In una immobilità quasi assoluta — può muovere soltanto il collo e la testa — Flavio, un giovane di 24 anni, vola con il suo pensiero in acrobazie davvero straordinarie ed esplora il suo mondo, quello che sta dentro di lui e quello che lo circonda.
Egli scrive con l aiuto di un computer. Colpito fin dall’infanzia da una malattia che all’inizio sembrò paralisi infantile e che, dopo un ricovero al Gaslini di Genova, fu diagnosticata come amiotrofia mielogena, riuscì a frequentare la scuola con ottimi risultati fino alla seconda liceo scientifico. Ebbe poi un nuovo ricovero in stato di coma. La morte, egli racconta, raggiunse il suo vicino di letto e «mancò lui di tre metri». Si salvò, ma il male era progredito e da allora egli è quasi completamente immobilizzato.
Nel suo libro, che è in parte una autobiografia e in parte un commento in profondità sulla sua vita e sul suo handicap, egli ci offre la possibilità di conoscere, per quanto siamo in grado di farlo, quella «casa non del tutto famigliare» che per lui è il suo corpo, quel corpo che lo limita, così sensibile e così immobile.

In realtà è la propria persona nella sua interezza che egli ci dà modo di avvicinare: quel ponte di cui sogna che può condurre gli altri — o una ragazza — a lui, e lui agli altri, egli l’ha già costruito dentro di sé. Man mano che i capitoli del libro si susseguono e la sua vita e i suoi pensieri passano davanti ai nostri occhi, questa capacità di «acrobazie» e la sua disponibilità a trovare ciò che di positivo può presentarsi malgrado tutto, ci affascina e ci interessa sempre più. Attraverso la fantasia come nella lucida osservazione delle cose, nei rapporti umani come nella solitudine, la sua consapevolezza aumenta gradatamente fino a diventare una maturità che per noi che leggiamo è motivo di crescita, di amicizia nei suoi confronti, di gratitudine.
E vorremmo dirgli: «Grazie Flavio, per lo sforzo che hai fatto per noi. Ciò che tu scrivi avremmo desiderato poterlo intuire, ma ci sembrava impossibile finché tu non ce l’hai detto così bene, con quelle tue parole forti, sincere, persino sorridenti. Il ponte che ci presenti porta anche verso di noi. E tu sembri averlo pensato anche per tutti coloro che vivono come te e non riescono ad esprimersi; l hai costruito per noi tutti che ti leggiamo e che non sappiamo cogliere il piccolo o il grande segno che la vita ci propone.

Ricorderemo questa tua crescita, che deve essere anche la nostra, questa tua capacità di osservare, di superare il tuo handicap, e di vivere intensamente. Ricorderemo il tuo sorriso divertito, e lo sforzo (ma anche il piacere, lo sentiamo) che ti è costato il tuo cammino dentro te stesso e verso di noi».

Natalia Livi, 1994

Natalia Livi, è stata una delle storiche collaboratrici di Ombre e Luci. Ha contribuito alla rivista dal 1991 al 2004.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.45, 1994

Sommario

Editoriale

Perché ci hai abbandonato? di M. Bertolini

Dio così lontano e così vicino

Mi sentii tradita di una mamma
Ma Lui dov’era? di G. Cosmai
A scuola con Chicco in braccio della mamma di Chicco
La fede è un incontro di J. Lebreton

Altri articoli

L’armadio dei giocattoli di M.C. Chivot
Inaugurazione di Casa Loïc di A. Mazzarotto
La tenerezza di Dio Anonimo brasiliano
Convegno sulla catechesi nell’area dell’handicap

Rubriche

Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Proviamoci un'altra volta

Libri

Due libri sulla psicologia, P. Vitz e P.Raab
Competere col dolore, F. Guglielmotti
Il mio cielo è diverso, F. Emer
Val la pena di vivere, U. Peressini

Il mio cielo è diverso – Acrobazie mentali di un giovane disabile ultima modifica: 1994-03-16T13:16:59+00:00 da Natalia Livi

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