Riportiamo qui alcune parti dell’intervento di Irma e dei commenti fatti in quell’occasione.
Irma: Quando sento la frase (è questa che mi ha fatto scattare, se no non avrei telefonato) «questi ragazzi ci danno tanto» a me questa frase fa venire il voltastomaco perché «questi ragazzi ci danno tanto» è una frase senza senso, è una frase che riempie la bocca, ma non dà niente.
10 a un convegno ho sentito anche dire: «gli handicappati sono importanti perché rendono umana una società che non ha più niente di umanità»…
….Io dico allora, perché? perché poi ci troviamo sempre ed eternamente soli, magari noi madri eternamente sole? E quando noi crepiamo – perché crepiamo prima delle altre, perché siamo stressate, finite – loro finiscono negli istituti… ….E allora diciamo una volta per tutte: non è vero che si amano queste persone, non è vero che le si accettano! Non è vero che le vogliono con i loro figli, sono balle! Perché la realtà è tutt’altra cosa… ….Ma io sono una vigliacca perché farei meglio a togliermi la vita e a togliere la vita a mia figlia piuttosto di accettare questa situazione. Altro che coraggio di vivere! Io dico sempre: io devo trovare coraggio di morire…
….Gli insegnanti di sostegno hanno il solito alibi: «Noi ci siamo trovati con gli handicappati senza essere preparati». Intanto dico io: «Perché? Io ero preparata quando è nata mia figlia? Era preparata l’altra mia figlia a convivere tutta la vita con una sorella in quelle condizioni e perciò a condizionare anche la sua vita? Eravamo preparate noi? No.
E la medicina cosa fa per evitare queste cose? Mia figlia è una handicappata da RH negativo; cosa hanno fatto i medici a quei tempi che ero incinta per dirmi: «Guardi che con l’RH negativo le può succedere questo?». Niente.
Olga: La signora Irma ha parlato con il cuore. Quindi è giusto per forza. Ha parlato della sua esperienza e ha detto la verità.
E’ vero, per lei è andata così. Le ha dato molto fastidio quando ha sentito qualcuno dire che i ragazzi handicappati danno molto alla società. Non ha raccontato chi ha detto questa frase perché se questa viene detta da uno che non fa niente per nessuno anche io mi incavolo davvero. Perché non sopporto la gente che si mette a pontificare quando non sa assolutamente nulla, non ha vissuto la nostra esperienza. Ora se un gruppo di giovani che sono stati in un campo Fede e Luce per dodici giorni e che tornano a casa stanchi morti ci dicono: «Ci hanno dato molto» allora ci credo e non mi dà nessun fastidio. Un altro punto era questo: «se loro danno molto alla società». Effettivamente potrebbero. Ma in pratica non lo fanno perché la nostra società fa schifo e lo sappiamo. E in una società che fa schifo i nostri ragazzi non • danno niente. Possono dare, ma solo se la società è in grado di ricevere quello che hanno da dare. Perché i doni dei nostri ragazzi sono doni molto difficili da accettare. E’ molto difficile capire quali sono i loro doni. Uno deve fare molto cammino, un cammino spirituale, un cammino cristiano, un cammino umano, quello che volete, ma uno deve progredire moltissimo per potere capire quali sono i doni che possono darci. Il mondo esterno, la società in genere, non ha fatto questi passaggi e quindi non vede i nostri ragazzi come doni. Possono vederli qualche volta come modo di guadagnare la vita. C’è poco da fare. Dobbiamo renderci conto che è così. Poi tra tutte queste persone che debbono guadagnare la vita ogni tanto incontri un santo. Ci sono parecchi santi in questo campo: uno su dieci, uno su cento, a volte lo trovi. Per carità, personalmente ne conosco tanti. Persone che sono praticamente diventati santi. Però dopo parecchio tempo.
Luisa: Dopo tutto quello che ha detto Olga io credo di aver ben poco da aggiungere, perché ha detto cose bellissime, cose eccezionali, ha proprio messo il dito sulla piaga. La signora di 3131 è una persona sincera. Invece una cosa che mi dà fastidio è quando sento quelle trasmissioni in televisione dove ci sono esperti che parlano e non sono esperti per niente, mentre sono cose vere quelle cose che i genitori possono dire. Oppure chi vive dentro ai problemi, perché certo i nostri amici, quelli che hanno preso a cuore queste situazioni, questi sono autentici.
