Sheila Hollins, professore e consulente onorario nel servizio di psichiatria per le persone con handicap nell ospedale S. Giorgio a Londra, è madre di quattro figli, uno dei quali, Nigel, è disabile mentale.
Quando si pensa ai genitori, di solito si pensa alle gioie della paternità e della maternità. Di fatto, essere genitori è un misto agro-dolce di gioia e di dolore; il dolore del parto, il dolore di non sentirsi all’altezza del compito e il dolore di vedere il figlio soffrire; la gioia di ricevere l’amore dal figlio, la gioia di veder sbocciare una nuova personalità, la gioia di condividere i suoi successi.
Vedere le cose come sono
Perché tutto è così diverso per i genitori di un figlio che ha bisogni speciali?
Tutti i genitori nutrono speranze prima della nascita di un figlio, speranze che possono essere espresse o tenute nel segreto del proprio cuore.
Ad esempio, si può desiderare un figlio calciatore, o ingegnere, o pianista; qualcuno che raggiungerà le mete non raggiunte dal padre o dalla madre. Qualche genitore si dice: «Avrà tutte le possibilità che noi non abbiamo mai avuto».
Uno scrittore diceva che il figlio reale è sempre diverso dal figlio atteso e che la madre e il padre devono accettare che il figlio sia così com’è. La differenza può essere insignificante, ma può anche essere enorme.
Ci sarà forse un deficit particolare, come un ritardo sensoriale o motorio, un handicap fisico, una malattia più o meno grave. Questo vuol dire immediatamente che il bambino ha bisogno di qualcosa in più.
Il sentimento che «se un bambino ha dei bisogni speciali», ha anche bisogno di qualcosa in più. l’ho sentito in modo molto forte in quanto madre. Ho visto che io stessa, e mio figlio e la mia famiglia, avevamo bisogno di un aiuto speciale. 11 medico non voleva saperne — credo perché si sentiva impotente — e così mi ha mandata da uno specialista.
… Altre realtà influiscono pesantemente.
Nei gruppi con altri bambini, ci si sente a disagio. Le altre mamme non sanno cosa dire. Gli stessi amici, con i loro figli normali e in buona salute, evitano di venire a trovarci.
L’esperienza fatta dai genitori nella loro infanzia o nelle relazioni precedenti; l’esperienza fatta con i figli più grandi; storie di malformazioni precedenti in famiglia…
Ci sono poi altri fattori particolari, per esempio, la nascita di un bambino sordo in una famiglia di musicisti; il fatto che il figlio disabile nasce in una famiglia dove ci sono molte bocche da sfamare.
È molto importante anche l’atteggiamento culturale della comunità nella quale è inserita la famiglia del bambino disabile. Ad esempio, se nella cultura dove siete inseriti, si crede che l’handicap sia contagioso, il bambino e la sua famiglia, non si sentiranno accolti. Un bambino con handicap può essere considerato dalla gente come un dono di Dio o come un inviato del demonio: questo ovviamente cambia l’atteggiamento delle persone.
L’atteggiamento dei professionisti
Le prime persone che influenzano il comportamento dei genitori sono forse i professionisti e purtroppo la loro influenza può essere negativa.
Prima della nascita, ad esempio, in Inghilterra, si propone a molti genitori una diagnosi prenatale per vedere se il bambino ha un handicap o una malformazione. Alcuni ostetrici dicono ai genitori: «Se il bambino è Down è vostro dovere verso la società abortire». E molto raro che i genitori in questa circostanza dicano: «Voglio avere questo bambino e vogliamo essere aiutati subito in modo da essere pronti ad accoglierlo al momento della nascita».
Ci sono anche genitori che promuovono un’azione legale contro gli ostetrici che non hanno diagnosticato l’handicap del figlio prima della nascita, per il costo che tale nascita rappresenta per loro. So che sono molti i casi di questo genere in Inghilterra e moltissimi in America.
La reazione di ogni persona è unica
Ho visto famiglie molto diverse fra loro, reagire nello stesso modo di fronte a un figlio disabile, ma con maggiore o minor sconforto, a scapito dei bisogni apparentemente simili del figlio.
La realtà esteriore è per le famiglie forse la stessa, ma lo sgomento non è uguale. La ragione di ciò sta nel modo in cui reagiamo che non dipende dalla realtà esterna ma dalla realtà interiore che è unica per ciascuno e quindi diversa per ognuno.
La reazione dei genitori alla nascita di un figlio con handicap o all’annuncio tardivo della diagnosi è molto simile alla reazione della maggior parte delle persone quando perdono una persona cara. Il lutto, normalmente, è limitato nel tempo e termina con la riorganizzazione della vita senza la persona che è mancata. Invece il figlio disabile è lì, tutti i giorni per ricordare il sogno perduto, il bambino perfetto sperato.
Questo è il lutto dei genitori che, per forza, ci metterà più tempo a sparire.
Nei momenti cruciali della vita della persona disabile, tutto il percorso del dolore può ricominciare. Così, per esempio, quando il bambino deve cominciare la scuola, il fatto di ricordare tutto quello che non potrà fare, può risuscitare i sentimenti di tristezza e di rimpianto di quel che avrebbe potuto essere.
