Il nuovissimo dizionario di Liturgia, curato da D. Sartore, A.M. Triacca e C. Cibien (San Paolo 2001) ha la novità di riservare una voce al tema «handicap e liturgia», redatta da don Carlo Cibien (pp. 920-935). Sono pagine che si rivolgono soprattutto ai sacerdoti, ai catechisti e agli operatori pastorali.
L’articolo inizia con delle considerazioni generali circa la disabilità, distinguendo tra menomazione, disabilità e handicap, tutti «aspetti diversi di una situazione di non uguaglianza strutturale congenita o acquisita che crea una distanza oggettiva tra un soggetto particolare e il gruppo aH’interno del quale vive» (p. 920). Spesso questa diversità si traduce in inferiorità, marginalizzazione o, all’eccesso opposto, in una forzata integrazione, «accentuando in modo ulteriormente patologizzante le situazioni già di forte dipendenza-protezione» (p. 921). Da qui «i tre principi che devono ispirare ogni approccio ai problemi che riguardano la partecipazione delle persone disabili alla vita sociale: integrazione, normalizzazione e personalizzazione» (p. 922).
L’articolo considera poi sui vari tipi di disabilità, congenita o acquisita:
- disabilità motoria;
- disabilità sensoriale logo-uditiva;
- disabilità sensoriale visiva;
- disabilità cerebrale congenita;
- disabilità psico-intellettiva.
La sacra scrittura e la persona con handicap
Nella parte terza, C. Cibien espone alcune riflessioni bibliche: è possibile ricavare indicazioni dalla Sacra Scrittura sulle persone portatrici di handicap? L’Antico Testamento prescriveva che poteva presentare l’offerta al tempio solo chi era esente da qualsiasi difetto fisico o mutilazione (cf Levitico 21, 16-20). Nei Vangeli vediamo invece Gesù che viene a contatto con ciechi, storpi, sordo-muti, lebbrosi, e che guarisce «ogni sorta di malattia e di infermità». Questo non significa che il cristiano non conosca più la malattia, la debolezza, l’handicap, la povertà, ma che a contatto con Gesù tutto può acquistare un significato nuovo. A Paolo che chiedeva di essere liberato da una piaga («una spina nella carne») il Signore risponde: «Ti basta la mia grazia» (2Cor 12, 7-10). Allo scriba che chiedeva: «Chi è il mio prossimo?», Gesù risponde trasformando la domanda in «sei prossimo?» (Le 10, 25-37). L’articolo presenta altri spunti di riflessione biblica, e il discorso potrebbe prolungarsi, anche se, a mio parere, al centro dovrebbe stare sempre il mistero pasquale del Signore, la sua croce e risurrezione, paradigma di ogni esistenza cristiana.
Nella quarta parte, C. Cibien affronta il tema più specifico dell’articolo: la partecipazione alla liturgia delle persone portatrici di handicap. Sono osservazioni molto interessanti, ricavate da studi, esperienze e documenti magisteriali. Non potendo riportare tutto, mi limiterò ai punti che mi sembrano più significativi.
La celebrazione liturgica non deve essere vista come un momento isolato dal resto della vita, ma con un «prima» e un «dopo». Questo significa coinvolgere la famiglia, evitare l’occasionalità, calarsi «nelle specifiche esigenze di chi è nella condizione di chiedere e nel diritto di non ricevere ulteriori umiliazioni» (p. 926).
Intraprendere la ricerca di un cammino di fede adeguato
Per questo è molto importante la formazione dei catechisti e dei pastori; spesso sono del tutto impreparati, per cui ricorrono a soluzioni estreme, o di totale chiusura o di massima facilitazione, piuttosto che intraprendere la ricerca di un cammino di fede adeguato.
L’articolo si sofferma poi sul problema del linguaggio, cioè della comunicazione (pp. 927-929). Grazie a Dio, la liturgia è fatta per coinvolgere l’intera persona, e perciò usa gesti, immagini, simboli. Proprio la presenza di persone disabili nelle celebrazioni ci ha fatto capire come fosse sbagliata una certa tendenza postconciliare a eliminare il più possibile gesti, segni, immagini.
Ma il segno primordiale è la comunità stessa: se essa saprà “celebrare” in pienezza la propria fede, ciò creerà una “sinergia” che verrà «simbolicamente percepita dal disabile come “attenzione amorosa” finalizzata al suo vivere meglio la vita» (p. 928). Ci fa piacere vedere come, su questo problema del linguaggio, C. Cibien citi espressamente il libro di H. Bissonier, “La tua parola è per tutti”.
Esistono ancora nella Chiesa grosse difficoltà ad accogliere gli ultimi
Vi è poi la sezione dedicata ai sacramenti: l’iniziazione cristiana (battesimo, cresima, eucaristia), la riconciliazione, il matrimonio, l’ordine, l’unzione degli infermi. Questa sezione andrebbe studiata a parte e con attenzione, per cui rimando a una lettura diretta del testo.
Concludo con alcune delle parole finali di don Cibien, che mi sembrano molto appropriate: «Nonostante duemila anni di storia e una infinità di stimoli, esistono ancora nella chiesa grosse difficoltà ad accogliere e prendersi cura degli ultimi. (…) La presenza di disabilità nelle comunità liturgiche impegna a una maggiore sensibilità, delicatezza, intraprendenza, rispetto della persona. Chiede di ridimensionare il concetto di «normalità», invita all’ascolto umile; in una parola: «riumanizza» le nostre comunità liturgiche predisponendole all’accoglienza trasformante e sanante dello Spirito di Dio» (p. 933).
– Enrico Cattaneo S.J., 2002
Questo articolo è tratto da
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