Proporre, non imporre
Chiedere, non esigere
Accompagnare, non aiutare
Vegliare, non sorvegliare
Tendere, non pretendere
Confermare, non rimproverare
prediligere, non superproteggere
Capire, non punire…
Si potrebbe continuare. Ma per oggi può bastare.
Non è un esercizio «verbale» come può sembrare a prima vista. Sono atteggiamenti da scegliere al posto di altri che ci sono più connaturali, in ogni situazione in cui veniamo a trovarci, come educatori: maestri, professori, catechisti e soprattutto genitori e, ancor di più, se genitori di figli con problemi, con handicap, con difficoltà di ogni tipo.
Possono essere gli elementi di base per fare fra noi un esame, una verifica sul come ci comportiamo con i nostri figlioli, per ricominciare da capo, ogni giorno, con infinita pazienza, a esercitare quel compito così difficile al quale non siamo stati preparati, ma al quale dobbiamo dedicare il meglio di noi stessi, sempre, senza mai stancarci. Grazie alla nostra educazione, infatti, ogni figlio, anche se handicappato, sarà più accetto agli altri, potrà inserirsi fra gli altri, sarà più benvoluto, proprio perché avrà fatto tutto il possibile rispetto alle sue capacità.
Dicevo prima che ci è connaturale rimproverare, esigere, super-proteggere, aiutare, punire… Forse perché siamo stati educati così; forse perché verso il nostro figliolo «difficile» e «più fragile» ci sembra spontaneo comportarci come l’istinto – non il cuore – ci detta.
Quante volte sento dire:
«Bisogna pretendere da lui, altrimenti non fa niente!»
«Con lui, ci vorrebbero due buoni schiaffoni!»
«Se fossi io sua madre, gli farei vedere io come si fa!»
«Se non gli sbuccio l’arancia, lui non me la mangia!» e voi potreste continuare con esempi a non finire.
È anche vero che non si può generalizzare e che ogni caso è un caso a sé, e ogni figlio ha le sue esigenze diverse.
Si fa presto a dire: «Deve imparare a tagliarsi la carne da solo!»
Ci sono bambini e anche adulti che, purtroppo, non hanno questa possibilità perché non possono servirsi delle mani. Ma è anche vero che ci sono giovani con handicap lievi che potrebbero non solo tagliarsi la carne, ma anche lavarsi e vestirsi da soli, rendersi utili, imparare a fare tante cose che non fanno perché sono sempre stati aiutati. Dalle mamme soprattutto.
È diverso, mi sembra, e più costruttivo dire al proprio figlio: «Vuoi che proviamo a rifare il letto insieme, così impari a farlo da solo quando andrai in vacanza?» piuttosto che gridare:«Devi imparare a farti il letto da solo!».
È più educativo dire: «Per piacere, puoi sparecchiare la tavola, mentre io riposo un momento…» dall’esigere: «Se oggi non sparecchi, non vedi la televisione!».
È più efficace proporre:«Vuoi provare a sgranare i fagioli insieme a me?», «Vuoi provare con me a farti il bagno da solo?» piuttosto che bofonchiare: «Questo qui non è capace neanche di lavarsi la faccia!».
E quando, delle cose richieste, qualcosa viene fatta male; quando una tazzina va per terra; quando invece di trovare un lavandino pulito, si trova un bagno allagato; quando chi è mandato a comprare tre rosette, ritorna con un chilo di pane; quando la loro maldestrezza ci manda sulle furie; quando dicono quello che non dovrebbero… allora è il momento di capire, non di rimproverare; non di far sentire che anche noi, i loro genitori, li consideriamo, come gli altri, dei buoni a nulla. Perché è qui il segreto di ogni progresso. È solo quando si ricevono lodi, quando si ha un piccolo successo, quando si comincia a capire che si può far qualcosa, si può essere qualcuno, che si avanza e si fa meglio.
Altrimenti, come succede a scuola, se non ci sono mai dei sette, ma solo dei quattro, non si va avanti. Si resta indietro e, a volte, per tutta la vita.
Questo è il momento più importante di ogni educazione; è il momento in cui il più debole chiede pietà a noi «più forti» e «più bravi».
Se fossimo veramente più forti e più bravi, è il momento per noi di capire e non di punire; è il momento di dire: «Non fa niente, è successo a tanti di sbagliare. Ora riproviamo insieme e vedrai che andrà meglio ! »
Se il compito è nelle reali possibilità del ragazzo, il meglio verrà e verrà molto prima con il metodo del perdono, della comprensione, della lode, che non con quello del votaccio, dell’arrabbiatura, del disinteresse, della bocciatura.
Questa è la vera predilizione, che è poi il vero «voler bene» e che dovremmo provare sempre per tutti coloro che ci sono vicini e «che non riescono», in ogni campo della vita. Non è come si crede, uno stupido atteggiamento che ci fa dire: «Poverino! Non ce la farà mai!». È al contrario, un forte credere che insieme, con il nostro «accompagnamento» il poverino ce la farà sempre, fin dove potrà.
E se ci sarà questa solidarietà, il nostro figliolo farà progressi insperati, perché avrà trovato qualcuno che nei suoi progressi ha creduto e con lui ha lottato.
– Mariangela Bertolini, 1991
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
Tutti gli articoli di Mariangela
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.35, 1991
Sommario
Il momento di capire di Mariangela Bertolini
Che vita è la nostra?! Sei mamme di ragazzi con disabilità si confrontano
Anche noi siamo persone
Al primo posto di Mons. Stefano Desmazières
La voce dei genitori (risposte all’inchiesta)
Rubriche
Libri
Imparo a vestirmi da solo di Marsha Dunn Klein
Strategie educative nell'autismo di AA. VV.
Storie vere di bambini autistici di AA. VV.