Mariangela: Ma, a parte la sincerità, hai condiviso tutto quello che diceva la signora?
Luisa: Non ho condiviso la parte negativa. Quella non l’ho mai accettata. Può sfiorare la mente, però, secondo me, certe
cose sono da rifiutare.
Rosa: Quando la signora Irma dice che i nostri figli in realtà non danno niente non sono d’accordo. Certo è difficile capirlo, capirlo subito. Devo dire che io l’ho incominciato a capire quando ho conosciuto FL, cioè tutti gli amici di FL.
Mariangela: Tutto questo l’hai capito subito o piano piano?
Rosa: L’ho capito pian piano.
Mariangela: Prima di arrivare a FL tu come vedevi Davide?
Rosa: Davide lo vedevo un po’…. Cioè lo vedevo come sarebbe stato;
Mariangela: Come lo desideravi. C’era in te un desiderio fortissimo di vederlo diverso.
Rosa: Ero tutta…. Io pensavo che con la fisioterapia, l’operazione agli occhi… Sarebbe diventato normale… Illusioni.
Mariangela: Illusioni e delusioni a tutto spiano. Quanti anni aveva Davide quando siete andati al primo campo di Fede e Luce?
Rosa: Aveva undici anni. Prima ho conosciuto Rita, poi attraverso di lei FL. Ecco , è come se lì io avessi imparato a vedere Davide… Vedere quello che mio figlio mi poteva dare, cioè accettarlo così e prendere quello che mi dava.
Nadia: Quello che ha detto la signora della trasmissione per me è giustissimo. Forse perché mi sono trovata… anche peggio. Però ho cercato di continuare e di fare sempre tutto il possibile per i bambini. La vita te la distruggono pian piano e veramente non ti danno niente. Li accetti, gli vuoi bene, li ami, li accudisci, fai tutto per loro; qualsiasi cosa. Però soddisfazioni non te ne danno. Sono un grandissimo, grandissimo sacrificio. La sera, tante volte vai a dormire e ti accorgi che non ti sei mai seduta.
Rita: Per me le parole della mamma che abbiamo ascoltato sono di una amarezza tremenda: l’amarezza che viene fuori quando c’è tanta rabbia dentro, quella che a volte ho avuto anch’io. Io mi sarei voluta mangiare il mondo. Ma perché questa donna soffre in questa maniera? Io penso sicuramente per il fatto di essere sola; di conseguenza avendo questa solitudine ha questa rabbia per tutti quelli che ha intorno. Ma cosa mi ha dato Pablo? Quello che mi ha dato è che mi ha fatto… rientrare dentro me stessa, mi ha fatto scoprire l’altro, mi ha fatto comprendere l’altra persona, mi ha fatto comprendere dal viso la persona che soffre. Mi ha fatto capire che io ho un sacco di debolezze, un sacco di limiti e di conseguenza io quando guardo l’altra persona (certo, non mi deve proprio toccare con rabbia) riesco ad essere comprensiva. Comprendere che chissà cosa c’è dietro quella persona che parla, che si comporta in quel modo. Questa è la cosa più grande che mi ha dato Pablo.
Rosa: C’è da dire che veramente la famiglia è sola. Non c’è l’appoggio dei medici, né di nessuno… In pratica una è sola in tutti gli ambienti che è costretta a frequentare. Certe cose non le sai e una perde tanto tempo potrebbe far molto di più. Si perde il tempo prezioso dei primi anni di vita, quando le terapie per la riabilitazione sono più efficaci. Poi è tardi e resta tutto il danno per i nostri figli, per le famiglie, per tutta la società….
Nadia: Dalla famiglia non hai mai niente. Vengono un’oretta, dicono quello che devi fare e poi se ne vanno. Però non sanno quante notti uno dei bambini sta sveglio perché non riesce a respirare, oppure ha le convulsioni. Poi la mattina devi essere sempre in piedi perché li devi lavare, li devi far mangiare. Poi il sacrificio di star sempre in casa… di non poter mai uscire; non trovi mai nessuno che è disposto a venire a darti una mano perché hanno sempre tutti quanti da fare. Io ho passato otto mesi con mio figlio in ospedale, sola come un cane e nessuno che mi avesse detto: «Oggi stai a casa». E avevo vent’anni! Perciò non voglio che nessuno mi dica quello che devo fare con loro. «Portali di qua, portali di là». Non voglio che mi diano consigli, adesso. Non li accetto più.
