Pochi, però, sanno che cosa voglia dire in una famiglia la presenza di un figlio o di una sorella o fratello handicappato.
Chi lo sa, sa che le parole non possono esprimere la difficoltà, la sofferenza, il disagio, la complessa situazione in cui queste famiglie si trovano a vivere, spesso per la vita.
Esistono, oggi più di ieri, molti servizi che aiutano le persone con handicap e le loro famiglie: riabilitazione, fisioterapia, servizi domiciliari, integrazione nella scuola, nel lavoro, centri speciali…
Poco, però, è ancora l’aiuto ai genitori in quell’aspetto più delicato e più soggetto ad essere eluso (proprio perché scomodo e difficile): voglio dire quella condizione dell’animo in cui si viene a trovare chi vuole una risposta al dolore innocente.
Lo sgomento iniziale dei genitori dopo il verdetto dei medici, può col tempo trasformarsi in chiusura, ribellione, apatia, aggressività, in forme più o meno gravi, che si ripercuotono su tutta la famiglia e che, sovente, impediscono al figlio handicappato di crescere in clima sereno, proprio perché si sente colpevole di aver turbato i suoi cari.
La reazione alla delusione per non aver un figlio «normale» è diversa per ogni genitore, ma in tutti, soprattutto nei genitori di figli con handicap mentale o psichico, è causa di ferite difficilmente rimarginabili. Sono proprio queste ferite di fondo che portano la famiglia all’isolamento, all’impressione di essere emarginata, a sentirsi diversa dalle altre famiglie proprio a causa di quel figlio diverso.
Fede e Luce è sorta con l’intento di sottrarre le famiglie a questa tentazione di isolarsi, di tagliarsi fuori dalla vita «normale» per scoprire, al contrario, che proprio il loro figlio diverso può essere fonte di solidarietà e di unione con gli altri.
Per questo mi piace chiamare Fede e Luce un «cammino» di persone molto diverse fra loro (genitori, persone con handicap, amici, di ogni età e di ogni ceto) che si fanno prossime le une alle altre, senza distinzione fra chi dà e chi riceve, perché tutti danno e ricevono insieme.
Genitori, persone con handicap mentale, amici, quando è possibile un sacerdote o un seminarista, si mettono insieme, in gruppo di 30/40 per formare una comunità di incontro.
Comunità è una parola grossa e qui non è, come di solito è, una comunità di vita. A Fede e Luce vuol dire che queste tre componenti stringono fra loro legami di amicizia fedele che si esprime appunto durante rincontro.
L’incontro è ritrovarsi per un po’ di tempo (qualche ora, una giornata, un week-end, 10/15 giorni (nei campeggi), con regolarità (una o due volte al mese),
- per imparare insieme, nonostante tutto, a godere della vita, a far festa, a condividere, a fraternizzare nella pace e nella gioia, nel disagio e nel dolore;
- per imparare insieme a conoscersi: chi si è, che storia ciascuno ha dietro di sé, che cosa si fa nella vita, come si vive e, soprattutto, quali sono i sentimenti, i desideri, le difficoltà, le gioie di ognuno;
- per imparare insieme a conoscere chi ci tiene uniti, il Signore, a pregarlo, a celebrarlo, a comunicare alla sua mensa;
- per imparare insieme a essere servizievoli gli uni per gli altri nei momenti di bisogno o anche solo per sollevare i genitori dal ritmo quotidiano così pesante in certi casi.o per testimoniare concretamente alla persona con handicap che è bello trovarsi con lei per un pomeriggio, un’uscita, un accompagnamento;
- per imparare a crescere insieme
Proprio il loro figlio diverso può essere fonte di solidarietà e di unione con gli altri passo passo, ognuno con il suo ritmo e le sue possibilità, lasciando a ciascuno la libertà di avanzare o di fermarsi, senza imporre nulla.
