I nidi e gli asili accolgono oggi anche bambini con handicap e tra questi alcuni che vengono chiamati «autistici». \
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1. Come si presenta il bambino autistico? Chi è questo bambino?
Molto spesso è un bel bambino. Eppure, presto scopriremo che qualcosa non va. Si isola, rimane in un angolo, si dondola avanti e indietro.
Indifferente, non gira la testa quando è chiamato, quando si pronuncia il suo nome. Eppure, sente il minimo rumore ed è affascinato dalla musica. Evita il nostro sguardo e sembra guardare al di là di noi, con uno sguardo vuoto come quello dei ciechi. Eppure ci vede molto bene ed è capace di raccogliere, senza esitazione, un minuscolo sassolino, di trovare il suo oggetto preferito senza dar l’aria di cercarlo. Prende i giochi senza guardarli, non li accompagna con gli occhi; se cadono, non li cerca. È affascinato dai giocattoli che si muovono, dagli oggetti rotondi come palline, trottole, gli piace far girare senza tregua gli oggetti che ha in mano. Non ha gesti anticipatori (non tende le braccia per essere portato). Ogni cambiamento è per lui fonte di panico, piange senza motivo. A volte, diventa aggressivo o auto-aggressivo (si graffia o si schiaffeggia). La nostra presenza e le nostre sollecitazioni lo lasciano indifferente o perfino suscitano in lui paura o panico.
Capiamo presto che questo bambino abita un altro mondo, ma capiamo anche che è un mondo di grande sofferenza e di solitudine. Soprattuto non dimentichiamo che capisce molto più di quanto si possa giudicare dal suo comportamento.
2. Che cosa accade allora in noi?
Accogliere un bambino handicappato è accogliere un bambino diverso. Accogliere un bambino autistico è accogliere un bambino completamente estraneo al nostro mondo, e questo fa nascere molte domande in noi.
Perché questo bambino sembra trovarsi in uno stato di così grande indifferenza, di così grande sofferenza? Perché sono impotente ad aiutarlo? Perché sembra non accorgersi che gli voglio bene, che vorrei alleviare la sua pena? Perché rifiuta le manifestazioni di tenerezza? Perché è aggressivo con me? Perché mi vede come una persona pericolosa o dannosa?
A questo punto tutto è rimesso in causa: i nostri gesti materni, le manifestazioni d’affetto. Tutte le abitudini educative che abbiamo per gli altri bambini sembrano non essere utilizzabili e non avere un senso.se riferite a questo bambino. Ogni avvenimento della giornata, anche il più banale, suscita un conflitto.
Bisogna sempre negoziare, non si capisce se chiede qualcosa e che cosa. Non formula richieste, se non quella di lasciarlo in pace. Ma è questa la soluzione? È una situazione scoraggiante nella quale si ha la sensazione di perdersi, senza poter offrire risposta al bambino. Così, dopo le domande vengono i dubbi. Si è tentati di pensare che non siamo i genitori, gli assistenti o gli insegnanti di cui il bambino avrebbe bisogno ed è solo con un sentimento di incertezza che cominceremo a entrare veramente in relazione con lui. E allora gli interrogativi si fanno più radicali. Che cosa si può fare per lui? È giusto accoglierlo in un asilo nido, in un asilo? Quali mezzi possiamo mettere in opera per aiutare il bambino e la sua famiglia? Prima di tutto dobbiamo sapere che questi dubbi sono penosi, ma che forse ci aiuteranno a trovare il cammino per arrivare a lui.
Questo bambino soffre di turbe della relazione e della comunicazione; tutto quello che tenteremo per aiutarlo a comunicare, a entrare in relazione, sarà sempre benefico per lui, anche se i risultati saranno minimi. Accoglierlo è anche sollevare la famiglia, in particolare la madre, permetterle di riprendersi perché questo bambino è per lei sfibrante. Inoltre sarà sempre per la famiglia una possibilità di contatti, di aiuto.
Ne parleremo più avanti. Infine accoglierlo significa offrire al bambino un ambiente con altri bambini, dove potrà tentare i primi approcci di comunicazione e di vita sociale.
Allora, come fare?
Siamo divisi fra il desiderio di sollecitarlo, di testimoniargli il nostro interesse e questo può atterrirlo, e il pensiero che sia meglio lasciarlo nel suo isolamento dove sembra contento. Ebbene, bisognerà tentare di conciliare le due cose.
I modi essenziali di intervento sono di due tipi.
- Aiutarlo a stabilire una comunicazione. Questo gli costerà molti sforzi; conviene dunque sollecitarlo ma lasciargli il tempo per riposare nel quale potrà ritrovare il suo universo.
- Aiutarlo a familiarizzare con chi gli è vicino, a entrare in contatto con lui in modo da averne meno paura. Per questo abbiamo a disposizione:
- la parola che umanizza
- i gesti
- i momenti forti della giornata (pasti, giochi, sonno).
a) La parola che umanizza:
Questo bambino non è sordo, non bisogna parlargli urlando, ma lentamente e naturalmente: le frasi devono essere corte e semplici.
Ogni iniziativa presa con lui deve essere commentata, senza però inondarla di parole.
