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La comunicazione facilitata non ha ottenuto all’interno della comunità scientifica e professionale, un giudizio unanime rispetto alla sua validità.
L'articolo che segue è stato scritto diversi anni fa e va letto tenendo conto degli anni trascorsi.

- La Redazione

È accaduto quasi nelle stesse settimane: esce il libro «La ragazza porcospino» scritto con il metodo della comunicazione facilitata da Katja Rohde, una ragazza autistica tedesca; una fedele amica di F. e L., Teresa Rendina ci invia la bella lettera che pubblichiamo in cui sottolinea i progressi compiuti da Michele suo figlio, nel campo della comunicazione e ci segnala il libro «l’Albatros» di cui è autore Christian Moretti, ragazzo autistico di Roma.
Il libro è la testimonianza scritta del cammino di un ragazzo affetto da autismo che in tre anni ha imparato, battendo sulla tastiera del computer, a comporre parole, balbetta, brevi frasi, fino a pensieri completi e articolati, lettere, riflessioni organizzate sugli argomenti più diversi La prefazione del libro è di Francesca Benassi, educatrice di Roma, tra le maggiori responsabili della diffusione e della utilizzazione del metodo C.F. tra i ragazzi autistici.
In redazione ci rendiamo conto che, trascorsi tre anni, (vedi Ombre e luci n. 63 – 1998) è giunto il momento di ritornare sull’argomento C.F., su questo metodo per la comunicazione che si sta diffondendo in Italia, in Europa e nel mondo con grande forza, accompagnata da entusiasmi ma anche da riserve e critiche.
Questa volta vogliamo risalire alle fonti, o meglio ad una delle fonti, e quindi andiamo a parlare di C.F. con Francesca Benassi, che da quasi 10 anni se ne occupa, che ha studiato il metodo in Francia e negli Stati Uniti, che a Roma è la responsabile del «Centro studi C.F.».

Per molti soggetti con disturbo prassi- co, neuromotorio, autistico, l’inabilità più evidente consiste nel non riuscire a compiere un gesto coincidente con la propria volontà perché questo implica una sinergia di sistemi cognitivi e motori che non possiedono. Non potendo in alcun modo compiere un gesto volontario e finalizzato, e non esprimendosi verbalmente in modo comprensibile, non sono in grado di comunicare in alcun modo e vengono, di conseguenza giudicati «a basso funzionamento e con grave ritardo mentale».

Nel corso della ricerca ci si è resi conto che, questi stessi soggetti, se sottoposti a «training», cioè ad esercizi finalizzati e continui, potevano rispondere ad alcune richieste, utilizzando il metodo indicativo, in modo corretto e superiore alle aspettative. Si è scoperto cioè, che un gesto finalizzato ad uno scopo poteva essere eseguito se l’operatore, inizialmente, tratteneva o contrastava in qualche modo il movimento spontaneo della persona disabile, con il suo braccio.

– Leggi anche: Autismo e comunicazione facilitata: Come Michele è uscito dalla sua “fortezza”

Il soggetto disabile dunque, con una «facilitazione minima», cioè con il sostegno del braccio o della mano dell’operatore, riesce a comunicare indicando con un dito oggetti, immagini, simboli e poi lettere su di una tastiera per comporre delle parole, rispondendo a delle domande che gli vengono formulate, riuscendo, per la prima volta nella sua vita, in qualche modo ad esprimersi. La diffusione e l’uso del computer ha reso più agevole e rapida la composizione delle parole per queste persone, ha agevolato la trasmissione di sensazioni e man mano di pensieri più articolati dei soggetti guidati dalla comunicazione facilitata, appunto.

La C.F. può quindi definirsi come una modalità alternativa di comunicazione, resa possibile dalla riabilitazione dell’atto motorio volontario. È evidente che, per raggiungere qualche risultato, il soggetto facilitato deve già conoscere i segni della scrittura, deve essere stato a scuola o comunque a contatto con testi scritti. È importante ricordare che spesso queste persone possono avere imparato a riconoscere e ad usare le lettere dell’alfabeto senza mai averlo precedentemente manifestato perché sono, spesso, dotate di grande capacità di concentrazione e di memoria mentre, come si è detto, sono impossibilitate a comunicare autonomamente il loro pensiero.

Il sostegno o la pressione del braccio che inizialmente guida il gesto della persona disabile deve a poco a poco, farsi più leggero fino a scomparire del tutto. Diversi ragazzi autistici seguiti dalla dr. Benassi scrivono ora autonomamente senza nessun sostegno o contatto con la comunicatrice.

