Scopo del mio intervento è dare un po’ di speranza concreta alle migliaia di genitori in Roma che aspettano con angoscia la creazione di Comunità alloggio per i loro figli adulti con handicap intellettivo più o meno grave.
I miei suggerimenti, perciò, non si riferiscono alle persone con handicap fisico o sensoriale e neppure alle persone che, per loro condizione, richiedono attrezzature, strutture e personale specificatamente sanitario (R.S.A.) (1).
Per Comunità-alloggio intendo parlare di una struttura di accoglienza a tempo pieno, un «luogo di vita» con un progetto di tipo familiare, ma diverso da quello vissuto nella famiglia d’origine per ovvi motivi, non ultimo la mancanza delle figure genitoriali.
Per eliminare confusioni inutili, riserverei il nome di Casa-famiglia solo alle case in cui una coppia di genitori giovani prende in affido o in adozione minori con handicap.
Tralascio dalla mia riflessione la proposta avanzata da alcuni genitori di lasciare l’appartamento di loro proprietà al figlio con handicap perché questi continui a vivere nella sua casa con l’appoggio di assistenti domiciliari a turno. Tale proposta, a mio avviso, può essere valida per persone capaci di organizzare la propria vita pur essendo impedite nei movimenti o nella relazione (sordi e ciechi), mentre, di norma, l’insufficiente mentale, ha bisogno di un’unica persona di riferimento costante, di un responsabile globalmente della sua vita quotidiana che, in vista del suo benessere, è più facilmente gestibile insieme ad altri.
Tre fattori
Tre fattori oggi, dovrebbero accelerare il costituirsi di Comunità-alloggio; il bisogno, la richiesta di posti di lavoro, la spreco, inteso come risposta al bisogno.
Il bisogno enorme e urgente. Siamo di fronte alla prima generazione di handicappati adulti, grazie al progresso della medicina e grazie al non abbandono in tenera età.
Il loro numero oltrepassa di gran lunga la disponibilità degli Istituti (l’accoglienza nei quali non è auspicata). I genitori vogliono, prima che sia troppo tardi, vedere e approvare «i luoghi di vita» che accoglieranno i loro figli e sono pronti ad appoggiare e a sostenere questi luoghi di accoglienza purché siano decorosi, a taglia famigliare, definitivi nel tempo; gestiti da amministrazioni fidate e trasparenti; forniti di assistenti responsabili e capaci di prodigare rispetto, dignità, cura, vigilanza ai loro figli.
Con approssimazione, in ogni circoscrizione, si rendono necessarie urgentemente dalle 4/5 Comunità alloggio per adulti con handicap intellettivo e temo di sbagliare per difetto.
La richiesta di posti di lavoro: laureati in medicina, psicologia, pedagogia, assistenti domiciliari, giovani del volontariato, opportunamente preparati con corsi di formazione e stages, potrebbero trovare uno sbocco duraturo in questo campo.
Lo spreco: molto danaro viene speso in servizi che, se da un lato aiutano concretamente la famiglia, dall’altro non eliminano la preoccupazione angosciosa del dopo.
Attualmente, molti adulti (30/40 anni) vivono in famiglia; usufruiscono di centri diurni; di assistenza domiciliare; percepiscono pensione e assegno (invalidità e accompagnamento) e, spesso, pensioni di reversibilità. Le cifre per questi sostegni sono alte (dai 4 ai 6 milioni al mese). Non sarebbe più conveniente far confluire questi soldi in una Comunità-alloggio?
Difficoltà
Creare dal nulla è sempre un’impresa difficile. Nel caso di una Comunità alloggio, l’impresa è piena di difficoltà oggettive perché i diretti interessati non hanno la capacità di far sentire il loro bisogno (e per molti, il loro desiderio) e devono servirsi dei loro genitori (il più delle volte vecchi e stanchi!).
I genitori, preferiscono non alzar troppo la voce e «tirano avanti» perché, da un lato temono di doverli lasciare in strutture non idonee, dall’altro ignorano il da farsi:
- chi deve prendere l’iniziativa
- dove e come trovare la struttura
- come trovare il personale fidato e preparato
- chi sarà il responsabile della Comunità-alloggio
- chi darà e a chi verrà data la convenzione
- chi avrà la tutela dell’ospite, dei suoi beni e dei suoi diritti… –
Suggerimenti
Eppure, il primo passo, mi pare, spetti proprio ai genitori che dovrebbero abbandonare la logica di cercare una soluzione solo per il proprio figlio; dovranno, al contrario, riunirsi, incontrarsi e dialogare con le tre componenti interessate a titolo diverso (genitori, operatori, ente pubblico) per dar vita a un progetto comunitario, un «luogo di vita» dignitoso, per 6/8 ospiti, secondo un costo accettabile.
Una Comunità-alloggio può essere gestita:
- dall’ente pubblico;
- da un ente privato convenzionato con l’ente pubblico;
- da un ente privato. Attualmente, mi sembra proponibile, per ovvie ragioni, la formula b).
