L’autunno non è lontano. Guardiamo i bambini che nel nostro giardino si godono i pochi giorni che ancora restano delle vacanze estive. Nostra figlia Maria chiacchiera con degli amici. Il suo fratello gemello, Jimmy, si diverte moltissimo agli strilli delle ragazze quando scarta verso di loro con la sua bicicletta per poi rientrare sulla pista. Ci sentiamo appagati, come mai sei anni fa ci saremmo nemmeno sognati di poter essere.
Adesso i bambini hanno otto anni. Maria frequenta la terza elementare e Jimmy è sempre più un ragazzino contento e responsabile. Nei primi quattro anni della sua vita era un bambino depresso e frustrato. Urla furiose, che talvolta duravano ore, interrompevano il suo silenzio altrimenti totale. Altri fatti di quegli anni: vetri rotti, oggetti scagliati all’improvviso; il fracasso continuo di pentole e coperchi; il letto scosso violentemente per tutta la notte; pannolini sporchi e biberon (non si riusciva a svezzarlo); oggetti che volavano sulle nostre teste; la tensione continua nel provare a vivere con quel bambino selvaggio, irraggiungibile e amatissimo, costituivano la sua vita di allora e la nostra con lui.
Come siamo giunti a questo pomeriggio, felice e tranquillo? Guardando indietro, l’origine del cambiamento sembra essere stato il fatto che abbiamo imparato a tener testa al comportamento inaccettabile di Jimmy.
Un comportamento educato
In teoria, un comportamento educato consiste nella scelta, da parte di chi si trova in una determinata situazione, dell’azione appropriata. Scegliamo di comportarci educatamente non solo per ottenere quello che vogliamo, ma perché consideriamo i possibili effetti delle nostre azioni. Questo, Jimmy non poteva capirlo. Conosceva solo i suoi desideri e cercava di soddisfarli in qualsiasi modo potesse, preferibilmente subito. Dovemmo ideare con cura, e poi consolidarlo con l’esperienza, il metodo per renderlo disciplinato. Era difficile vivere con Jimmy, come con qualsiasi bambino che non conosce alcuna regola. Inoltre, il suo senso di sicurezza era minacciato dal fatto che non sapeva che cosa aspettarsi dalla realtà circostante. Il nostro bambino disturbato non poteva fare alcuna scelta perché non gli era stato insegnato un comportamento che riflettesse una consapevolezza sociale.
«Voglio quello che voglio quando lo voglio»: questo descrive il comportamento di Jimmy prima che incominciassimo a lavorare con lui.
Insegnare a Jimmy e imparare noi stessi
Guidando il nostro bambino disturbato verso un comportamento accettabile, scoprimmo che le caratteristiche indispensabili che noi genitori dovevamo possedere e mostrare a Jimmy erano: perseveranza, fermezza e gioia (gioia per i suoi progressi, gioia per il nostro crescere con lui). Ma la pazienza necessaria non arrivò semplicemente insieme alla comprensione del problema: fu necessario impararla attraverso i compiti, faticosi e ripetuti all’infinito, che dovemmo affrontare.
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Durante la notte, Jimmy si alzava sempre dal letto parecchie volte per andarsene in giro. Notte dopo notte, anno dopo anno, ci siamo alzati e lo abbiamo rimesso a letto dicendo: «Adesso Jimmy va a letto». C’è voluta pazienza per rifarlo ogni notte per anni, ma finalmente Jimmy obbedì e adesso dorme tutta la notte. Jimmy saltava in continuazione su e giù per i letti. Gli abbiamo impedito di farlo centinaia di volte, dicendo: «I letti servono per dormire». A poco a poco le parole hanno acquistato significato. Ad ogni parola e azione ripetuta la nostra pazienza si faceva sempre più sottile, ma anche la resistenza di Jimmy diventava più debole. Non ci impegnavamo per una pazienza senza limiti, ma per quella che era sufficiente a fiaccare la resistenza di Jimmy.
Tenacia
La perseveranza, vale a dire il nostro continuo, ininterrotto impegno nell’educazione di Jimmy, era necessaria perchè lui arrivasse a sapere che cosa ci si aspettava da lui. C’erano momenti in cui ci tentavano il malessere, la fatica o il puro autocompiacimento. Sarebbe stato così facile lasciarlo girare per casa o saltare sui letti. Avrebbe richiesto meno tempo raccogliere quello che levava dai cassetti che guidarlo mentre gli si diceva: «Metti a posto». Comunque, ci rendemmo conto presto che per una volta che rinunciavamo a riprendere il suo comportamento sbagliato nello stesso identico modo, il tentativo successivo di correggerlo si scontrava con la sua rinnovata resistenza.
Fermezza
Jimmy aveva bisogno della nostra fermezza. Cercavamo di rispondere a questo bisogno con una lode o con un gesto che lo correggesse. 1 primi anni, bombardati dai consigli di parenti e amici pieni di buone intenzioni, ci sentivamo molto incerti sul da farsi. Quando gridava per ore, ci veniva detto di sculacciarlo, di smettere di viziarlo, oppure di ignorarlo. Quando lo sculacciavamo ci sentivamo in colpa. Quando cercavamo di mostrarci insensibili, ci doleva il cuore. Quando lo ignoravamo, ci rendevamo conto che non stavamo aiutandolo ad imparare. In seguito decidemmo di osservare con attenzione il comportamento che ci infastidiva, di scegliere una buona soluzione di intervento educativo, e di impegnarci, quindi con fermezza per resistere a consigli contraddittori. Abbiamo imparato tutto questo reagendo con perseveranza e pazienza all’atteggiamento sbagliato.
