Questo libro rappresenta una sfida. Meglio, questo libro rappresenta una consolazione. È una sfida perché ci induce, con parole aperte e forti, al riconoscimento di tutte le nostre fragilità, di tutte le nostre limitazioni, di tutti i nostri egoismi, ed è una consolazione perché, proprio di questo riconoscimento, fa la condizione di un cammino di crescita, di fratellanza, di amore. Questo cammino Jean Vanier l’ha percorso insieme agli handicappati, insieme alle «persone ferite», come lui li chiama: egli ne ha imparato con loro e attraverso loro, tutte le particolarità, gli ostacoli, ed anche le dolcezze; questo cammino ha rappresentato per lui e per tanti che hanno lavorato con lui rincontro con Gesù, il Dio nascosto nel cuore della povertà e della sofferenza umana. Il piccolo è rivelazione di Dio. Jean Vanier dice: «Nella sua povertà radicale, nella sua ferita evidente, si trova nascosto il mistero della presenza di Dio» (La communauté lieu du pardon et de la fète, pag. 47).
L’autore, un teologo laureato a Montreal e attualmente insegnante nella scuola Saint-Sacrament di Torrebonne, ha vissuto per vari mesi presso l’Arca di Haiti e ha lavorato a lungo vicino a Jean Vanier coinvolto nella sua causa a favore degli handicappati e immerso nello spirito che l’anima.
In questo libro egli ripercorre, tappa dopo tappa, la vita e l’opera di Jean Vanier approfondendone i punti salienti e l’originalità del pensiero con estrema precisione ed estrema chiarezza.
Quando ho letto questo libro non conoscevo Jean Vanier che di fama e pensavo, come essenzialmente è vero, che egli si rivolgesse, con la parola e con l’azione soltanto ai più derelitti e alle persone che con lui ne prendevano cura. Ora so che questa è soltanto una parte della verità, perché egli si rivolge a tutti quando ripete che le persone portatrici di handicap ci inducono al riconoscimento delle debolezze e delle ferite che ognuno di noi porta dentro di sé. «Perché» come egli osserva «siamo tutti feriti, feriti dalla malattia, dall’handicap o dalla morte di una persona cara, feriti dal passato e dalla non-accettazione di noi stessi, feriti dai soprusi nel lavoro e soprattutto nella vita relazionale; feriti dagli odii e dalle paure, dai rifiuti di perdono, dalle emarginazioni, dai blocchi tra persone e gruppi, feriti dalle nostre infedeltà, dai nostri peccati» (Homme et femme il les fit, pag. 195).
Davanti a questa presa di coscienza ognuno prova il desiderio di una liberazione, di una guida. Questo avviene nelle comunità dell’Arca e può avvenire anche altrove: i più piccoli, i più derelitti, i più feriti ci possono insegnare a camminare nella semplicità e nell’amore, nell’umiltà e nella pazienza, e ci prendono per mano per condurci, insieme a loro, verso il Liberatore, il Dio nascosto.
L’opera di Jean Vanier iniziò con queste premesse. Egli accolse presso di sé due handicappati mentali, Raffaele e Filippo. Poco dopo veniva nominato direttore di Val Fleuri, una casa per uomini portatori di handicap. «Sotto molti aspetti» egli racconta «ero ignorante. Avevo molto da imparare tanto riguardo alle persone handicappate quanto riguardo alla vita comunitaria». (Vivre une alliance dans les foyers de l’Arche, pag. 5). Accettò di mettersi alla scuola dei poveri e più volte, in seguito, espresse tutta la sua riconoscenza per questi piccoli che per lui erano stati dei maestri.
E aggiungeva: «Compassione, una parola piena di significato: dividere la stessa passione, la stessa sofferenza, la stessa agonia, è accogliere nel mio cuore la miseria del tuo cuore, fratello mio». (Ton silence m’appelle, pag. 46).
Ben presto la comunità si ampliò e si moltiplicò.
Nel 1971 iniziò un movimento che dalle esperienze dell’ARCA aveva tratto impulso e ricchezza spirituale, il movimento di «Fede e Luce». Di esso fanno parte le persone handicappate, le loro famiglie e gli amici per momenti di scambio, di celebrazioni e di preghiera.
Nel 1972 fu fondata la Federazione Internazionale dell’Arca con fondazioni anche in Africa, in India e Haiti. Le comunità dell’Arca oggi sono costituite da uomini e da donne ferite nel loro corpo e nella loro psiche, da assistenti che hanno scelto di vivere con loro, da professionisti che condividono gli scopi dell’opera pur senza vivere in comunità e dai membri del consiglio di amministrazione che sostengono la causa del movimento.
In più i genitori degli handicappati, gli amici, i vicini e gli abitanti del villaggio o del quartiere vi trovano anch’essi un posto privilegiato. Essi testimoniano la possibilità di una vita comunitaria basata sull’amore, nella gioia e nella pace, e l’attuahtà della predicazione delle beatitudini.
Jean Vanier chiede agli assistenti dell’Arca «di avere questa convinzione profonda, che essi riceveranno molto più dai poveri di quanto potranno portare loro» (Vivre une alliance dans les foyers de l’Arche, pag. 56). «Vivere insieme a chi è ferito significa entrare in relazione reciproca e vivere l’interdipendenza con lui», aggiunge l’autore.
Dicevo all’inizio che questo libro portava una sfida e una consolazione. Mi viene ora naturale aggiungere che da esso possiamo trarre speranza, fiducia e impegno ad agire.
– Natalia Livi, 1990
Questo articolo è tratto da Ombre e Luci n.29, 1990
Sommario
Sorelle e fratelli
Forse è per mia sorella che sono «così» di T.M.
Non carichiamoli di un peso eccessivo di M. Bertolini
Sentivo crescere la mia responsabilità di P. Mazzocchi
Radiografia Ombre e Luci
Chi siamo di Redazione
Case famiglia, iniziative e centri di accoglienza per disabili presentati dal 1983 al 1989 di Redazione
Rubriche
Libri
Bambini autistici a scuola Pascal Neau
Jean Vanier – Un profeta del nostro tempodi Gilles Lavarrière
Corso per corrispondenza per genitori di bambini Down di Salvatore Lagati