Quattordicimila, tra persone con handicap mentali, genitori, amici sono venuti a Lourdes per la Settimana Santa 1991. Sono venuti la maggior parte dall’Europa dell’Ovest e dell’Est, e anche dagli altri continenti. Sono venuti, molti, al prezzo di grande fatica, di sacrifici e in condizioni difficili. Sono venuti per sperimentare con gioia e per testimoniare l’unità dei cristiani, e dell’umanità: l’unità attorno ai «più piccoli» nello spinto delle Beatitudini, secondo la parola di Dio. Sono venuti a Lourdes perché qui venti anni prima era nata Fede e Luce, e perché è santuario di quella donna che duemila anni prima aveva risposto Sì a quel figlio così diverso dagli altri, così difficile da capire, già destinato a un grande patimento. Quel Sì che molti genitori continuano a dire, ogni giorno, malgrado tutto, fidando nella parola di Dio.
Perché ognuno abbia il suo posto
Questo pellegrinaggio ha numerosi significati, ma credo che il primo è quello di farci scoprire che l’handicappato mentale è una persona molto preziosa e che ha un dono speciale da offrire alla chiesa e al mondo. Purtroppo sono pochi quelli che scoprono! A FEDE E LUCE e all’ARCA noi scopriamo che Dio ha scelto ciò che nel mondo è folle, ha scelto ciò che c’è di più debole, di più umile per confondere i forti, i ricchi, i potenti.
Il pericolo del nostro mondo è quello di fuggire la sofferenza per vivere l’illusione e il sogno. La «Buona Novella» ci porta a capire proprio questo:
«Non vivere nelle teorie, ma vivere là dove sono le persone». Nel momento in cui siete vicini alle persone deboli, voi toccate la vostra propria debolezza, la vostra fragilità, ed è in questa fragilità che Dio è nascosto.
C’è qualcosa di insensato in questa nostra impresa di far venire la gente dalla Russia, dal Ghana, dallo Zambia, dall’Argentina, dalla Corea…, ma credo che è per gridare al mondo: bisogna che le persone più piccole trovino il loro posto.
– Jean Vanier, 1992
Otto giorni in pullman
Viaggiare in pullman era per noi il modo più economico, runico possibile. Erano stati perciò previsti cinquanta pullman in partenza da tutti gli angoli della Polonia. Quattro giorni di viaggio…
Mentre salivamo sulle vetture sentimmo che il pellegrinaggio incominciava davvero.
Nel mio pullman c’erano numerose famiglie con bambini piccoli handicappati, i loro fratelli e le loro sorelle, e vivendo insieme ventiquattrore su ventiquattro realizzammo quale fosse il loro peso quotidiano. Durante il viaggio cercammo di alleviarlo rendendo liberi i genitori perché potessero parlare fra loro, prendere un caffè, passeggiare per le città dove sostavamo… Per diminuire le spese avevamo portato con noi il nostro cibo e lo dividevamo fra i piccoli gruppi. Di notte dormivamo per terra. Le pause erano necessarie: respiravamo profondamente l’aria fresca del sud della Francia, danzavamo e rilassavamo le nostre membra irrigidite. Alcuni andarono a bagnarsi i piedi nel Mediterraneo e a raccogliere sassi e conchiglie che poi distribuivano agli altri.
Come dimenticare l’accoglienza che ci fu fatta lungo tutto il nostro percorso dalle parrocchie, dalle comunità di Fede e Luce, dai monasteri? Come dimenticare la Messa in comune ogni giorno? Fu un viaggio in cui pesi e gioie si inserirono perfettamente nel mistero di pasqua. Le comunità impararono in anticipo a vivere il ritorno. Come lasciarsi abbattere quando i nostri amici handicappati già parlavano meravigliosamente dei quattro giorni di viaggio?
– Piotr (Polonia), 1992
Perdonare ed essere perdonati
Il Giovedì Santo, durante la veglia, negli alberghi, abbiamo vissuto la lavanda dei piedi nella nostra comunità.
