Cerco di ricordare se l’amicizia con la famiglia di Andrea e Silvia è cominciata quando ero già fidanzata con mio marito oppure prima, ma non ci riesco: comunque, circa dieci anni fa, lui aveva avuto modo di conoscerla tramite una loro vicina di casa e volle poi coinvolgere anche me.
Sarebbe certamente un tentativo poco realistico quello di separare l’amicizia con Silvia e Andrea, sorella e fratello — scomparso qualche anno fa — affetti entrambi da un handicap molto grave, da quella con i loro genitori; la mamma è stata, di fatto, veicolo fondamentale per arrivare a loro; attraverso loro, però, l’amicizia con lei è stata molto diversa da quella che avrebbe potuto essere in qualsiasi altra situazione. In questa famiglia, più che in altre, emergeva la necessità concreta e non solo psicologica di essere quasi un unico corpo: infatti, per Silvia e Andrea era stato impossibile vivere autonomamente.
Le occasioni dei nostri incontri non avevano un motivo od uno svolgersi particolare: cominciavano con una nostra telefonata per chiedere se potevamo andare, seguiva la risposta praticamente sempre affermativa e ci trovavamo così per un pomeriggio insieme di fronte ad un buon té con i biscotti. L’immagine che mi viene in mente, pensando a questi pomeriggi, è quella del ritrovarsi intorno al calore di un focolare a far chiacchiere, sempre vicini a Silvia e Andrea nella loro accogliente stanza.
Mi colpiva l’umile discrezione di Nadia e Giulio nel portare e vivere questa sofferenza, senza sentire la necessità di cedere ad un più facile vittimismo; mi colpivano le attenzioni con cui Nadia circondava i suoi figli: i piatti prelibati che preparava loro, le cose belle di cui li contornava e l’accuratezza con cui li vestiva. Mi colpiva soprattutto per come questo contrastava con la realtà vissuta in un istituto dove avevo avuto modo di lavorare per tre mesi e dove, certamente per svariate ragioni, il contatto con persone affette anche da gravissimi handicap, non passava proprio per questi canali, che, forse, apparivano un «inutile» contorno per ragazzi cerebrolesi.
Il piacere di ritrovarsi con questa famiglia è stato motivo; della costanza con cui, per quel periodo, le siamo stati vicini, costanza che credo abbia poi fatto sì che Nadia abbia trovato il coraggio, insieme al marito, di affidarci i figli per un paio di brevi vacanze estive. Parlo di coraggio perché sapevano di non trovare qualcuno bravo come loro, a prendersi cura dei loro figli. Capivo profondamente questo stato d’animo e mai come allora ho sentito il carico della responsabilità di chi, così fragile, mi veniva affidato.
Questo passo, ha significato anche un momento di «emancipazione» sia per Silvia e Andrea che, adolescenti, per la prima volta stavano per un periodo di tempo, per loro certamente lungo, senza la mamma (e se ne sono accorti molto bene di questo «senza», anche soffrendone), sia per i genitori stessi, che potevano pensare, per qualche giorno, un pò più a se stessi. Ho avuto così il privilegio di poter stare loro vicina, cercando di sostituire Nadia meglio che potevo nelle loro necessità quotidiane, sentendomi un pò una sorella maggiore, coinvolgendoli in attività che a casa e con i propri genitori, normalmente, non si fanno. Privilegio anche di essere presente poi quando la mamma ed il papà li venivano a prendere e assistere al ritrovarsi e ricomporsi di quell’unico corpo/familiare.
Purtroppo poi Andrea non è stato più tanto bene da poter permettere altre uscite così lunghe; un giorno d’estate, dell’anno in cui mi sono sposata e trasferita in un altra città, Andrea è tornato al Signore, lasciando un gran vuoto nel «nostro focolare».
Per adesso le nostre strade si sono allontanate — famiglia, lavoro, trasferimenti, nuove realtà che a vent’anni non vivevamo —, ma certamente Silvia, Andrea ed i loro genitori, Nadia e Giulio, mi hanno mostrato con il loro modo di essere, l’amore che può legare marito e moglie, genitori e figli. Purtroppo non è facile descrivere a parole l’importanza e la bellezza di quei pomeriggi, di questi amici che rappresentano, adesso, pietre d’angolo nel mio cuore.
Cristina, 2002
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.80
Sommario
Editoriale
«Ci è stato dato un figlio» di M.Bertolini
Solo un trattino di E. Gucciardo
Articoli
QUESTI FIGLI CHE NON PARLANO
Lettera da una mamma del Molise
Ma come fa una mamma?! di Dany
Che cosa «fare» con loro? - La Casa del Sole e il Centro di Solidarietà di C. Campanini - C. Lupi
Amici. Sempre. di Cristina
Incontri di Nanni
Natale nel mio cuore di Camille Proffit
Favola: La scopa incantata - Una fiaba di Natale di N. Livi
Casa famiglia "La Tenda"
La fola de Nadae - La favola di Natale... in dialetto veneto di G.Zaninello
Libri
Lettere di Natale alla madre, R.M. Rilke