Negli schemi delle parole crociate, per definire «nato», si trova spesso «portato alla vita». Inizio, quindi, di un viaggio più o meno lungo, di un’avventura. Sono nata e cresciuta in una piccola famiglia composta dai miei genitori, da una sorella maggiore e da un fratello minore. Mio padre e mia madre erano ambedue colpiti da una brutta malattia rivelatasi incurabile. Mio padre si ammalò durante il servizio militare e, come invalido di guerra, ha potuto restare con i suoi familiari — trasferitisi in un villaggio di montagna — fino alla morte. Una famiglia, i cui membri sono colpiti da tubercolosi, inserita in un ambiente di persone sane, è costretta a subire molti affronti. La paura del contagio la rende indesiderata. Questa familiarità con la malattia, la vicinanza con la morte, la paura lancinante della separazione familiare, mi ha fatta maturare molto presto ed è qui che si situa il punto di partenza della mia vita di fede.
Trent’anni fa, a metà strada della mia vita, ho intuito la chiamata di Dio nella vita della mia famiglia, a partire da grossi problemi che aveva nostra figlia, problemi legati alla sua malattia: l’epilessia. È stato in quel periodo che ho capito che avevo qualcosa da offrire, ma anche che avevo molto da ricevere e da imparare dalle persone deboli, diverse.
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E poi un giorno, un giorno unico, ho scoperto «Fede e Luce»; il dono speciale di Gesù fatto alle persone ferite nella loro affettività, ai loro genitori, ai loro amici. Ho riscoperto, ritrovato la gioia, la festa, la celebrazione.
Il passare a diversi posti di responsabilità in Fede e Luce è stata una grazia meravigliosa e inestimabile per me. Ho avuto il privilegio di frequentare, di imparare, di essere illuminata dai suoi fondatori e di poter condividere il loro entusiasmo.
Fede e Luce mi ha aperto cammini impensabili di crescita, di ricchezza in amore. A Fede e Luce non si fa carriera, non si salgono i gradini della gerarchia, ma si diventa degli inviati, dei porta-parola di quanto si è ricevuto per andare a seminare ai quattro venti quello che ci abita e ci dilata.
Oggi continuo il mio viaggio in modo diverso, più adatto alla stagione della mia vita.
Da giovane, lavorando come ergo-terapista in un reparto geriatrico, avevo avvertito l’enorme peso di sofferenza delle persone completamente sole di fronte all’avvicinarsi della morte. A quell’epoca non esistevano le cure di accompagnamento per chi è in fin di vita. La tristezza, dovuta a quella carenza, si è deposta in fondo al mio cuore e ha suscitato e ispirato un piccolo gruppo di persone a cercare i mezzi di formazione, ad organizzarsi per rendersi disponibili e competenti in modo da rispondere a quel bisogno.
Ora, spesso di notte, in silenzio, nella pace di una camera d’ospedale, sono chiamata a vegliare una persona morente, tenendo, nella mia, la mano di chi che se ne va al Padre.
Signore Gesù, fa’ delle nostre famiglie Fede e Luce una fonte viva, non un rifugio. Concedici di prendere posto in un mondo pluralista che aspetta la nostra testimonianza per scoprirti.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.73
Sommario
Editoriale
Microgiustizia di M. Bertolini
Dossier: Da un sentiero all’altro
Come separare l’onda dal mare di A. Mazzarotto
L’arma vincente nella mia vita di F. Mancini
Quelle ore mi hanno segnata di A. Cedroni
Mi hanno aperto gli occhi di R. de Pascale
Quando il caso non è un caso di don Paolo
Spesso di notte in silenzio di Y. Bonvin
Chi ha bisogno di noi
Due chiamate speciali di Vanna Rossani
Domenica pomeriggio di T. Cabras
Scout a Lourdes di D. Cogliandro
E lì ci hanno accolto con gioia di E. Bignatti
Rubriche
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