Nella notte del 26 marzo 1996, in Algeria, sette monaci trappisti vengono rapiti dal GIÀ (Gruppo Islamico Armato) nel loro monastero di Tibhirine. Dopo quasi due mesi i fondamentalisti islamici annunciano: “Ai monaci abbiamo tagliato la gola”.
Come sono stati da loro vissuti questi due mesi? Cosa hanno sentito, provato, questi uomini al culmine della tragedia e di una vita dedicata alla testimonianza? Non possiamo saperlo. Possiamo solo intuire qualcosa attraverso il modo in cui hanno vissuto e ciò che hanno testimoniato fino a quel momento.
Questo libro, attraverso lettere circolari, omelie, conferenze, pagine di diario, ci affida il loro messaggio. È il messaggio di una comunità che a poco a poco prende coscienza dell’altissimo rischio di morte che comporta la sua presenza a Tibhirine e che riafferma giorno dopo giorno la propria vocazione e la propria fedeltà. Questi monaci testimoniano che l’amore è possibile, sempre, fino a dare la vita per esso. Tra le pagine più belle ci sono quelle del testamento spirituale del priore, Frère Christian, che termina così: “È anche per te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quello che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo a Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due”.
I monaci erano arrivati in Algeria molto tempo prima con una vocazione precisa: vivere in unione con il Cristo seguendo regola di San Benedetto e lo spirito e le costituzioni dell’Ordine di Citeaux; vivere proprio là, vicino al deserto, accomunati al destino di un paese dove le tensioni politiche e sociali si facevano sempre più grandi.
È la storia di una comunità unita e raccolta nella preghiera e nella fatica quotidiana, ma aperta alla accoglienza delle persone, tante, con le quali viene ogni giorno in contatto. Il mondo che la circonda è quasi totalmente musulmano e pregare e lavorare con gli algerini, adorare lo stesso unico Dio, dialogare sui punti in comune, diventa a Tibhirine un’aspirazione costante, un’abitudine imprescindibile. Bisogna leggere i testi per poter cogliere, con stupore, la crescita spirituale e gli orizzonti raggiunti da questi monaci, così diversi tra loro e così uniti nel desiderio di vivere l’amore che Gesù ci ha comandato. Malgrado l’altezza del percorso, da questa lettura ci giunge un modello concreto che ci incita e ci sostiene. Scrive Frère Christian: “Più la speranza è immensa, meglio percepisce istintivamente che potrà compiersi solo investendosi risolutamente in una lunga pazienza con sé, con l’altro, con Dio stesso. È giorno per giorno che dovrà mantenersi, per vivere. Ogni piccolo gesto le serve per dirsi. Un bicchiere d’acqua offerto o ricevuto, un pezzo di pane condiviso, una stretta di mano, parlano meglio di un manuale di teologia riguardo a ciò che è possibile essere insieme. Siamo segnati, gli uni e gli altri, dalla chiamata di un al di là, ma la logica prioritaria di questo al di là è che si può far meglio tra noi, oggi, insieme”.
Gli spunti di riflessione sono così numerosi in questo libro che non ci è possibile proporne altri. Invitiamo caldamente i nostri lettori a leggerlo.
– Natalia Livi, 1999
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.65, 1999
Sommario
Articoli
Ombre e Luci, oggi. Ha ancora senso? di Redazione
Lettera ai genitori di bambini speciali della mamma di Dafne
Intorno alla nascita T. Cabras e N. Schulthes
La preghiera con Maria Teresa di P. A. Roberti
I nostri grandi amici: S. Giuseppe da Copertino, il frate volante
La mamma e il teologo di M. Bartesaghi
Una nuova Casa Famiglia: OIKOS di N. Schulthes
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Libri
Vivere con l’autismo, Eric Schopler
Un fratello da nascondere, E. Laird
Più forti dell'odio, Comunità di Bose