Ha scritto anche un breve libro che può aiutare a capire meglio la prova della depressione e a ritrovare a poco a poco, risalendo la china, la gioia di vivere.
Se oso aprire, (dice Jean Vanier), uno spiraglio sui l’argomento per parlare della depressione, è perché ho ascoltato molti, troppi uomini e donne, handicappati o no, che soffrono di questo dramma interiore e lo vivono come un incubo. Tutti costoro hanno la dolorosa certezza che nessuno possa capirli e amarli.
Il mistero della sofferenza umana
È importante per ognuno di noi riflettere sul mistero della sofferenza interiore. Questa può essere più o meno forte: può andare da uno stato depressivo che permette ancora di lavorare e di vivere in famiglia, fino all’immersione totale in un tunnel senza uscita. In una società che sempre più rischia di avvilire ciò che è umano, è importante riflettere sulle ferite causate dalla vita.
La televisione interrompe la comunicazione e impedisce di parlarci l’un l’altro. Gli spostamenti quotidiani e l’attività eccessiva affaticano le persone oltre misura e le sfibrano fino a spezzare le loro capacità di resistere. Alcuni non hanno amici, non hanno comunità, e si rassegnano ad una vita piena di tristezza e di solitudine. Spesso peggiorano le cose colpevolizzandosi e perfino condannando se stessi.
Ricordo un’assistente dell’Arca che aveva vere capacità di umana compassione e di solidarietà. In lei c’era però anche una specie di forza negativa che le faceva dire: «Sono incapace di amare. Non so fare niente di buono». Era come se dentro di lei ci fosse un Pilato in atto di condannare a morte Gesù ed in grado di spegnere ogni luce.
Sempre più spesso mi capita di incontrare persone simili a questa che sembrano aver perduto ogni fiducia nella luce che proviene dal loro cuore, invase come sono dalle tenebre interiori.
Dobbiamo ora scoprire insieme perché è così naturale e così frequente essere feriti.
Innanzitutto dobbiamo capire che non vogliamo guardare in faccia le ferite dovute alla vita e viviamo direttamente nel sogno. La vita umana infatti è un susseguirsi di crisi, di passaggi. In una comunità, ad esempio, le tensioni e le difficoltà a volte sono così grandi che sembrano avere il potere di uccidere. Poi arriva una persona nuova e le difficoltà si sistemano o si risolvono e la pace rinasce. Se pensiamo di poter vivere (per sempre) senza mai cadere in tranelli, senza ricevere ferite, siamo nell’utopia, nell’illusione, e quando le illusioni vanno in fumo, la sofferenza è ancora più grande.
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Prima di parlare della «ferita-depressione» propriamente detta, che ha le sue radici nelle profondità dell’inconscio, vorrei dire qualche parola su ciò che chiamo la «ferita-fallimento» o la «depressione lutto».
Nella vita proviamo grandi sofferenze quando perdiamo qualche cosa. La perdita del lavoro, l’handicap di un figlio, l’abbandono da parte del coniuge… lasciano una sensazione drammatica di vuoto e di impotenza. È profondamente doloroso essere separati da ciò che alimenta la nostra vita. Quando a questo si aggiunge la condanna di se stessi — «forse è per colpa mia» — può prendere forma questo tipo di depressione.
Vie di guarigione
Quali sono allora le vie da seguire per la guarigione? La prima è il fattore tempo. Quando siamo immersi nel lutto e nella tristezza perché l’oggetto del nostro amore non c’è più, non possiamo reagire subito. La vita deve rinascere in noi progressivamente, dall’interiorità, e a volte questo processo è lungo. In questo caso anche le medicine non sono in grado di guarirci, ma possono stimolare le potenzialità di guarigione che sono sempre presenti in noi. E evidente che in questo cammino la guarigione può essere anticipata se vicino a noi c’è qualcuno che capisce, un amico, un compagno, un fratello, una sorella, un terapeuta, un sacerdote. Non importa chi sia, ma deve essere qualcuno che non giudica, che non condanna e che resta vicino. Egli potrà forse spiegare che questo senso di colpa, questa ribellione e questa collera contro Dio che esplodono in noi sono normali. Del resto è molto meglio essere in collera contro Dio che rifiutarlo: la collera, infatti, è un modo di mantenere la comunicazione.