Perché lavarsi i piedi a vicenda? La risposta è semplice. Perchè Gesù ci ha domandato di fare come Lui. Il Vangelo di S. Giovanni (13, 1-17) termina con queste parole di Gesù: «Ora sapete queste cose, ma sarete beati se le metterete in pratica». Gesù ci annuncia e ci promette la Beatitudine della lavanda dei piedi.
Lavare i piedi a qualcuno significa servirlo, prendere il posto di un servitore, ma significa anche toccare la persona come l’ha toccata Gesù, con rispetto e con amore! E’ così bello vedere un uomo o una donna con handicap mentre lavano i piedi dei loro genitori! Questo è anche un gesto di umiltà e di perdono. Lavando i piedi a un’altra persona, e accettando che l’altro lavi i nostri, noi entriamo nel mistero del perdono: perdonare ed essere perdonati…
– Fernand Lacroix Vescovo, 1992
Assistente internazionale di Fede e Luce
Spirito di gioia
La consapevolezza di essere parte di un «progetto mondiale», che vede persone diverse esprimersi con lo stesso linguaggio, condividere la stessa esperienza, vivere le stesse emozioni, è stata molto forte in noi, forse più del pellegrinaggio normalmente atteso.
Molto importanti ed intensi sono stati tutti i momenti vissuti in comunità. In particolare la « riconciliazione »che ci ha aiutato a sentirci uniti, a vivere come amici nel profondo di noi stessi. Abbiamo colto lo spirito di gioia, allegria, serenità che è proprio di Fede e Luce.
– Comunità «La Vigna» (Napoli)
Una certezza mi assale e capisco tutto
Messa del Venerdì Santo
La scena ha reminiscenze bibliche, e non solo per il contesto. E’ un’orda di persone, immensa: provengono da tutto il mondo, multicolori. Li accomunano almeno due cose: la fede e la sofferenza. Alcune note d’organo mi comunicano, qui in fondo a questo pozzo umano, che la messa è già cominciata…
C’è molta confusione in me: molte domande, pochissime risposte. Qualche grido squarcia l’aria di questa immensa chiesa sotterranea. Ed io sono sempre più confuso.
Poi all’improvviso una certezza mi assale, mi aggredisce… e capisco tutto in ogni minimo particolare. Ma non posso parlare di quello che ho capito, semplicemente perché non credo che esistano parole per descriverlo.
Sorrido piano mentre sono circondato da una nebbia fitta di parole e di suoni. Mi volto e vedo Christian, che viene dalla Martinica, con uno sguardo severo e un po’ buffo e tutto il suo universo dentro.
Luca Dominici, Roma – 1992
Essere accanto a Lui
C’è stato un momento durante la mia permanenza a Lourdes in cui per un insieme di circostanze mi sono trovata a fissare a lungo la Croce. Era il venerdì Santo. Noi italiani eravamo tutti riuniti per una veglia. Una grande Croce stava davanti a noi e ci sovrastava tutti. Fissare la Croce e adorare il Signore era per me un atteggiamento del corpo e dello spirito insieme. E ‘ raro, oggi, avere la possibilità di esprimere fisicamente e concretamente questo slancio dell’anima che pur dovrebbe far parte della nostra vita quotidiana. In quel luogo, Lourdes, dove la sofferenza cammina insieme alla gioia e il malato con la mano nella mano del sano, dove le fiaccole ogni notte illuminano l’oscurità e dove le parole si trasformano in canti, la mia emozione era così grande da non poter trovare altro sollievo che quello dell’adorazione e nel silenzio di questa sentire la presenza di Lui e il bisogno di dire sì. Era il bisogno di dire: «Io non capisco e so niente, io non sono niente, ma Tu sei e sai tutto, conosci tutto e sulla Tua Croce è già presente la Tua Resurrezione».
