La festa dei 18 anni di Rosita fra le due sorelle ogni volta (o quasi) che parlo con mia sorella Lucia nostra madre interviene: «Cosa c’è? Lasciala stare!» Sembra quasi che le mie parole possano uccidere la figlia. Se io fossi un estraneo, e quindi un potenziale molestatore, il suo comportamento potrebbe anche essere comprensibile. Ma io sono l’unico fratello di Lucia e perciò devo avere un ottimo dialogo con lei, anche perché quando i miei genitori non ci saranno più (speriamo il più tardi possibile!!) sarò io ad occuparmene. Come potrò farle capire qualcosa se mi vedrà con diffidenza?
Ma la cosa che più mi fa rabbia è che quando io e mia sorella siamo soli andiamo molto d’accordo e ci divertiamo sempre: la pigrizia che nei ragazzi Down è una componente di base, sembra dissolversi come per incanto e le mie parole diventano quasi un comandamento: quando invece assisto ai dialoghi tra la mamma e Lucia, noto che quest’ultima si sente quasi autorizzata a disobbedire, come se pensasse: «Di quello che dice mamma non mi importa niente, tanto lei dopo mi perdona sempre!».
Purtroppo sono tanti anni che lotto (da ariete quale sono) contro questo problema che si ripete in quasi tutte le famiglie. I genitori non riescono ad avere polso con questi ragazzi e finiscono con il sottostare a ogni loro più piccolo capriccio, naturalmente per eccessivo amore.
A questa affermazione molti genitori rispondono: «Avrei voluto vedere te cosa avresti fatto con un dolore così grande!» Ed io replico: «Credete che noi fratelli invece ne siamo contenti?!» Questo fardello un giorno passerà sulle nostre spalle e i genitori hanno l’obbligo di renderlo leggero.
Bisogna quindi essere forti e non nascondere la propria debolezza dietro queste parole provocate dalla compassione. Altrimenti i ragazzi si adagiano su questo stato di cose rivelandosi agli occhi di tutti in maniera negativa: i difetti vengono così evidenziati e non si capiscono invece le potenziali capacità delle persone con handicap.
Il caio di mia sorella è indicativo: è una persona sensibile e affettuosa che potrebbe fare molto di più e avere una propria autonomia. La mia rabbia è ancora più grande perché sono proprio i genitori a non capire: i papà non se ne curano più di tanto, forse perché, per fare ragionare i figli, non bisogna solo comandare (come facevano i padri di una volta!) Perciò, come diceva un famoso spot pubblicitario: «L’uomo non deve chiedere mai!» Quindi, perché abbassarsi a discutere con i figli, specialmente se questi hanno (purtroppo!) problemi di comprensione più o meno gravi?
Per quanto riguarda le mamme, posso dire che in genere sono più determinate rispetto ai loro mariti e come dice il proverbio: «La mamma è sempre la mamma». Però molte volte dimenticano che i fratelli sono sempre i fratelli, ed essendo spesso coetanei possono aiutare molto i fratelli con handicap.
In conclusione, voi, genitori all’ascolto, non fateci arrabbiare, perché il futuro dei vostri figli siamo noi!
– Stefano, 1996
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.56, 1996
Sommario
Editoriale
Care sorelle, cari fratelli di M. Bertolini
Esperienze di fratelli e sorelle:
Dondolando tra l’amore e l’odio
Lo sguardo degli altri
Quando l’amore è mancato
Solitudine nella sofferenza
Finalmente sei arrivata!
Perché non mi capisci
Mi ha insegnato ad amare
Genitori: non fateci arrabbiare
Una sorella agli amici
Fratelli nella notte
Altri articoli
Vieni spirito di vita di Silvia e Monica
Il nostro cammino di Tommaso Bertolini
Essere padrino di Mario di Stefano Artero
Recensioni
Bambino con handicap, J. Levine
Ogni uomo è una storia sacra, J. Vanier
La morte amica M. de Hennezel
Recensione del film "L’ottavo giorno"