Nei casi in cui sono stato vicino a padri e madri di bambini handicappati durante i loro momenti di collera, non ho detto: «Non dovete ribellarvi, il vostro bambino è bello». I genitori vivono una realtà estremamente difficile e hanno dirittto a parole vere, non a false esortazioni. Hanno bisogno di sentirsi dire: «Ciò che vivete è molto duro, vorrei soltanto stare vicino a voi». Quando le persone esprimono le loro sofferenze, spesso si ha la tentazione di dare loro delle soluzioni. Non fatelo troppo presto, ma cercate di essere loro amico; dite: «Ti capisco, ti ascolto. Se hai momenti troppo difficili, telefonami».
Attraverso le ferite e le sofferenze dovute a fallimenti o a lutti possiamo inoltre scoprire un altro mistero della vita. Ne parla S. Giovanni quando riporta le parole di Gesù: «Il vignaiolo pota la vigna perché dia frutto». E vero, abbiamo tutti bisogno di essere potati, purificati, per preparare forse la nostra potatura finale. La potatura può farci ritrovare l’essenziale: amare, essere veri. Tutto ha un significato, anche se a volte lo scopriamo anni più tardi. Dio è presente e ci guida in tutto ciò che accade nella nostra vita.
Se abbiamo questa fede, prendiamo coscienza che il «lutto» non è una punizione di Dio. Nella nostra vita c’è la primavera e l’inverno, i momenti di morte e di resurrezione; c’è tutto un ciclo attraverso il quale noi cresciamo un po’ alla volta.
Capire i nostri meccanismi
Per quanto dolorosa la «depressione-lutto» che abbiamo ora esaminato è sempre comprensibile nelle sue motivazioni. La depressione profonda invece ci fa entrare in una sofferenza totale e talmente incomprensibile che, per coglierla nel suo significato, dobbiamo riallacciarci ad alcuni meccanismi dell’essere umano. La cosa più importante da sapere è che tutto ciò che abbiamo vissuto dopo essere stati concepiti, è segnato nel nostro essere. Il bambino piccolo e ferito resta sempre presente dentro di noi.
Il bambino piccolo è molto vulnerabile e vive solo di relazioni. Quando sa di essere amato, si sente in pace, felice. (Mi piace molto sentire i bambini piangere quando sono insieme alla madre, perché lei capisce subito il grido di richiesta e lo interpreta. «Si è sporcato» oppure «Sono i denti»… Anche con le persone disabili che a volte non parlano si usa il linguaggio non-verbale. Si è costretti a interpretare, a decodificare il grido che si esprime attraverso la violenza e la depressione). Il bambino amato è felice, dicevo, ma se sente di essere causa di disturbo e avverte che non c’è posto per lui, il suo cuore viene ferito come lo sarebbe il nostro. Ma quando questo succede a noi, a noi adulti, troviamo i mezzi per superarlo: guardiamo la televisione, prendiamo un libro… Il bambino invece è troppo piccolo e non sa difendersi dal dolore. Qualche volta ha l’impressione di essere il grande colpevole, di essere, ad esempio, la causa del divorzio dei suoi genitori… Cosa può succedergli con questa ferita che non riesce a sopportare? Entra nell’angoscia. Perde il sonno e l’appetito. (Ricordo una giovane donna distrutta in un altro modo. Aveva preso coscienza che nella sua vita non aveva mai fatto scelte; non le aveva mai fatte per gli studi, per i divertimenti o per altro… La madre era possessiva e l’aveva totalmente controllata e dominata. Quali erano state per questa giovane donna le possibilità di decisione sulla propria vita?).
In realtà nel segreto del cuore dei bambini ci sono esperienze di situazioni abominevoli, e una di queste è l’abuso sessuale.