Qualcuno vede nella Croce solo un triste simbolo. Ma c’è anche chi la vede come presenza simultanea della morte e della vita, e del trionfo della vita sulla morte; e nell’adorazione, che è silenzio, sente di volere essere semplicemente lì, con Lui, insieme a chi lo amava e a chi lo ama, e che non c’è altro da pensare, niente altro da dire.
A Lourdes, in mezzo a una folla immensa, passò a un a certo punto accanto a me un ragazzo su una barella. Era immerso nelle coperte e se ne vedeva soltanto il volto. Il suo volto era quello di Cristo sulla Croce. Come si fa a formulare pensieri, nel profondo del proprio essere, quando davanti a noi passa un ragazzo e con lui passa il Dolore, il Mistero, e si avrebbe solo voglia di urlare, di inginocchiarsi per terra e di battere il terreno con i pugni? Non si può pensare a niente, non si può dire niente. Si può solo sapere che si sarà lì con lui — con Lui dovunque si trovi.
– Natalia, 1992
Io ho un sacco di amici
Ho avuto qualche incontro ravvicinato con ragazzi di altre nazioni, in particolare una bambina russa di nome Liza. Io non capivo che cosa diceva e lei non capiva cosa dicevo io: totale incomprensione. Eppure siamo stati per quasi venti minuti a gurdarci, a farci le linguacce e ad «amarci» come se fossimo amici da una vita…
L’uscita dalla sofferenza sta nell’amore ; è questo che ci ha dimostrato Gesù morendo sulla croce. Così, quando sto male per qualsiasi motivo, penso che devo cercare negli altri l’uscita dalla mia sofferenza. Ma non è facile amare. Io però ho un sacco di amici, i miei piccoli amici, i ragazzi di Fede e Luce che con eterna pazienza mi insegnano ogni giorno ad amare, ad uscire dal mio egoismo e dalla mia sofferenza. Così voglio ringraziare anche i ragazzi perché non si stufano mai di stare con me e di insegnarmi ad amare.
– Giovanni Nucci, Roma – 1992
Come Lei
I genitori riscoprono un nuovo battesimo (molti hanno vissuto il momento del bagno alle piscine!), una nuova energia per continuare a lottare per la vita dei propri figlioli, una grande serenità perché sentono fortissima la presenza di Maria. Infatti, come lei, proviamo la sofferenza di madre e da lei ricevono la forza per reagire e continuare ad amare, come lei ha fatto.
– Anna, Bari – 1992
La sofferenza nascosta dei papà
La sofferenza dei padri non è minore di quella delle madri; è soltanto differente. Forse è più pesante da portare perché spesso non si manifesta. Noi padri costruiamo un muro di silenzio per nascondere la nostra disperazione e la nostra ribellione. Non volevo romperlo, questo muro, e non ho mai partecipato agli incontri di Fede e Luce malgrado la richiesta discreta di mia moglie.
Nonostante ciò far parte del servizio d’ordine del pellegrinaggio era un lavoro di mio gusto. Vi sono andato senza rendermi conto che mi sarei immerso nella vita della comunità e che vi avrei partecipato gomito a gomito nel pullman e in albergo. Come membro del servizio d’ordine ho assistito a tutte le celebrazioni e a tutte le le adunanze.
fi venerdì mattina la comunità mi ha domandato di accompagnarla nella via crucis. Con altri due papà ho portato la croce per un pezzo del percorso. E’ là che mi sono abbattuto, almeno interiormente. Ho trattenuto le lacrime fino al momento in cui, più tardi, sono andato alla grotta: erano stati tre anni di totale chiusura.
Penso che quel Venerdì Santo ho ricevuto la grazia di diventare il padre di Luca.
– Jodzef, 1992
Le mie lacrime
Frances Young, mamma di un bambino handicappato è pastore metodista. In un articolo per il Methodist Recorder, intitolato «Il mio straordinario pellegrinaggio», racconta in modo semplice e sincero come ha vissuto questa esperienza. Ecco alcune parti della sua testimonianza.
