Che Maria Francesca potesse mangiare da sola non l’avevo mai sperato e neppure immaginato.
A dodici anni compiuti, doveva essere imboccata, con la testa riversa sul braccio ed era una lotta per farla deglutire. Un giorno, con l’aiuto, la competenza e la costanza di un educatore straniero, è avvenuto il «miracolo». Da quel giorno non ho più pensato che noi genitori, da soli, possiamo educare i nostri figli.
Pablo è venuto al primo campeggio a otto anni: diceva solo «mamma e papà». Era la prima volta che lasciava la sua famiglia. L’ambiente diverso, giovani amici inesperti ma pieni di vita, la campagna, la chitarra, i canti… quale di questi elementi ha fatto sì che Pablo in due settimane imparasse a pronunciare diverse parole, fra lo stupore di tutti e, al rientro a casa, la meraviglia dei suoi genitori?
Nella ha quarant’anni. È analfabeta. Famiglia povera, situazione familiare difficile. Ha vissuto quasi sempre in casa. «Quando mi insegni a scrivere?»
Ci si sono messe di lena due amiche, insegnanti; poco per volta Nella sta imparando, legge e scrive qualche parola; è molto contenta; si sente valorizzata e, forse per la prima volta in vita sua, ha trovato risposta a un desiderio sommerso e sconosciuto. Tra qualche mese, Nella non risponderà più, a chi le chiede «Quanti anni hai?», «Due!» con un sorriso che le illumina il volto.
Ho incontrato tanti bambini, giovani, adulti con handicap e limiti più o meno gravi.
Rimango sempre stupita nel constatare quanto poco sono fatte venire alla luce le loro possibilità e capacità. E vero che per molti, soprattutto i più adulti, non c’è stato nel passato, chi si è preso cura della loro educazione globale, con preparazione e competenza professionali. Ma non sarà anche perchè si è preteso troppo dai genitori che, senza volerlo, trasferiscono le loro paure, angosce, frustrazioni, su quei figli tanto amati? Il desiderio di vederli migliorare a tutti i costi non impedisce forse il dovuto distacco?
E non sarà anche perchè oggi, inseriti a scuola, in mezzo bambini e ragazzi «normodotati», il bambino con difficoltà si sente «incapace» in partenza, proprio perchè visto e guardato dagli altri con più o meno consapevole senso di superiorità?
Se ci pensiamo, è successo anche a noi di trovarci in difficoltà neU’eseguire un compito, quando attorno a noi tutti lo sapevano fare con disinvoltura.
Deve esere molto duro tirar fuori qualcosa di buono da se stessi quando ci si sente sempre «ultimo della classe». Lo sanno bene certi alunni a scuola; quando non ricevono mai un elogio, una sufficienza: «Non ha volontà!» ripetono con insistenza gli insegnanti senza pensare che lo stimolo per aver voglia, viene a tutti dal successo e non dal continuo insuccesso.
E allora? Sono convinta che molto si può fare; a scuola, ma anche in altre occasioni nel tempo libero, negli incontri, in vacanza… Tutti possiamo agire in modo più efficace nei loro confronti, condividendo così un po’ il grave compito dei genitori, spesso stanchi e scoraggiati. Come?
- Cominciando col chiedere loro qualche piacere, un servizio, secondo le capacità certo: spesso, da un grazie detto bene, scaturisce la voglia di riprovare, di fare meglio.
- Servendosi della memoria che in alcuni di loro è sorprendente: «Ricordami che devo comprare il pane; come farei senza di te!» Sono frasi che danno importanza, che confermano il bisogno della loro presenza. Quante volte intuiscono proprio il contrario…
- Aiutandoli, in ogni occasione, in casa, fuori, amici e genitori, ad esercitarsi, a piccoli passi, per conquistare indipedenza e autonomia: nel vestirsi, in cucina, in bagno, in strada, sull’autobus. Invece di scegliere sempre noi per loro, chiedere il loro parere, sempre; sottolineando poi il positivo delle loro azioni anche quando è evidente il negativo.
- Tenendoli vicini durante un lavoro, anche quello che richiede sforzo e attenzione. Spiegare come si fa, perchè si fa. Approfittare di qualche passaggio facile: «Dammi quell’attrezzo, prendimi il tegame basso, tieni forte da questa parte… ».
- Assegnando e facendo assegnare un compito che li renda consapevoli di saper far bene qualcosa, di esistere per qualcuno. In certe circostanze, saremo colpiti dalla dignità e serietà con cui sanno attendere a certi impegni.
Questi suggerimenti cerco di viverli con i ragazzi disabili che frequento. A loro devo molto: non solo mi hanno fatto capire il bisogno che hanno di essere apprezzati e stimati per quello che sono e il desiderio di essere aiutati a dare il meglio di sè; ma mi hanno anche insegnato, non poche volte, ad accogliere gli altri con simpatia e generosità; mi aiutano a sciogliere le tensioni e le preoccupazioni che loro avvertono in me senza che io ne parli; a vincere i rancori e le antipatie che mi abitano; a perdonare e a fare la pace. Queste capacità vi sembrano poche e di poco conto?
– Mariangela Bertolini, 1993
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
Tutti gli articoli di Mariangela
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.43, 1993
Sommario
Editoriale
Si fa sera di Mariangela Bertolini
Se la notte è agitata
Prima di andare a letto intervista a M.Réthoré
Se dorme male di D. Laplane
Di notte bagna... di P. Lemoine
Io grido verso te
Altri Articoli
Imparando a vivere bene con Jimmy di M.S. Tomaro
Viviamo da soli intervista a Romolo e Remo
Quando i genitori si rimboccano le maniche di Antonio e Milena
Ce l'abbiamo fatta di Milena
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Proviamo un'altra volta
Libri
Cammino di preghiera, M. Quoist
Esploderà la vita, AA.VV.
La cinquataseiesima colonna, M.Gillini e M.Tonni
La forza del debole, E. Robertson