Non riusciranno mai a parlarne, sono troppo terribili.
I muri che abbiamo costruito
Il bambino è troppo fragile per far fronte a queste ferite, per sopportare un mondo pieno di conflitti, per sopportare di non essere amato. Trova quindi il modo di uscirne attraverso il sogno, tagliandosi fuori da una realtà troppo dolorosa.
La malattia mentale che imprigiona nel sogno, è prima di tutto una protezione contro l’angoscia.
Il bambino piccolo che noi siamo stati costruisce a poco a poco delle barriere attorno al cuore per dimenticare tutta questa angoscia, il senso di colpa. Ci costruiamo dei muri, vogliamo proteggerci. Ciò non significa che non vogliamo più amare, perché la ricerca fondamentale dell’essere umano è sempre quella dell’amore. Abbiamo però molta paura di amare perché amare vuol dire rendersi vulnerabili e sapere che si soffrirà. Vogliamo l’amore, la comunione con gli altri, ma nel nostro inconscio, in questo luogo in noi così ferito, così ambiguo, ci sono paure che ce li fanno temere. Ognuno di noi porta nascosto dentro di sé un mondo di angoscia, un mondo di colpa. È una specie di tomba dove mettiamo tutto ciò che vogliamo dimenticare. Questa tomba sulla quale mettiamo una pietra è uno dei misteri dell’essere umano.
Scoprire la luce per la via della resurrezione
La «depressione profonda» propriamente detta appare (proprio) quando determinati avvenimenti sembrano aprire questa tomba. Così il rifiuto da parte di una persona può scatenare una sofferenza che ha radici nascoste nella nostra infanzia. Dal profondo di noi stessi salgono allora delle forze che arrivano alla nostra coscienza. A volte entriamo così nel tormento della tristezza e della morte, nei sentimenti di colpa e di odio verso noi stessi e verso il mondo.
Per iniziare un processo di guarigione bisogna approfondire gli elementi che ho appena indicato. Per guardare più da vicino queste forze delle tenebre, la persona depressa ha bisogno, oltre che di un amico, di qualcuno che sia competente e compassionevole per appoggiarsi a lui lungo il difficile cammino. Senza questo accompagnamento non potrà riconoscere e sopportare le sofferenze riaffioranti alla luce e alla verità. A volte bisogna anche rivolgersi a un medico che prescriva medicine antidepressive così che l’organismo possa ricevere nuovamente le sostanze chimiche «mangiate» dalla depressione.
Bisogna anche entrare più a fondo nel mistero della fede.
Una persona depressa mi diceva quanto era stata aiutata dalla preghiera dei salmi: facendo propri quei gridi di disperazione e di invocazione d’aiuto dava voce alla sua disperazione e al suo bisogno di aiuto. Ma forse nella depressione non si è più nemmeno capaci di pregare. Gesù in agonia poteva solo offrire. A volte si ha solo la forza di offrire questa sofferenza che sorge dal nulla, ma proprio in quel momento si incomincia ad intuire che la luce sta arrivando. Si scopre allora che Dio è una roccia, che è veramente presente anche in queste sofferenze, anche in questa sensazione di essere abbandonati. Chi ha vissuto la notte della depressione e ha trovato la strada della resurrezione dice che proprio là, in modo misterioso, ha incontrato la presenza di Dio.
– Jean Vanier, 1995
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.50 - 1995
Sommario
Editoriale
Cinque pani e due pesci di M. Bertolini
Articoli
Depressione - Chi mi libera? di Jean Vanier
Gioco educativo per tutti - Pensiamo le risposte. di Redazione
Per vivere bene con le persone anziane
Sport e musica per crescere di Maria Carla Farioli
Tutte le case-famiglia, gli istituti, i centri esaminati da Ombre e Luci - Indice analitico
Rubriche
Libri
Essere adulti. Essere handicappati, USL S. Lazzaro Ravenna
Diversi da chi? - Normali vite con handicap, M. A. Schiavina
L'arte di costruire giocattoli creativi