Scoprii che non potevo fuggire davanti alla sfida di qualcosa che mi sembrava fondamentalmente buona. Mentre un sacerdote dell’Europa dell’Est celebrava la Messa nella grotta per ringraziare Dio della fine delle persecuzioni, riuscii io stessa a pentirmi del mio senso protestante di sufficienza e ringraziai il Signore per i gesti che mi erano stati domandati e che avevo deciso di fare in spirito di obbedienza. Fede e Luce era fermamente decisa a integrarci, noi che avevamo ricevuto l’ordinazione in altre Chiese, anche le donne, in tutto ciò che poteva esserlo, sempre rispettando la disciplina della Chiesa Cattolica. Rifiutare sarebbe stato voltare la schiena alla mano che si tendeva in segno di amore fraterno e la mia obbedienza è stata stranamente ricompensata. Non solo avevo paura di sentirmi «esclusa» in questo contesto cattolico, ma soprattutto temevo per me stessa una sofferenza in più. Questo luogo, che ha la fama di miracoloso, avrebbe potuto ravvivare in me il ricordo di desideri impossibili, e aprire antiche ferite, anche se non potevo prendere in considerazione di portare con me Arturo, il mio figlio profondamente handicappato (non avrebbe potuto fare il viaggio).
Appena arrivate, Pauline, un’amica handicappata e io siamo andate alla Grotta. In un primo momento sono stata delusa per l’aspetto così ordinario di questa caverna, troppo pulita e troppo ben pavimentata e piena di una religiosità troppo evidenziata. Abbiamo guardato la fonte e siamo uscite in silenzio. Ma avevo già capito che l’essenziale del messaggio di Lourdes è legato alla purificazione, alla santità.
La Signora aveva detto a Bernadette che era l’Immacolata Concezione, che Lourdes era un luogo dove i peccatori dovevano fare penitenza, un luogo dove lavarsi e dove bere. Là ci si sbarazza delle impurità e della sporcizia che macchiano la nostra vita. Là si è riconosciuti, accolti, mentre in tanti paesi il rifiuto e l’ironia sono ancora l’esperienza quotidiana delle persone handicappate.
Per giungere fino a fondo ho voluto andare alle piscine. Le infermiere mi hanno immersa nell’acqua ghiacciata, ma ero triste quando ne sono venuta fuori perché il mio viso e le mie mani non si erano bagnate. E la Signora aveva proprio detto «Lavatevi le mani e il viso».
Più tardi con Francesco, un amico handicappato, sono andata alla fontana. Francesco mi ha lavato il viso, le mie lacrime erano state purificate. Anch’io gli ho lavato il viso a mia volta, poi, facendo una coppa delle nostre mani, abbiamo bevuto.
Il tesoro del mio pellegrinaggio fallito
Era la seconda volta che partecipavo a un pellegrinaggio di Fede e Luce a Lourdes: il primo era stato dieci anni orsono. Accompagnavo mia figlia che fa parte di una delle comunità dellArca.
La prima volta per me, protestante, era stata una scoperta straordinaria. Ora tutto mi sembrava difficile. Ero molto stanca. Il mio cuore era arido e non riuscivo a pregare. Da anni sapevo fino a che punto la sofferenza accettata e deposta ai piedi della Croce è apportatrice di ricchezze infinite. desideravo perciò partecipare in profondità a questa Settimana Santa. Ma ero pietrificata.
Il Giovedì Santo ci fu una momento particolarmente forte: la lavanda dei piedi in comunità, nel nostro albergo. Fu straordinario lavare i piedi del mio fratello handicappato, essere inginocchiata davanti a lui, ricevere la sua benedizione. Questo, lho fatto con fervore. Molto diverso fu lasciarmi lavare i piedi da lui. Tutto traballava.