Questo può accadere anche alla nascita di un altro figlio, al momento della pubertà del figlio disabile, al momento in cui dovrà lasciare la scuola, quando dovrà entrare in un centro, quando uno dei due genitori si ammala o muore.
Sono possibili tempi di crisi nella vita di una persona con handicap e della sua famiglia, che si sommano alle crisi che ogni giorno sorgono in seno ad una famiglia.
Questa reazione di lutto è molto comune e non deve essere considerata patologica. È più o meno dolorosa, dura più o meno a lungo, e finisce più o meno bene, a seconda dei casi.
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Man mano che la realtà dell’handicap si impone e che i genitori «vivono il lutto» per il loro figlio perfetto, il dolore può trasformarsi in sensi di colpa: «Ho fatto certamente qualcosa di male»; o di collera verso il coniuge: «Viene dalla sua famiglia, perché sua nonna è morta in una clinica psichiatrica».
La colpa, la collera, possono avere una ragione. Si può prendersela con l’ostetrico, con il medico… Molti litigi della coppia sorgono da questo bisogno di prendersela con qualcuno.
Il problema viene anche dal fatto i genitori, almeno in Occidente, aspettano un bambino in buona salute, perfetto al cento per cento.
Quando poi i genitori sembrano arrendersi all’evidenza, capita, a volte, che si attacchino a un’ultima speranza o a un’ultima condizione prima di accettare la realtà. Questo patteggiamento (ad esempio: «Dal momento che sta cominciando a parlare…») può portare a un tardivo rifiuto di un figlio che apparentemente era stato accettato nella cerchia familiare.
Poco per volta, l’adattamento o l’accettazione si accompagnano a una riduzione della sofferenza e dello sconforto. Quando si accetta la realtà, l’amore prende il sopravvento. I genitori ritrovano fiducia in se stessi e cominciano a sentirsi capaci di cooperare seguendo i consigli dei professionisti. Ma finché non raggiungono questo stadio di accettazione saranno definiti come «non cooperativi» o ansiosi da parte dei professionisti e si stabiliranno rapporti disturbati e poco fruttuosi.
Questo processo che sto cercando di descrivere, è dinamico. Dopo l’accettazione, può accadere che quei sentimenti di sconfronto e di collera riappaiano, che i genitori non ne possano più, e abbiano bisogno di aiuto per ricominciare a lottare.
Aiutare le famiglie a superare lo sconforto emotivo
Credo che la sofferenza emotiva richieda la comprensione di qualcuno, un professionista, un consigliere, un prete o un amico.
Quanto a me, considero la reazione di ogni persona nel contesto familiare o nel contesto della comunità sociale in cui vive. L’aiuto che propongo dipende dal bisogno così come è percepito ed espresso dal genitore. Vi sono papà e mamme che riescono ad esprimere il loro dolore in modo che possono essere aiutati insieme. Spesso il papà è escluso o si esclude da sé, e l aiuto passa attraverso la mamma.
Sempre secondo la mia esperienza, se i genitori riescono a far fronte, anche i figli ci riusciranno. Se invece i genitori non sanno adattarsi, questo si ripercuoterà su tutti i membri della famiglia e tutti, allora, dovranno essere aiutati.
Al momento dell’adolescenza, la persona disabile potrà beneficiare di un aiuto e di una terapia individuale.
Infine, perché i genitori possano amare il loro figlio disabile, bisogna che possano esprimere la loro delusione, la ferita che portano dentro che, a volte, dura tutta la vita.
– Sheila Hollins, 1996
(1) testo tradotto e ridotto da una conferenza – da Lettres de l’Arche n. 53-54.
I genitori (papà e mamma) che avranno letto questo testo, potrebbero sentire il bisogno di parlare del loro «processo di accettazione e di adattamento» col proprio figlio disabile. Potrebbero aver voglia di raccontare se sono stati aiutati e da chi, o viceversa, se questo aiuto ancora oggi non c’è mai stato e non si sa dove andarlo a trovare.
Invitiamo chi ne avesse desiderio, di prendere il coraggio di «buttar giù » i propri sentimenti, impressioni, desideri che questo testo ha suscitato in loro.
Saremo lieti di leggervi e, nei limiti delle nostre possibilità, di darvi qualche consiglio.
La Redazione di Ombre e Luci
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.33, 1996
Sommario
Editoriale
Ai genitori e agli amici di M. Bertolini
Articoli
Lo sconforto emotivo esige comprensione di Redazione
C’è un problema col tuo bambino? di Redazione
Pane, amore e fantasia di Emanuele e Stefano
Comunità alloggio per persone con handicap intellettivo di Redazione
Comunità famiglio di Endine di Redazione
I fornelli di Marta e Matteo di Suzanne Vidon
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Libri
Il mio nome è trappola – La favola di Anna, M. Passet
Oltre l’handicap – Esperienze e proposte a contatto con bambini autistici, C. D'Angelo
Cambiare il cuore, C.M. Martini, A. Elkann