Quando Giacomo venne alla luce in un giorno di marzo del 1972 pesava solo 2 chili e 200 gr. Fu messo in incubatrice e il pediatra della clinica informò subito il papà che suo figlio non sarebbe stato come tutti gli altri ma un bambino speciale, un bambino «down».
Rocco reagì dapprima con sbalordimento (non aveva mai sentito quel nome, non ne conosceva il significato) e poi con incredulità. Senza parlarne a nessuno volle che una dottoressa pediatra , amica di famiglia, venisse a vedere di persona il bambino per smentire la prima diagnosi, per rassicurarlo… La dottoressa venne, confermò quanto era già stato detto, gettò Rocco in un dolore profondo ma, nello stesso momento, segnò in qualche modo il destino di Giacomo e dei suoi genitori. Fu lei , infatti, qualche giorno più tardi, quando anche Palmira seppe la verità, a dare i chiarimenti essenziali, le informazioni necessarie e insieme anche le prime indicazioni su «cosa fare» per crescere «bene» quel bambino sconosciuto. E l’indicazione fu sostanzialmente una, ma essenziale e perentoria. Bisognava dare a Giacomo tutte le prime cure necessarie e continue per un bimbo così piccolino ma insieme, bisognava essere con lui — ricorda Palmira stessa: … «come se fosse stato un bambino normale, uno come tutti gli altri»…
Così con questo comandamento bene impresso nella testa e nel cuore è iniziata la nuova vita a tre in casa Fusillo. Ci furono certo giorni duri e pianti sconsolati e momenti di tristezza totale. Ci furono giornate in cui fu Rocco ad aiutare Palmira ed altri in cui fu Palmira a rincuorare Rocco. Ma, sostanzialmente, dopo le prime settimane, dicono insieme i genitori di Giacomo «ci siamo rimboccati le maniche perché tutto fosse fatto nel migliore dei modi», perché Giacomo che non voleva mangiare mangiasse, perché Giacomo aumentasse di peso, perché Giacomo sorridesse e camminasse come tutti gli altri (nel primo anno di vita furono naturalmente importanti i controlli quasi settimanali, attenti ed affettuosi, della pediatra.). E «come tutti gli altri» Giacomo non doveva essere troppo coccolato, troppo protetto ed accontentato. «In questo — ricorda Palmira — ero più brava io, e se abbiamo litigato qualche volta era proprio perché lui lo viziava. Ogni volta che uscivamo gli comprava il regaletto, e la sera, rientrando dal lavoro aveva sempre una sorpresa per Giacomo che gli correva incontro felice… «Si, è vero — ammette umilmente Rocco — mi pareva di non dargli mai abbastanza… gli volevo troppo bene». Ma così Giacomo si abituava a volere tutto, ad avere troppo… e Palmira andò alla riscossa. Un giorno, che nel negozio del tabaccaio Giacomo allungava le mani per prendere questo e quel giochino e faceva la lagna una volta di più, si prese un sacrosanto schiaffone. Le signore presenti si scandalizzarono ma Giacomo capì, una volta per sempre, che non si può avere tutto e che le cose bisogna meritarsele. E anche il papà si convinse che bisognava cambiare sistema e, poco per volta, il suo amore per Giacomo prese un’altra direzione: lo trasformò in «maestro artigiano». Fin da piccolissimo infatti, Giacomo imitò ed aiutò Rocco in mille piccoli lavoretti: con il legno, i chiodi, la colla, martello e tenaglie, prese e filo elettrico ha imparato ad eseguire semplici ma precise operazioni e ha acquistato così abilità manuale, precisione nell’esecuzione dei lavori, il gusto per l’attività pratica, tutte qualità che i suoi amici conoscono ed apprezzano.
A due anni e mezzo Giacomo fu iscritto all’asilo Montessori : benché la mamma fosse casalinga, fu deciso che Giacomo doveva passare parte della sua giornata in mezzo agli altri.
Era un bambino scatenato «un po’ troppo scatenato — ammette Palmira, ma le maestre , tutte brave e simpatiche, lo accolsero senza difficoltà perché «sapeva già servirsi del vasino e, tutto sommato, andava d’amore e d’accordo con i compagni».
Frequentò poi le elementari pubbliche dove, con l’aiuto di una «bravissima maestra di sostegno» imparò a leggere, a scrivere e a eseguire piccoli semplici calcoli.
