A Roma, i genitori di quattro ragazzi disabili psicofisici, che da molti anni fanno parte della comunità «S. Francesco» di Fede e Luce, si sono decisi ad affrontare, essendo ancora nel pieno delle loro possibilità, il problema di assicurare ai loro figli un futuro sereno. Perciò stanno gradualmente costituendo una casa famiglia. Ecco in breve le ragioni che li hanno portati a questa iniziativa, come stanno procedendo, con quali difficoltà e problemi.
Innanzi tutto, perché cominciare adesso a costituire la casa famiglia, quando i figli (tra 19 e 28 anni) possono benissimo stare nelle loro famiglie?
Ogni genitore — rispondono — secondo le sue possibilità aiuta i figli nel distacco da casa: comprando dei mobili, aiutando a costruire casa, finanziando il laboratorio, lo studio professionale, l’azienda… Ci sembra che questo debba essere fatto anche, e a maggior ragione, per i figli che hanno un handicap. Invece, molti genitori che conosciamo dicono: gli lasceremo un appartamento, due appartamenti, i buoni del tesoro… Ma il problema maggiore dei nostri figli, più che il denaro, sarà: con chi vivranno, chi e come si prenderà cura di loro, come si adatteranno a vivere senza i genitori?
A lungo ne abbiamo discusso. Il primo passo è stato molto difficile: dovevamo vincere l’impressione di mandar via i nostri figli da ambienti in cui erano bene inseriti.
Uno di noi aveva una casa a Lavinio, paese di mare a una cinquantina di chilometri da Roma. Lì potevamo provare nei fine settimana la nuova convivenza tra i cinque giovani, tre maschi e due femmine (una poi si sarebbe ritirata non potendo la famiglia sostenere il costo).
Due elementi sono risultati subito essenziali. Primo, la presenza di una persona che già conosceva bene i ragazzi e nella quale avevamo piena fiducia, che fosse il punto di riferimento sia pratico che affettivo, per noi e per i ragazzi che soffrono per quel che può sembrare un allontanamento. Secondo, trovare personale locale che facilitasse il pieno inserimento dei ragazzi nel luogo.
Attraverso una suora di Lavinio che già conoscevamo, venimmo a contatto con uno psicologo che si è rivelato prezioso, e che in riunioni regolari con tutti gli operatori definisce il programma. Nei fine settimana è sempre presente pure un operatore, diciamo di base, che guida anche il pulmino con il quale i ragazzi fanno tutti gli spostamenti. Durante il giorno sono presenti a turno altri operatori con capacità specifiche (insegnanti per diverse attività pratiche). Gradualmente i ragazzi sono diventati «del paese». La gente li conosce, perciò possono uscire brevemente da soli e per far la spesa. Frequentano la parrocchia. Han fatto brevi esperienze in sartoria, in un negozio di frutta, presso un meccanico. Abbiamo preso accordi con la piscina e con una trattoria, dove sono accolti con viva cordialità, che fornisce loro di tanto in tanto pasti buoni a poco prezzo. I ragazzi hanno anche passato insieme una vacanza di 4 giorni e una di 8. L’esperienza dura da più di un anno.
All’inizio i ragazzi non avevano voglia di andare, ora invece sono loro a insistere. Fra loro è nato uno spirito di solidarietà, per il quale si sostengono a vicenda, si aiutano nelle cose pratiche, si «proteggono». Questo è stato per noi il risultato più importante e che crediamo permetterà loro di sentirsi veramente in famiglia.
Per avere la convenzione
Il nostro programma è arrivare gradualmente alla permanenza di cinque giorni in casa-famiglia e del week-end con noi, oppure con i loro fratelli e amici quando non ci saremo più.
Per questo i ragazzi si sono abituati a fare tutte le normali faccende casalinghe: cucinare, rigovernare, far la spesa, ecc.
n costo totale sostenuto finora è di 5 milioni il mese tutto compreso. Alto, ma sarebbe minore se sostenuto tra più famiglie. Secondo noi, e anche secondo le norme qui in vigore, il numero di ragazzi nella casa famiglia dovrebbe essere da 4 a 7. Per poter organizzare la vita e le attività, i ragazzi devono essere compatibili sia fisicamente che per carattere. Quel che abbiamo fatto non sarebbe stato possibile con una persona totalmente priva di autonomia fisica.