È difficile esprimere in breve cosa sia una «Comunità Fede e Luce» perché è solo partecipandovi che è possibile vivere un’amicizia che pare preclusa a certe persone, con le ombre e le luci che questo legame porta con sé. È difficile dire lo sconvolgimento che prova un papà o una mamma nel sapere che per tutta la vita il proprio figlio non parlerà, non camminerà, non andrà a scuola, non si potrà sposare, non… non.. Ma è ancor più difficile credere che proprio il loro figlio, così tutto al negativo, può diventare per qualche amico il segno positivo nella sua ricerca per il senso della vita, nel suo cammino di conversione.
È difficile immaginare che negli incontri di comunità, alcune mamme e papà — prima così provati ed emarginati nel profondo della loro esistenza — hanno scoperto di essere preziosi ed indispensabili per il benessere del loro figlio handicappato, e che, proprio per essere tali, hanno scoperto di aver bisogno dell’aiuto degli altri: amici, altri genitori, persone competenti…
Altre mamme e papà, hanno riscoperto la gioia di «stare con gli altri» come persone normali: hanno ritrovato la gioia della danza, del canto, del picnic, dell’invito a pranzo nelle loro case che ormai pensavano non più adatte a «far festa».
E così, passo passo, molti genitori, attraverso le nubi oscure della loro esistenza, hanno riaccolto la speranza scaturita dall’amore degli amici, amore, a volte, messo alla prova (routine, stanchezza, impegni…); speranza che li ha spinti a ricercare a tastoni quel Dio dal quale si erano staccati perché troppo provati in quanto era loro più caro.
Cose difficili da raccontare, ma che si possono vivere e che esigono quel silenzio che la zona segreta e stupita del cuore richiede.
Non per tutti Fede e Luce ha dato grossi risultati. Un cammino si fa a piccoli o a grandi passi; c’è chi si ferma e chi corre avanti. Per alcuni il peso del figlio troppo difficile, la situazione famigliare o lo stesso carattere, sono tali che il cambiamento diventa difficile o quasi impossibile. Per loro, bisogna saper aspettare e continuare a esser vicini, sapendo che il vero cambiamento non viene da noi. La sofferenza resta, è lì, presente in ogni famiglia, ben visibile in ogni comunità. Non c’è bisogno di parlarne tanto è evidente e, a volte, scandalosa se guardata da occhi inesperti. E potrebbe suscitare disagio e fuga se non fosse circondata da quell’atmosfera di «accoglienza» che si può creare solo insieme, certi che i poveri e modesti gesti e segni che la suscitano, sono vivificati dalla grazia che ci è stata promessa: «Quando due o tre sarete insieme nel mio nome, io sarò con voi».
– Mariangela Bertolini, 1990
English version: Faith and Light: A Journey of Hope Beyond Disabilities
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
Tutti gli articoli di Mariangela
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.31, 1990
Sommario
Che cosa è Fede e Luce di M. Bertolini
La vocazione di Fede e Luce di J. Vanier
Cammino d'amore di Redazione
L’amicizia a Fede e Luce di A. Petri
Incontro di una comunità di Fede e Luce di C. Chatain
Il 4° momento: tra un incontro e l’altro di F.S.B.
Èquipe di coordinamento: come funziona di Redazione
I giorni del campo di Redazione
Fede e Luce giorno e notte di N. B.
Viaggio insieme per crescere tutti di M. Bertolini
Un nuovo modo di vedere la vita di F. Gammarelli
Vita e amore si erano spenti di R. Ozzimo
Sono anche figli di tutti di M.T.M.
Scendi ancora un po’ di L Sankalé
Incontro internazionale: Edimburgo 1-9 agosto 1990 di L. Bertolini
Fuori dalle catacombe – Fede e Luce in Europa Orientale di M. Przeciszewski
Per altri valori – Fede e Luce in Svizzera di Y. Bonvin
Nel Libano in guerra, Fede e Luce per sperare di R. Tamraz
Mirella, Pablo, Silvia, Claudia, Patrizia di Redazione
Una grande famiglia del mondo di Redazione
La persona fragile via verso l’unità di J. Vanier
Domande e risposte su Fede e Luce di Redazione