«Anche se il viso e il corpo dimostreranno via via una certa maturità, il linguaggio, i gesti e le manifestazioni d’affetto nei rapporti familiari e sociali resteranno quelli di un bambino. Come un bambino ancora dipendente, protetto, desideroso del contatto fisico, l’adulto disabile specie mentale, spesso si esprime anche in pubblico con dimostrazioni o gesti di affetto che non corrispondono alla sua età.»

Sono ben presenti alla nostra memoria certe persone incontrate per caso per la strada, nei negozi, nei luoghi pubblici: una giovane donna dall’età un po’ incerta che cammina stringendo sotto il braccio il suo giocattolo preferito, un ragazzo dalla statura più alta di quella di un adolescente che traversa la strada con la mano nella mano della madre… Qualche volta ci siamo domandati: «Ma quale è la sua vera età?»
È vero che i tratti del loro volto spesso ci ingannano. I Down quando diventano adulti conservano un viso rotondo, quasi infantile, con poche rughe. Il loro modo di camminare ha in genere una pesantezza particolare. Oltre a questi caratteri morfologici si può notare che fra le persone disabili la pettinatura, l’abbigliamento rimangono spesso immutabili secondo uno stile che segue prima di tutto la comodità e il tipo di adattamento alla vita quotidiana. Questo stile non si evolve nelle età successive.

E anche se il viso e il corpo dimostreranno via via una certa maturità, il linguaggio, i gesti e le manifestazioni d’affetto nei rapporti familiari e sociali resteranno quelli di un bambino. Come un bambino ancora dipendente, protetto, desideroso del contatto fisico, l’adulto disabile — soprattutto il disabile mentale — spesso si esprime anche in pubblico con dimostrazioni intense, addirittura rumorose, con parole o gesti di affetto che non corrispondono alla sua età. Uno psicologo ha messo in luce tutto questo parlando di una donna anziana handicappata mentale e chiamandola al tempo stesso «vecchietta perfezionista» e «ragazzina giocherellona».
Sembrerebbe dunque che il tempo rimanga immobile per il giovane disabile, per lo meno nello sguardo che spesso posiamo su di lui e nel rapporto che viviamo con lui per anni e decenni. Egli passerà spesso dallo stato di «giovane disabile» a quello di «disabile già anziano» quando i segni fisici della vecchiaia si incolleranno improvvisamente su quei tratti che troppo a lungo erano stati percepiti come infantili: ai nostri occhi i disabili sembrano precipitare in qualche modo nella vecchiaia e sono privati così, in un certo senso, di tutto lo spessore dell’età adulta. Noi inconsciamente lo cancelliamo.
Perché nascondiamo così la loro «durata», la loro storia autentica? Ciò che abbiamo detto sui tratti morfologici, l’abbigliamento, il comportamento, non è sufficiente a spiegarcelo.

L’handicap mantiene una persona in una grande dipendenza e comporta un tipo di protettività materna che si protrae a lungo.

L’handicap mantiene una persona in una grande dipendenza e comporta un tipo di protettività materna che si protrae a lungo. Per di più siamo abituati a considerare reale solo una storia che è legata ad avvenimenti particolari e che comporta tappe biologiche chiare e significative.
Ma le tappe fisiologiche o affettive dei disabili sfuggono alle regole comuni e noi non ne siamo consapevoli. Per esempio, la loro pubertà sembra spesso un fatto imbarazzante, addirittura inutile, e non rappresenta quel momento di iniziazione che ci commuove e che trasforma il nostro sguardo quando ci troviamo di fronte a un adolescente non disabile.
Il loro risveglio sessuale spesso è fin troppo evidente, è spesso accompagnato da comportamenti compulsivi, e diventa un problema da gestire e da tenere sotto controllo (a volte per eliminare ogni rischio di fecondità inopportuna) e non la fioritura di una personalità adulta… Questo vale sia nelle relazioni familiari che nella vita istituzionale. Dimentichiamo allora che essi vivono questo risveglio, questo richiamo interiore, nella frustrazione di essere negati o non riconosciuti nella propria intima trasformazione.

Fare un tirocinio di lavoro o frequentare un laboratorio sono «passaggi» strutturanti della loro storia.