Nel frattempo abbiamo intrapreso la lunga procedura per avere convenzioni o aiuto finanziario dall’ente pubblico.
Il primo passo è stato formare una associazione regolare (Associazione Socio Culturale «Ancora»), col suo statuto e soci (noi genitori, gli altri nostri figli, amici…). Nello statuto sono citati e il nostro diritto di scegliere gli operatori, e i criteri di omogeneità e complementarietà con cui valutare altri ragazzi Che potranno entrare. Quindi abbiamo fatto domanda all’Assessorato ai servizi sociali del comune di Roma per avere contributi o la convenzione, che è più lunga da ottenere, richiede più referenze e relazioni tecniche, comporta il diritto dell’ente pubblico di controllare e applicare i suoi criteri anche complicati e costosi, però è più duratura. Una volta costituita la casa-famiglia, ai servizi prestati dal comune si aggiungeranno quelli sanitari assicurati dalla regione.
L’associazione esclude fini di lucro, vuol promuovere i servizi per la riabilitazione e l’inserimento, cerca di rimuovere nei limiti del possibile l’idea dell’assistenza in istituto, mette la sua esperienza a disposizione di chiunque sia interessato.
Il futuro dei nostri ragazzi
Sappiamo che in futuro i nostri ragazzi dovranno sopportare e le partenze di operatori ai quali si saranno affezionati, e il cambio del responsabile che ha il legame più stabile con la «famiglia» e deve perciò esser mosso da ragioni affettive; ma crediamo che trarranno forza per superare questi momenti difficili dal rapporto di aiuto e di amicizia consolidato fra loro.
La conclusione alla quale siamo giunti è che conviene spendere subito per creare un ambiente adatto ad accogliere i nostri ragazzi finché sono giovani anziché lasciar loro un patrimonio; che è meglio mettere insieme le risorse di più famiglie anziché procedere da soli; che conviene muoversi e poi cercare di ottenere l’aiuto degli enti pubblici, anziché aspettare che siano essi a prendere le iniziative.
Da principio avevamo paure di tutti i generi, ma poi abbiamo visto che tante cose si sono sistemate meglio di quel che temevamo.
E gli operatori?
Sì, a queste riflessioni sulle comunità alloggio manca un capitolo essenziale. Abbiamo dato consigli pratici, abbiamo parlato di atteggiamenti mentali e di leggi, abbiamo proposto qualche esempio. Abbiamo però soltanto accennato a coloro che sono chiamati «operatori», «volontari», o con altri nomi: sono loro le PERSONE che accompagneranno i nostri ragazzi,che vivranno con loro e che sono la chiave di volta di ogni progetto di vita. Chi sono? Come vogliamo che siano? Qual è la ragione per cui scelgono questo lavoro? Si tratta di un lavoro come gli altri? Come vi si sono preparati? Ecco gli interrogativi ai quali risponderemo in un prossimo numero.
– Sergio Sciascia, 1991
N.d.R. La comunità Arca è ancora oggi attiva. Per maggiori informazioni ancoraonlus.it
Sergio Sciascia, nasce a Torino nel 1937 ma si trasferisce a Roma con la famiglia pochi anni dopo. Fin da piccolo manifesta una spiccata passione per lo scrivere e per il capire le cose che lo circondano, e di questi due aspetti farà il mestiere di una vita. Una collega, amica della primissima Fede e Luce romana, mette in contatto Sergio con Mariangela Bertolini e con l’idea di trasformare il ciclostilato “Insieme”che legava le poche comunità italiane di Fede e Luce in qualcosa di più. Era l’autunno del 1981. Nasceva Ombre e Luci e Sergio accettava di esserne il direttore responsabile.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.35, 1991
Sommario
Editoriale
Il dopo di noi di M. Bertolini
Articoli
Domande e risposte sul domani dei nostri figli
Possiamo fare qualcosa noi genitori?
5 Esempi di comunità-alloggio a cura di N. Shulthes
"Ancora": l'avvio di una casa-famiglia di Sergio Sciascia
Rubriche
Libri
Una vita possibile di AA.VV.
Effatà, apriti di C. M. Martini
La comunità, luogo del perdono e della festa di J. Vanier