La signora Angela è nata il mio stesso giorno e mese, per questo mi è più cara.
Quando è venuta la prima volta in ambulatorio, Roberto era già un ragazzo, alto e robusto, ben curato, una bella faccia seria.
Per questo erano più strani i saltelli, i battimani, le parole senza legami, i sorrisi da bambino nati da una filastrocca conosciuta sussurrata all’orecchio e le pose, naturalmente contegnose e compassate sulla sedia dell’ambulatorio, quasi una poltrona di congressista, durante i nostri incontri con la mamma, il padre, i fratelli e gli assistenti domiciliari, premurosi e attenti compagni. Lo sguardo e il pensiero altrove. Anche il mio a volte, dietro a un bambino che cerco di immaginare, con una mamma da trent’anni la stessa, gentile, dolce accento veneto, pensieri affettuosi, paura di disturbare, dignitosa, discreta, riservata, vestito di seta scura, golfino, capelli grigi, stanca, stanca.

Da me viene quando il peggio è passato, per non mostrarsi quando è costretta ad essere più dura con Roberto; perché, quando è arrabbiato, lui rompe quello che gli capita e da qualche tempo allunga pure qualche schiaffone alla signora Angela che si difende con un cucchiaio di legno, di quelli per girare il sugo, lo stesso con cui riusciva qualche volta a intimidirlo quando era piccolo.
Dopo piangono tutti e due, lui per quello che ha fatto e lei perché non è riuscita a capire prima e a fermarlo.
Da trent’anni si sforza di capire cosa passa nella testa di quel ragazzo che si ostina a tenere con sé anche adesso che non c’è più il marito, un gentiluomo siciliano, piccolo, con i baffi, al quale volevo molto bene.
Era terrorizzato da Roberto e dalle sue stranezze e quasi incapace di opporsi a lui (notti passate in macchina ad aspettare che si decidesse a farlo entrare in casa, domeniche a Porta Portese a scegliere tra i banchetti cappelli e berretti militari e borse e cartelle ostinatamente pretesi e destinati a improvvisi e imprevedibili voli dalla finestra) ma semplicemente e bruscamente adorante quella donna delicata e salda, fragile e risoluta che prendeva coraggio dalla sua mancanza e a cui la mancanza di lui ha indebolito il coraggio.

La gardenia che lei mi ha regalato ha alti e bassi, è fiorita più e più volte, dopo l’estate sembrava morta, uno stecco su un tappeto di foglie secche accartocciate. In settembre ha ripreso vita e adesso sta sul balcone piena di foglie lucide di tanti verdi diversi.
Le gardenie non mi sono mai durate a lungo. Sono piante difficili da tenere.
Adesso la signora Angela vorrebbe ritirarsi, per pensare, coltivare la sua nostalgia, tenere un po’ le mani in grembo, senza cucchiai di legno, addormentarsi con i suoi pensieri, senza impedimenti.
Roberto, anche lui, ha bisogno di un’altra casa, né troppo vicina né troppo lontana, con il tranvetto che ci passa accanto e un piccolo giardino con un albero di melograno.
La signora Angela farebbe le tendine, andrebbe il sabato e la domenica, qualche volta anche a cucinare, per tutti.

Maria Irene Sarti , 1998

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.63, 1998

Sommario

Editoriale

Sapersi meravigliare di M. Bertolini

Il melograno

Roberto trova un'altra casa di L. Cusimano
Ora può riposare di M. I. Sarti
Roberto, chi sei? di M. Cusimano
Giorno di festa al Melograno di N. Schulthes

Altri articoli

Impossibile tacere
Isolamento infranto di A.M. Vexiau
Sinceramente increduli di C. Colaizzi
Catechesi facilitata di Don A. Lonardo
I nostri grandi amici: Maria Teresa di B. Morgand e N. Herrenschmidt
Congresso mondiale dei movimenti ecclesiastici 1998a cura di D. Mitolo

Libri

Hikari – «Una famiglia», O. Kenzabuto

Rubriche

Dialogo aperto
Vita Fede e Luce

Ora può riposare ultima modifica: 1998-09-28T14:08:47+00:00 da Redazione

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