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Per l’incapacità del nostro bambino disturbato a compiere delle scelte abbiamo dovuto guidare noi stessi Jimmy a scegliere. Uno dei suoi gesti impulsivi, per esempio, era quello di scagliar via qualsiasi cosa avesse in mano. Nel condurlo verso la scelta di comportamenti adeguati, ci comportammo in questo modo. Dicevamo: «Il piatto serve per mangiare, la trottola si fa girare» e intanto gli toglievamo il piatto e gli mettevamo in mano una trottola. Fu necessario ripetere questo rito più volte perchè Jimmy arrivasse a capire la funzione di vari oggetti.
Abbiamo imparato a costruire questo tipo di disciplina che pone limiti anche con lo stabilire luoghi precisi in cui certe cose potevano essere fatte. Jimmy attraversò un periodo in cui sputava in continuazione e fu stabilito il posto preciso in cui questo gesto era permesso: il lavandino del bagno, l’esterno, il gabinetto e altri posti adatti. Ogni volta che cominciava a sputare, Jimmy era condotto alla zona stabilita con le parole «Non sputare sulle persone, puoi sputare nel lavandino». Il lancio di oggetti fu un problema, un’altra fase che riuscimmo a superare. Stabilimmo un luogo in cui si potessero lanciare le cose senza che si rompessero, non dimenticando mai, nello stesso momento, di tradurre in parole le nostre azioni: «Non si scagliano gli oggetti per casa. Jimmy può scagliarle nel prato sottostante.»
Sculaccioni inutili
Imparammo che non si otteneva nulla attraverso le punizioni fisiche. Per lo stato depressivo di Jimmy gli incidenti erano staccati uno dall’altro, quindi egli non percepiva lo sculaccione come effetto diretto del suo gesto. Sapeva soltanto che si trattava di un’esperienza dolorosa collegata alle mani di un altro essere umano.
Lo sculaccione ebbe effetto solo dopo che a Jimmy erano state inculcate, con altre maniere e per un lungo periodo, delle regole di comportamento. Perché solo allora cominciò a collegare causa ed effetto. Finché non arrivò a questa consapevolezza, le lievi punizioni fisiche servirono solo a spingerlo verso uno stato più profondo di isolamento. Quando sentivamo il bisogno di sfogare la nostra collera, prendevamo a calci e a pugni un cuscino, sbattevamo la porta, ma non siamo mai arrivati ad usare in eccesso la forza fisica su quel figlio che amavamo tanto profondamente.
Ambiente a prova di bambino
Nella fase iniziale del cammino di Jimmy verso un comportamento accettabile, dovemmo rassegnarci a vivere in una casa a prova di bambini. Nel periodo in cui Jimmy tirava giù continuamente le tende, fu senz’altro meglio eliminarle per qualche settimana, finché il suo impulso a farlo svani e una nuova attività catturò il suo interesse.
Jimmy faceva cadere in continuazione i libri dalla libreria. Per tre settimane circa girammo lo scaffale contro la parete. Quando lo raddrizzammo, Jimmy lo ignorò completamente. Ci sembrava senz’altro più sopportabile lo sconforto che ci dava il vivere in una casa disadorna piuttosto che quello derivante dal vedere continuamente distrutto qualche oggetto di valore. Imparammo che Jimmy, mentre progrediva lentamente verso un comportamento più accettabile, superava generalmente in poche settimane questi stadi particolari.
Prevedere gli stati di agitazione
Imparammo anche che avremmo incontrato minori problemi se avessimo saputo prevenire ed evitare motivi di agitazione. Per esempio, quando doveva scendere dalla macchina Jimmy era completamente sconvolto. Poiché scendeva sempre ad un punto determinato, durante il tragitto ripetevamo queste parole: «Ora stiamo andando in macchina. Tra un po’ Jimmy scende dalla macchina.» Lo dicevamo ad ogni angolo di strada man mano che ci avvicinavamo alla nostra destinazione. Una volta arrivati dicevamo: «Ora Jimmy scende.» Ci vollero quattro mesi perché non piangesse più. Quando smise di avere i suoi accessi di rabbia, scendeva dall’automobile, le sputava contro e se ne andava soddisfatto. Adesso sale e scende dalla nostra macchina, dal pulmino della scuola, dalla bicicletta, dallo scivolo e dall’altalena senza reazioni di nessun genere.
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– Malinda S. Tomaro. tratto da The exceptional Parent Vol. I N°6 – 1976 da « Counseling Parents of Exceptional Children» pag. 119 -122.
Traduzione di Elisabetta Comand
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.43, 1993
Sommario
Editoriale
Si fa sera di Mariangela Bertolini
Se la notte è agitata
Prima di andare a letto intervista a M.Réthoré
Se dorme male di D. Laplane
Di notte bagna... di P. Lemoine
Io grido verso te
Altri Articoli
Imparando a vivere bene con Jimmy di M.S. Tomaro
Viviamo da soli intervista a Romolo e Remo
Quando i genitori si rimboccano le maniche di Antonio e Milena
Ce l'abbiamo fatta di Milena
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Proviamo un'altra volta
Libri
Cammino di preghiera, M. Quoist
Esploderà la vita, AA.VV.
La cinquataseiesima colonna, M.Gillini e M.Tonni
La forza del debole, E. Robertson