Non solo: Giacomo, come molti bambini della sua età, è andato in piscina per 3 anni , si è preparato alla Comunione con il gruppo di catechismo della parrocchia, ha seguito per periodi diversi, ma cominciando dai due anni, corsi di educazione per il linguaggio. Secondo i genitori ha raggiunto i risultati migliori, già da grandicello, con una logopedista privata che ha svolto il suo lavoro con vera passione.
Con l’ingresso alla scuola media, coinciso nel tempo con un grave incidente d’auto capitato a Rocco, verso i 10 anni dunque, l’eccessiva irrequietudine di Giacomo si è in parte placata. E rimasto un allegro e vivace compagnone ma non è più «un diavolo» come alle elementari. Alle medie ci sono state anche le prime incomprensioni con alcuni insegnanti, maggiori difficoltà nell’apprendimento, ma in compenso è continuata anche in questa età la socializzazione. Giacomo era amico di tutti i compagni che ancora oggi «lo ricordano e quando lo incontrano per la strada lo baciano e lo abbracciano, mentre io non li riconosco neanche per quanto sono cambiati» racconta Palmira. Terminata la scuola media con un anno di ripetenza, Giacomo ha frequentato un corso regionale di steno-dattilografia per due anni. «In quel corso — dicono i genitori — c’erano anche tipi un po’ pericolosi, diciassettenni irrequieti pronti allo sgarbo e a strappare la catenina — lo dice Palmira — avevo un po’ di paura per Giacomo ma l’ho mandato lo stesso. Cercavo di parlare con i suoi compagni all’ingresso e all’uscita di scuola, cercavo di farmeli diventare simpatici perché sapevo che solo così anche Giacomo li avrebbe accettati e anche loro avrebbero accettato e rispettato mio figlio».
In quei due anni ha imparato a battere a macchina discretamente (38 battute al minuto) anche «se non te sei imparato neanche na parola di inglese» ride Palmira.
E poi c’è stato il gruppo degli scouts che gli ha permesso di fare l’esperienza delle gite, delle attività e dei giochi di squadra… e poi Fede e Luce con tutti i grandi amici, le riunioni, le feste, i campeggiatori…
«E così — conclude la mamma — da solo Giacomo non c’è stato e non ci sta mai e se non è più un diavolo è sempre un terremoto». «Vuole sempre fare qualcosa, ne inventa una al minuto». In casa ha cento impicci e impiccetti chiusi in sacchetti personali, un archivio segreto di agende, rubriche, quadernoni e cartelle, manovra con perizia stereo, tv e cassette mangianastri e, con meno perizia un computer. Ma soprattutto, adesso come sempre Giacomo è in mezzo agli altri.
«A casa ci sta proprio poco» — assicura Palmira — e vedendo con quanta cura e scrupoloso lindore è tenuta la bella casa e la terrazza piena di fiori — si capisce che Palmira ha il suo da fare anche in altro campo.
Giacomo va due mattine alla settimana a lavorare alla redazione di Ombre e Luci, aiuta la comare a fare la spesa, fa le commissioni per la zia che sta al piano di sotto, va sul terrazzo in alto dove con pianola chitarra e spinetta suona musica rock in compagnia del compare. Come musicista ha un suo look: camicione bianco, cintura, fascia intorno alla fronte e scritte a volontà. Anche questo costume è opera sua perché, dice la mamma «io glielo dico sempre: se voi fa’ ste cose, te devi arrangià da solo: io non ciò tempo».
E poi, il martedì ed il giovedì pomeriggio c’è il laboratorio dove Giacomo con grande entusiasmo mette a profitto la sua abilità di artista-artigiano.
Ma a questo punto Giacomo, che è stato sempre presente alla nostra conversazione, ora interloquiendo ora immergendosi in traffici privatissimi, si alza di slancio e bacia e abbraccia e stritola la modesta, confusa intervistatrice, compagna di imprese nel laboratorio del giovedì!
– Maria Teresa Mazzarotto, 1992
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.39, 1992
Sommario
Editoriale
Oltre la famiglia: gli specialisti, gli amici di M. Bertolini
Articoli
Lelia di N.Schulthes
Giacomo di M.T. Mazzarotto
Roberta di S. Sciascia
Viviana di C. Frassineti
Come essere amici
Le schede: gli specialisti
Chi aiuta la famiglia: gli specialisti
Rubriche
Libri
La pazzia e l'amore, Gertrud Schwing
L’ascolto che guarisce, AA.VV.
Giobbe, perché? - Dialogo di una madre , Janine Chanteur
Quando la crisi insegna a vivere, Erika Schuchardt