Olga: È incredibile, secondo me, quello che abbiamo fatto, chi per sedici anni, chi per ventisette. Quando io guardo indietro penso: «ma come siamo riusciti a farlo? Non lo so». Io sono sopravvissuta a tutto questo. Quello che ha raccontato Nadia mi ha rinfrescato la memoria. Perché preferisco non ricordare tanto bene i primi anni. I primi anni sono stati veramente una tragedia. Ricordo che non dormivo mai abbastanza. Avevo i nervi a pezzi. Ho studiato tante volte come suicidarmi, come ammazzare prima Sabina e poi me stessa. Ho calcolato – io stavo al quinto piano – pensavo: «Se mi tuffo a testa avanti mettiamo che non muoio subito, rimango handicappata anch’io». E non l’ho fatto. L’ho misurato o quasi, ho pensato quanto ci vuole a morire subito. «Forse è meglio che prendo un pò di aspirina, chissà se cento sono sufficienti, mettiamo che la dose vada male. No.» Ho pensato al forno a gas: «Poi magari ti scappa un pò d’aria dalla porta e non riesce». E sicccome avevo un figlio normale che aveva un anno e mezzo di più, pensavo: «Mettiamo che sta giocando per la strada e mi trova tutta spezzata, piena di sangue…» Insomma, non potevo fare una cosa così a questo ragazzino. E quindi non l’ho fatto. Adesso ùo superato tutto da un bel pezzo e preferisco non ricordare.
Luisa: La solitudine è grande. L’unica cosa che voglio aggiungere è quella che i medici non mi hanno dato nessun aiuto, anzi sono andati contro alle mie intuizioni proprio in un modo… che mi pareva spasmodico. Perché io facevo rilevare le cose che vedevo evidenziarsi in mia figlia e loro mi dicevano che dovevo avere pazienza, che dovevo attendere. Mi facevano. Non credo che abbia giovato al progresso di Elena. Se fossero intervenuti come chiedevo forse avrebbero aiutato di più, avrebbero conosciuto meglio il caso, avrebbero trovato le terapie idonee, sia quelle fisiche che quelle psicologiche. Inoltre avrebbe dovuto esserci un sostegno per i genitori perché quello senz’altro sarebbe stato necessario.
Rita: Quello che vorrei dire è che mi sono sentita tradita da Dio. Di conseguenza questo tradimento l’ho attribuito a me stessa, non so, come se non fossi all’altezza della situazione. Però io per Pablo ho fatto tutto, cioè ho cantato mentre piangevo, ho fatto in modo che amasse la vita, perché lui doveva amarla, perché è bella. Ho fatto del tutto anche per farlo * accettare dagli altri. Io lo accettavo così com’era però intorno a me non c’era nessuno… I miei genitori mi amano, io lo so. che mi vogliono bene, però non hanno fatto più di tanto, mia madre si limitava a qualche telefonata.
Mariangela: Dopo i primi anni di tragedia e ombra totale a un certo punto io ho scoperto che gli altri erano vicini ma che non riuscivo a vederli. Cioè abbiamo degli occhi che ci impediscono di vedere che gli altri forse sono lì, pronti, ma non sanno fare quei passi necessari a bussare alla porta, entrare, trovare il mezzo per avvicinarci, perché è vero che non è facile. Tutti noi sappiamo quanto è difficile penetrare in una famiglia dove ci sono queste situazioni. Anche perché le mamme giovani tendono a dire: «Va tutto bene, va tutto bene». Questa è una risposta da sapere interpretare.