Tenendo conto di una grossolana differenziazione di adulti con handicap intellettivo, mi sembrano ipotizzabili due tipologie:
- Comunità alloggio per persone con handicap medio (autonomia e capacità lavorative);
- Comunità alloggio protetta (Residenza protetta) per persone con handicap grave o pluri-handicap: prive di autonomia e di capacità lavorative.
In ambedue le formule, bisognerà prevedere, nelle immediate vicinanze della struttura, un luogo adibito, nel primo caso ad un « laboratorio » (per gli ospiti, 1/2 assistenti, per persone con handicap della zona, per volontari…) capace — nel tempo e secondo ritmi adatti agli ospiti — di autofinanziarsi; nel secondo caso, un luogo per attività di mantenimento delle capacità acquisite.
In questo modo, gli ospiti potranno vivere il quotidiano nella C.A. e partecipare all’esterno della casa, ad attività adatte a loro e in funzione della loro crescita umana e sociale.
Messa in opera e gestione di una C.A.
Un’Associazione di genitori (o tutori) creata ad hoc o sezione di un’Ass. già esistente, una Cooperativa di operatori (creata ad hoc o già esistente), l’Ente pubblico di zona, si incontrano, lavorano insieme per preparare e stendere il progetto. Nominano poi di ogni categoria due o tre membri che formeranno il Consiglio di Amministrazione della C.A.
Compito del Consiglio di Amministrazione
Tale Consiglio, dopo aver affidato ruoli e compiti (Presidente, Segretario ecc.) dovrà:
- reperire la struttura (acquisto, comodato, affitto) adatta al tipo di utenti (bisogni e qualità di vita);
- sceglierà e nominerà un direttore-responsabile della C.A.;
- riceverà la convenzione e gli altri introiti previsti e li amministrerà.
Compiti e requisiti del direttore-responsabile della C.A. (coppia, pensionato, laico consacrato, religiosa, altro…):
- sarà il responsabile civile della C.A.;
- coordinerà l’aspetto educativo-sociale degli ospiti;
- sceglierà e coordinerà il personale educativo e di assistenza;
- assumerà l’incarico per scelta motivata e non sarà nominato d’ufficio;
- potrà essere sollevato dall’incarico nel caso che…;
- sarà regolarmente stipendiato….;
- dovrà vivere nella C.A. o in un appartamento contiguo;
- avrà un orario flessibile….
I requisiti necessari per tale compito, riguardano più la globalità della persona che i titoli di studio:
- età matura, stabilità affettiva e psicologica;
- conoscenza, competenza, empatia con le persone con handicap;
- potrà essere: educatore, assistente sociale, psicologo, medico, maestra speciale, madre o padre di famiglia…
Il direttore-responsabile potrà avvalersi anche di personale volontario (per abbassare il costo della C.A.) ma solo per certi compiti specifici (tempo libero, aiuto al laboratorio ecc.) e di obiettori di coscienza.
Finanziamento
Se si vuole che la C.A. comincino ad aver vita, bisogna, in questo momento, rinunciare all’idea che la spesa sia per intero a carico dello Stato e del Comune. A mio modesto avviso, le entrate potrebbero essere costituite da:
- pensione/assegno di accompagno (tutto o in parte);
- 80% dei redditi dell’utente; — retta stabilita in convenzione con l’ente pubblico a seconda della gravità degli ospiti (dalle 100 alle 200 mila lire al giorno prò capite prò die);
- sostegni di solidarietà (banche, fondazioni, donatori…).
Il direttore-responsabile costituirà attorno a sé una équipe di operatori per l’assistenza, l’educazione, il laboratorio, l’andamento della casa.
Tutti gli operatori (dalla cuoca alla psicologa) risponderanno al direttore-responsabile della C.A. del loro operato e lavoreranno in armonia fra loro per il benessere degli ospiti.
Gli operatori saranno assunti «regolarmente» con orari fissi, a turno, comprese le feste e le vacanze.
Problemi da risolvere:
tutela e cura degli ospiti, assicurazioni degli ospiti e degli assistenti, interventi dei genitori (struttura, beni, vitalizi…), responsabilità civile, eventuale sgravio fiscale o facilitazione fiscale…).
(1) Gli adulti con handicap intellettivo, generalmente non rientrano in questa condizione, tanto è vero che sino ad ora sono vissuti in famiglia.
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
Tutti gli articoli di Mariangela
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.33, 1996
Sommario
Editoriale
Ai genitori e agli amici di M. Bertolini
Articoli
Lo sconforto emotivo esige comprensione di Redazione
C’è un problema col tuo bambino? di Redazione
Pane, amore e fantasia di Emanuele e Stefano
Comunità alloggio per persone con handicap intellettivo di Redazione
Comunità famiglio di Endine di Redazione
I fornelli di Marta e Matteo di Suzanne Vidon
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Libri
Il mio nome è trappola – La favola di Anna, M. Passet
Oltre l’handicap – Esperienze e proposte a contatto con bambini autistici, C. D'Angelo
Cambiare il cuore, C.M. Martini, A. Elkann