Durante il resto del pellegrinaggio non distinsi gran cosa di ciò che veniva detto, perché ho delle difficoltà all’udito. Per una forza ostinata del destino, che non potevo attribuire a una caso disgraziato, non riuscii mai a vedere nulla. Mia figlia diceva tranquillamente: bello, bello. Io, ero sorda e cieca.
Come protestante avrei voluto partecipare sul serio a un pellegrinaggio che per la prima volta voleva essere ecumenico: ebbene non sono riuscita ad assistere ad alcuna riunione dove se ne parlasse, a parte una che ho trovato scoraggiante.
«Bello» ripeteva Isabella che ci teneva molto a entrare nella grotta di Lourdes anche al prezzo di una lunghissima attesa. Io avrei preferito di gran lunga andare a pregare dall’altra parte del fiume, proprio di faccia alla grotta, senza fare la coda.
Essere umilmente benedetta dal mio fratello handicappato. Entrare povera e incapace nella massa della folla. Sentir vivere là il seme ignorato e inutile dell’ecumenismo. Essere semplicemente là e sapere di essere benedetta e lavata dal mio fratello handicappato: è lui che mi mostra il cammino. Sì, Isabella. Bello. Bella questa folla venuta dal mondo intero, questa adunanza straordinaria dei paesi dell’Est, dell’Africa, dell’Asia, delle Americhe. Riuscivo a misurare l’immensità di tutto ciò che stava succedendo? Che importanza avevano il mio cuore arido e la mia difficoltà di pregare davanti a questo effluvio dello Spirito?
Come erano belli, sconvolgenti, i giovani padri così attenti al loro piccolo bambino gravemente colpito, quando prendevano su di sè il lavoro delle mogli.
Bello semplicemente di essere là rivestiti del poncho bianco per testimoniare la Resurrezione di Gesù.
Umilmente benedetta. Non è stata così la vita di Maria di cui il Vangelo ci parla così poco? Sì, è proprio questo che riporto con me come un tesoro dal mio pellegrinaggio fallito.
– Christiane Mallet Watteville, 1992
A Pasqua la festa più bella
Il grande prato è pieno di gioia: di canti, di danze, di amicizia, di semplicità. Il grande telo bianco col Cristo risorto e i “ponchi” bianchi, fogli per i simboli e per firmare gli incontri, sono i segni di questa festa.
“Portate nelle chiese la vostra gioia”
Dovete portare più gioia nelle chiese e nella Chiesa dove a volte i cristiani sembrano mancare di slancio. Penso che è veramente un vostro dono speciale quello di aiutarci a ritrovare il vero senso della nostra vita, che è la gioia che il Signore ci dona.
– Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano – 1002
Mi ha dato una forza nuova
I ragazzi, come sempre, hanno provato un grande entusiasmo nell’incontrare tante persone nuove; hanno raccontato di amicizie nate istantaneamente per le strade o negli incontri; per loro il momento più bello è stato quello che abbiamo trascorso domenica di Pasqua alla prateria: la festa della Resurrezione.
La familiarità che ho percepito nei confronti di tutti i partecipanti, quel senso di intima e gioiosa unione, mi ha dato una forza nuova, mi ha fatto vedere le difficoltà da un punto di vista totalmente diverso. Infatti le difficoltà, paradossalmente, a Fede e Luce diventano energia che trascina e conduce, nel nostro stesso spirito, là dove si scopre l’Essenziale, cioè l’amore di Dio Padre che circola e si diffonde e che, toccando i cuori, li sana.
– Adriana Duci, Palermo – 1992
Le tue ferite
Se ti capiterà di accostarti ai piedi della Croce, la madre di Cristo ti cederà il passo. Donna della fede le tue ferite ricameranno il cielo.
– Vittoria, Bari – 1992
Poco, ma… tanto!
Cosa abbiamo fatto a Lourdes? Poco, ma… tanto. Abbiamo ballato mano nella mano con persone mai viste prima di allora; non ci capivamo linguisticamente, ma bastava un sorriso, una stretta di mano o una carezza per entrare in comunicazione. Ho conosciuto una ragazzina francese, Stephanie; io non so parlare francese eppure ballare, cantare e giocare ci ha permesso di instaurare un dialogo silenzioso d’amicizia.