Rita: Eppure, ripensandoci, per me c’è stata una mamma, più giovane di me. Abbiamo vissuto nove anni, io al piano di sotto, lei a quello di sopra. Lei scendeva giù con la sua bambina in braccio. Io la ignoravo. Lei entrava, veniva e si metteva vicino alla finestra. Io l’ho ignorata per molto tempo, però lei veniva sempre. Lei ha continuato a venire ed è diventata una mia amica intima. E’ stata grande. Quando sono rimasta incinta di Daniele, ero di tre mesi, anch’io avevo voglia di aprire il gas per toglierci di mezzo e sai cosa mi ha fermata? Che non era giusto che io togliessi la vita a Pablo, io non ero la cosa più importante. Lui c’era. Evidentemente ci doveva essere. Non è stato un discorso così profondo, però ho sentito di non poterlo fare e ho pensato: «Chi sei tu che vuoi togliere la vita a un’altra persona?» E’ anche allora lei, la mia amica, c’è sempre stata.
Mariangela: Ma sei d’accordo quindi che i nostri occhi sono ottenebrati?
Rita: Si, sono d’accordo, da molto tempo.
Mariangela: Io l’ho provata veramente in profondo questa cosa. Io avevo vicino fratelli, sorelle, amici ecc… però non li vedevo, non li sentivo; e non sentivo e non vedevo neanche mio marito, non vedevo neanche mio figlio.
Olga: Ora, noi genitori, siamo in una posizione molto particolare perché tutto il peso cade su di noi. Fin dall’inizio non siamo preparati, cioè, siamo preparati adesso – figuriamoci, dopo ventisette anni, mi pare di essere preparata – ma voi vi siete sposate a vent’anni: è troppo presto per avere una responsabilità così grossa. E’ assurdo! Come puoi chiedere a una ragazza di ventidue, ventitré anni di assùmere una responsabilità del genere? Quindi io credo che molti genitori sono veramente distrutti da questo peso che è anormale. Molti matrimoni sono rovinati. Molti uomini sono scappati via da una situazione del genere. Hanno lasciato la moglie sola. Noi genitori dovremmo avere una certa scelta: tenerli a casa, se riusciamo, con una buona assistenza sociale, magari una persona fissa in casa per i primi anni finché vanno a qualche scuola, qualche centro e questo non lo abbiamo.
Mariangela: Ecco, voglio fermare un momento l’attenzione su questo in vista del futuro. Cosa succede, oggi, alle mamme che si trovano con bambini handicappati nei primi anni di vita? Perché non è vero che non ne nascono più. Niente è più grave e nessuno è più solo di una mamma e di un papà cui viene annunciato l’handicap di un figlio. E vengono lasciati soli. Perché tutti hanno paura di suonare il campanello e dire: «Son qui». Per rispetto si dice. Non aggiungo altro perché il rispetto copre mille altri sentimenti. Si dice: per rispetto è meglio non indagare. Ma a quelli che sono dentro, almeno dobbiamo chiedere: «E’ meglio o no? E’ giusto restar fuori dalla vostra porta?» Secondo me questa riunione – e vi ringrazio di aver detto quello che avete detto – dovrebbe essere una pedana di lancio per dare io via a nuove iniziative che potranno essere «scuola di genitori», contatti con gli ospedali, danzaterapia per genitori, quello che vi pare. Ma ricordate che uno dei nostri scopi era questo: il nostro dovere, ora, è proprio quello di «entrare», di avvicinarci, di condividere con le persone che, come noi, continuano a essere colpite e vivono questa esperienza di solitudine drammatica. La famiglia è completamente sola. Io qui spezzerei venti lance, perché sono convinta che non sono sole soltanto all’inizio, proprio al momento della scoperta dell’handicap – e qui direi che, forse, qualche cosa viene fatta – ma che è nostro compito sollecitare perché, quando queste famiglie esistono, ci sono, per lo meno facciano riferimento alle associazioni che possono dare una mano, visto che quasi sempre medici e infermieri possono fare molto poco. E’ nostro compito metterle in collegamento, anche se sappiamo che per noi, parlare con quelli che hanno bimbi neonati non è da poco, perché tendiamo a dire quello che viviamo adesso, non quello che abbiamo vissuto.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.35, 1991
Sommario
Il momento di capire di Mariangela Bertolini
Che vita è la nostra?! Sei mamme di ragazzi con disabilità si confrontano
Anche noi siamo persone
Al primo posto di Mons. Stefano Desmazières
La voce dei genitori (risposte all’inchiesta)
Rubriche
Libri
Imparo a vestirmi da solo di Marsha Dunn Klein
Strategie educative nell'autismo di AA. VV.
Storie vere di bambini autistici di AA. VV.