Un aspetto importante riguarda la finalità della C.F., ci chiarisce ora la dr. Benassi. Questo metodo è stato accettato e perseguito con forza da lei e 11 dal gruppo che lei rappresenta perché lo si è visto come il mezzo che permetteva finalmente a queste persone chiuse in un loro mondo «altro» di comunicare con il nostro, di rivelare i loro sentimenti, pensieri e anche frustrazioni e angoscie. Sicuramente la C.F. permette ai genitori, ai famigliari, agli amici, di conoscere il ragazzo autistico, di scoprire la persona che si nasconde dietro il grave handicap e questo porta ad una vera rivoluzione nel modo di considerarlo e trattarlo. Detto ciò è importante sottolineare, afferma la dr. Benassi, che questa comunicazione deve tendere – soprattutto – a reinserire, per quanto è possibile il soggetto nella collettività, con una crescente autonomia. Fin dall’inizio lo scopo del comunicatore è quello di fornire aiuto e comprensione perché il soggetto accetti di comunicare, non tanto quello di saggiarne l’intelligenza o la capacità e tanto meno sarà quello di addentrarsi pericolosamente in una specie di terapia psicoanalitica che non rientra nelle competenze del comunicatore e potrebbe comportare gravi problemi al disabile.

Nessuna improvvisazione

Il metodo delle domande e risposte è indispensabile e va sempre impiegato perché aiuta il soggetto a fare ordine mentalmente.
La persona che segue il paziente nella C.F. è detta anche «facilitatore»: data la complessità del suo compito, nessuno può improvvisarsi «facilitatore». Possono, anzi, è importante che lo divengano i genitori, i fratelli, un amico… ma devono prepararsi. Un corso di «facilitatore», comprensivo di teoria, pratica e tirocinio al Centro Studi C.F. dura circa due anni.

Le regole essenziali per il facilitatore, sembrano dover nascere dal cuore e dalla mente di un amico più che dai testi: rispetto della persona che gli è affidata, grande fiducia nelle sue nascoste possibilità e tantissima costanza. I tempi possono essere diversissimi a seconda dei casi: pochi mesi o anni prima di arrivare a qualche risultato.

Quel che è certo, ci assicura la dr. Benassi, è che il metodo sta dando buoni risultati in ogni paese dove è stato applicato e va quindi diffondendosi sempre più. In Italia sono ormai avviati rapporti tra il Centro C.F. e il Ministero della P.I. Sono stati tenuti dei corsi per gli insegnanti di sostegno nelle scuole statali e il metodo è utilizzato in diversi grandi Centri diurni.

La C.F. non è una magia e non fa miracoli, non guarisce l’handicap in nessun caso ma nelle persone disabili rivela processi mentali attivi, comprensione del linguaggio, capacità di costruire frasi utilizzando un vocabolario a volte superiore a quello dell’età reale. Una grande scoperta, ci sembra, assolutamente imprevedibile soltanto qualche decennio fa!

Importante: tutti i genitori, gli amici o gli educatori che sono interessati a saperne di più possono telefonare Francesca Benassi. Centro studi Comunicazione facilitata – Via del Colosseo 16\A – tei. 06/69920878.

– a cura di Tea Cabras, 2001

Maria Teresa Mazzarotto

Insegnante e madre di 5 figli. Ha collaborato con Ombre e Luci dal 1990 al 1997.

Tutti gli articoli di quest'autore

Maria Teresa Mazzarotto

Insegnate

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.75

Sommario

Editoriale

Vogliamo andare avanti? di M. Bertolini

Autismo e comunicazione facilitata

Come Michele è uscito dalla sua fortezza di T. Rendina
Intervista Francesca Benassi di T. Cabras

Altri articoli

Fotoconcorso: I più piccoli a Lourdes
I miei "Piccoli Principi" di C. Cornacchione
I Condomini Solidali di Tea Cabras
Paola è venuta ad abitare con noi - Comunità Nicodemo di B. Ghislandi e U. Di Carpegna
Sottovento, Un film da vedere di F. Ascenzi
Grazie Ingrid di Paolo Salvini
Handy Cup di Redazione

Rubriche

Dialogo aperto

Libri

La ragazza porcospino, Katja Rohde

Parliamo di comunicazione facilitata: intervista a Francesca Benassi ultima modifica: 2001-09-27T11:11:48+00:00 da Maria Teresa Mazzarotto

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