Vorrei riportare delle frasi del discorso di Jean Vanier durante la veglia dei giovani, che più mi hanno colpito e che dovrebbero servire ad ognuno di noi come incoraggiamento a una riflessione più approfondita: «Per amare veramente qualcuno, bisogna imparare a dire bene di coloro che parlano male di noi»; «Per amare bisogna imparare a vivere con le nostre frustrazioni».
– Anna Ravanelli Carugate, 1992
Sono venuti da tutto il mondo
Io sono andata a Lourdes. Parecchie persone sono venute da tutto il mondo lì, alla grotta della Madonna. Erano europei, africani, giapponesi, arabi, americani. Erano 14.000 persone. Io non sapevo la loro lingua e loro non parlavano italiano ma ci capivamo a gesti e il giorno di Pasqua ci siamo abbracciati come fratelli e abbiamo scritto il nostro nome sul «poncho» degli altri. E ‘ stato un segno.
– Giuliana, una ragazza, Bari – 1992
Jean vanier ai giovani: “Sarai beato!”
Dice Jean, una delle persone dalle quali ha preso vita Fede e Luce, sulla chiamata che Gesù rivolge a ciascuno di noi.
Ciò che mi colpisce nel Vangelo è il modo di Gesù di chiamare la gente. Guarda Pietro e Giovanni. Guarda il giovane ricco. «Egli lo guardò e l’amò» (Me. 10, 21). Attraverso una comunione degli occhi gli dice: «Puoi avere fiducia in me; tu non hai bisogno di tutte le tue ricchezze. Poni in me la tua sicurezza. Ti darò una forza nuova e più ancora, perché ti darò il mio Spirito». E’ vero che il mondo è duro, come ai tempi di Gesù ci sono tante divisioni, odii, pregiudizi. Ma Gesù dice: «Sarò con te. Vieni con me».
Di questa chiamata si ha un po’paura. Nel 1947 quando ero un giovane ufficiale della marina, sono venuto a Lourdes. Credo che allora Gesù mi abbia chiamato. E’ allora che è nata la mia vocazione Ma ancora per tre anni, prima di dare le dimissioni dalla marina, spesso ho avuto paura. Avevo paura che Gesù mi chiamasse per qualcosa che non volevo fare. Bisognava che a poco a poco io sentissi che diceva «Non avere paura» e che gli dessi la mia fiducia. Bisognava che io non pensassi troppo all’avvenire, ma che vivessi ogni giorno cercando di nutrirmi della presenza di Dio, dell’Eucarestia, e dello sguardo del povero. Così lasciai che il seme dello Spirito Santo crescesse dentro di me.
Quando Gesù ci chiama, non ci lascia soli. Ci dà fratelli e ci dà sorelle. Dopo averci detto «vieni», ci ispira a vivere in comunità, che sia la famiglia oppure una comunità di vita o di incontro. Quanto a noi che siamo riuniti qui egli ci chiama a vivere nella comunità Fede e Luce e ci raccomanda: «Va a cercare i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi». Sarai beato se essi sono nel cuore della tua comunità!…
– Jean Vanier, 1992
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.37, 1992
Sommario
Editoriale
Per capire di più di M. Bertolini
Articoli
Manuela al "Filo d’Oro" di Massimo D'Amico
Speciale Pellegrinaggio a Lourdes 1991 a cura della Redazione
Maria de la Soledad di Brian Lowery
La speranza nella vita quotidiana. Con nostro figlio affetto da miopatia di Lionel e Monique
Lettera a un medico per la nascita di un bambino disabile di Dott. Marie-Odile Réthoré
Rubriche
Libri
La depressione, R. F. Beig, C. McCartney
Il vizio di vivere. Vent’anni nel polmone d’acciaio, R. Benzi