. Il mio iniziale imbarazzo di fronte alla dura realtà vissuta dai tuoi genitori con fierezza e senza nessuna autocommiserazione. Mi sono spesso sentito disarmato, senza argomenti, preparandomi prima di venire a trovarvi. Anche per questo, ho cercato di presentarmi sempre in compagnia, prima di Elisabetta, mia cugina, poi di Cristina. Ma sapevo che era importante venire, esserci, anche con la mia iniziale timidezza. E Nadia e Giulio, i tuoi genitori, sono sempre stati bravissimi nel metterci a nostro agio, chiedendoci notizie della nostra vita, prendendoci un po’ in giro, parlando di fatti di cronaca.
In realtà io con voi non ho mai fatto grandi cose: qualche ora come semplice baby sitter, conquistata la fiducia dei tuoi, per consentir loro di uscire per fare la spesa con calma in un grande magazzino; mettere a disposizione le mie qualità di fotografo in erba, per un ritratto da mettere sui documenti. Sarebbe stato complicato portarvi a fare una normale fototessera ed un fotografo professionista sarebbe riuscito davvero a cogliere la gioia degli occhi di Andrea o la forza del vostro sorriso? O il suo obiettivo si sarebbe fermato prima, colpendo solo le irregolarità del volto?
Mi vengono in mente una o due serate, non di più, quando siamo riusciti a convincere i tuoi a mangiare una pizza insieme, lì a casa vostra. Insomma, niente di speciale.
E non è di questo infatti che vorrei parlare. Piuttosto vorrei ricordare i tuoi genitori, te, Andrea. Il dolore vivo, profondo, persistente, quando Andrea, troppo giovane, ci ha lasciato. O i tuoi occhi che mi guardano, da sotto in su, e io ti parlo, convinto che mi puoi capire, anche se, in realtà, non mi hai mai risposto.
La rabbia accumulata in tanti anni dai tuoi genitori, che talvolta giustamente esplodeva dopo una frase o un gesto sbagliati di amici o parenti.
La forza e la tenacia e, al tempo stesso, la delicatezza e la passione nell’accudire due figli, ormai adolescenti, nelle loro necessità di neonato.
Venire a contatto con questa realtà e con gli interrogativi che essa pone. Accettare l’idea che forse non vi siano risposte a questi interrogativi. Ripensare se il dolore ha un senso. Riconoscere l’importanza della vita, comunque.
Spesso quello che cambia la nostra vita non sono gli avvenimenti ma gli incontri. Talvolta gli incontri diventano avvenimenti.
Nanni, 2002
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.80
Sommario
Editoriale
«Ci è stato dato un figlio» di M.Bertolini
Solo un trattino di E. Gucciardo
Articoli
QUESTI FIGLI CHE NON PARLANO
Lettera da una mamma del Molise
Ma come fa una mamma?! di Dany
Che cosa «fare» con loro? - La Casa del Sole e il Centro di Solidarietà di C. Campanini - C. Lupi
Amici. Sempre. di Cristina
Incontri di Nanni
Natale nel mio cuore di Camille Proffit
Favola: La scopa incantata - Una fiaba di Natale di N. Livi
Casa famiglia "La Tenda"
La fola de Nadae - La favola di Natale... in dialetto veneto di G.Zaninello
Libri
Lettere di Natale alla madre, R.M. Rilke