Per rimanere nel campo affettivo e sessuale è interessante notare che il nostro rifiuto resta identico quando le persone disabili sono anziane… Quando vediamo che fra loro, in età avanzata, possono sbocciare storie d’amore o tentativi di gesti erotici, ci stupiamo sempre molto, forse ci scandalizziamo… Non è sproporzionato, quando si è vecchi, abbandonare il ruolo sociale dove ci si era fermati per «ricominciare» una storia d’amore? Se pensiamo alle parole di Jacques Brel «spesso abbiamo visto schizzare il fuoco da un vulcano che credevamo troppo vecchio” non pensiamo affatto che possano riferirsi alle persone disabili anziane che conosciamo!
Eppure bisogna ammettere che l’uomo e la donna disabili hanno veramente una storia personale, un proprio tipo di maturazione. Ogni disabile anche gravissimo conosce delle tappe nel suo risveglio intellettivo, nel suo sviluppo psicomotorio, anche se in maniera relativa. Vari tipi di esperienze di stimolazione oggi lo confermano. Riuscire a parlare in un certo modo, sforzarsi di leggere anche balbettando, fare un tirocinio di lavoro manuale o frequentare un laboratorio protetto, sono altrettanti «passaggi» strutturanti della loro storia. Ogni scoglio superato in vista di una autonomia implica un «prima» e un «dopo».

L’affettività dei giovani disabili conosce fasi di attaccamento a quel certo amico, a quella certa educatrice: questi momenti non devono essere minimizzati, perché spesso sono vissuti in modo violento e contribuiscono alla costruzione di una vera «storia» intima e molto personale…
Ogni avvenimento di famiglia ha su di loro una risonanza profonda: l’invecchiamento dei genitori o la morte di uno di essi fanno loro perdere i punti di riferimento e li obbligano a adattarsi a un ambiente diverso, a vivere il lutto e a «cambiare». Il matrimonio dei fratelli e delle sorelle e la nascita dei nipoti che sono considerati gli unici veri «avvenimenti storici» della famiglia, per le persone disabili rappresentano di fatto avvenimenti personali attorno ai quali devono trovare il proprio posto, e che li fanno soffrire, gioire, muoversi e vivere la LORO storia.
Troppo spesso osserviamo che, in una famiglia, un giovane disabile conserva uno stato definitivo che lo protegge, ma che lo immobilizza. Egli non è visto come portatore di una storia; la storia che è legata ad avvenimenti particolari (la cronaca) appartiene solo al gruppo dei fratelli.

Se crediamo nella loro evoluzione, il nostro amore per loro potrà essere anche rispetto e speranza?

Non gli si riconosce un’evoluzione che ne struttura la personalità, una maturità che si forma lentamente. Ma senza le tappe precedenti quando l’invecchiamento un giorno apparirà, sarà «incollato», come abbiamo già detto, come una maschera sconcertante su un viso troppo a lungo infantile.
I nostri comportamenti manifestano spesso una spiacevole immobilità: essa irrigidisce il nostro rapporto con la persona disabile racchiudendola in espressioni inadeguate alla sua età reale. Mi viene in mente un esempio che dice tante cose: una responsabile di catechesi per handicappati adulti scrivendo per il giornale parrocchiale mise questo titolo a un articolo che annunciava una celebrazione della quale essi erano stati gli animatori: «una piccola celebrazione»… Questo aggettivo testimoniava senza volerlo che il suo sguardo si posava su di loro come su dei bambini; perché una celebrazione liturgica adattata al potenziale psichico, intellettuale, e motorio di adolescenti e giovani adulti disabili non ha nulla a che vedere con l’accompagnamento alla fede di bambini dai tre agli otto anni!!
Perfino nelle nostre scelte di vita per loro, nelle nostre soluzioni di «protezione» — che rassicurano noi che invecchieremo e che verremo loro a mancare — perfino qui a volte c’è una trappola di immobilismo per la persona disabile. Che si tratti di un laboratorio «dove potrà rimanere per sempre»… di una casa famiglia «senza limiti di età»…sono tutte soluzioni marcate dal sigillo rassicurante del definitivo che rischiano di avere un effetto perverso.
Il tempo si fermerà per coloro che immobilizziamo in questo modo. Vogliamo proteggerli dal male e, nostro malgrado, rechiamo loro danno, fermando la loro storia, quella storia che non abbiamo sempre saputo capire.
E se non crediamo che, malgrado tutto, fino al termine della loro vita, essi saranno portatori di un dinamismo che li porterà ad una sempre maggiore evoluzione, il nostro amore per loro potrà ancora essere rispetto e speranza?

Mireille Couant, 1996

Consulente di coppia da «Recherche» n. 85/86 rivista dell’Unione delle Associazioni «Conscience chretienne et handicap»

Anche loro hanno una propria storia ultima modifica: 1996-06-14T17:23:21+00:00 da Redazione

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