Ma quando vi accorgete che il bambino da solo si interessa a qualcosa, non intervenite commentando il suo gesto. È meglio, in questo caso, parlare a voi stessi, dando l’impressione di scoprire lo stesso centro di interesse (es. il raggio di sole, la trottola…). Quando ci si trova in una situazione per noi imprevista, il riflesso è di dire NO, specialmente se temiamo un pericolo. Con un bambino autistico, non bisogna usare frasi negative. Questo non vuol dire che bisogna accettare tutto; si tratta di trovare la maniera di formulare. Ad esempio quello che domanda non è possibile: «Mi dici che vuoi far merenda; credo che dovrai aspettare un po’».
Il bambino autistico esprime la sua domanda materializzandola; è quindi importante non cominciare con un NO; cioè: «NO, non toccare…». «Non è l’ora per…». Il vostro intervento in questo caso equivarrebbe a rifiutargli la parola.
Per questo bisogna rimettere in parole quello che dice con i gesti. (Es. Capisco che vuoi salire sulla tavola, vuoi prendere le forbici) ed è solo a questo punto che bisogna intervenire per evitare il pericolo se ce n’è, altrimenti bisogna tollerare che il bambino faccia le sue scoperte in maniera un po’ insolita (es. mangiare una margherita…).
È chiaro che bisogna evitare di parlare delle sue difficoltà in sua presenza. Se capita di dare un’informazione ai genitori, sarà bene introdurlo nella conversazione prendendolo a testimone di quello che dobbiamo dire. (Es. Isabella oggi non ha mangiato e, guardando la bambina: «Penso che non avevi fame!».
b) I gesti che accompagnano
Il bambino autistico sopporta male le manifestazioni d’affetto troppo marcate, i cambiamenti di atteggiamento bruschi. Bisogna evitare, almeno all’inizio, prima che vi abbia «addomesticato», di prenderlo in braccio, di baciarlo. Si può abituarlo prendendolo sulle ginocchia; siamo così un po’ dietro a lui. Se già questo gesto è «forte» per lui, non bisogna parlargli in quel momento, ma solo canticchiare. Non deve sentirsi prigioniero fra le nostre braccia, ma ugualmente bisogna che la stretta sia ferma, perché sia sentita rassicurante; il bambino autistico non sa adagiarsi fra le braccia; è o bambola di pezza o bastone! Per sollecitarlo (pasto, gioco…) è bene mettersi accanto a lui perché ha difficoltà di affrontare lo sguardo diretto ed è questo un modo per evitargli una difficoltà supplementare. I gesti saranno molto importanti soprattutto con i più piccoli.
Tutte le occasioni della toilette, del cambio ecc. dovranno essere privilegiate come un tempo molto utile in questo lavoro di comunicazione. Non si sa bene come percepiscono il loro corpo ed è questa un’occasione per fargliene prendere coscienza in un rapporto di benessere: anche qui bisogna parlare, commentare quello che si fa. Bisogna evitare i gesti intempestivi, anche se son fatti per evitare un pericolo. Bisogna precederli e mostrare al bambino il buon gesto da compiere (utilizzazione e precauzione).
c) Sonno, pasti, giochi
II sonno e l’alimentazione sono molto spesso fonte di conflitto e di difficoltà nella giornata del bambino autistico. Egli infatti fa molta fatica a passare dallo stato di veglia al sonno, così come si mostra molto selettivo nella scelta degli alimenti che accetta di consumare. Ancora una volta, è nell’osservazione attenta che scopriremo il modo di approccio che gli conviene di più e che ci permette di aiutarlo. Bisogna ricordarsi ciò che è essenziale in questo momento della giornata: che possa trovare il sonno, che possa alimentarsi; la prassi educativa verrà in un secondo momento. Bisogna quindi essere tolleranti nei confronti dei suoi «riti», delle sue «manie». (Es. Se non vuole levarsi i vestiti per dormire, bisogna lasciarlo fare. E quando si abituerà ad addormentarsi più facilmente e più normalmente, gli si proporrà di levarsi almeno i due calzini…).
Lo stesso per i pasti. Bisogna accettare le sue preferenze anche se sono esclusive e introdurre altri alimenti lasciandoli alla sua portata senza proporglieli. Se fa un tentativo per andare verso questi alimenti, è chiaro che non bisogna fare alcun commento. Per il bambino autistico, i giochi non hanno senso. Avrà senso vedervi giocare e invitarvelo poco per volta. Il gioco migliore per cominciare è il pallone che si fa ruzzolare verso di lui. Bisogna anche accettare che usi i giochi in modo tutto diverso da quello previsto dal costruttore. Gli piacciono gli equilibri, ma non costruisce. Le rappresentazioni non astratte come le bambole, gli animali di peluche, non hanno significato per lui. A guisa di gioco, è bene rendergli famigliare l’ambiente: lasciarlo giocare molto con la terra, i sassi, l’acqua ecc… Il canto e la musica sono un aiuto molto prezioso. Ne sono molto sensibili. Potete usare delle canzoni per far passare qualcuno dei vostri messaggi. Quando il bambino è nervoso, la musica spesso lo calma. Ma non deve diventare fonte di isolamento.
Per finire non bisogna rimettere in ordine senza la sua presenza. Ritrovare alcuni oggetti là dove li ha lasciati è per lui il filo conduttore come i sassolini di Pollicino.
Gravi turbe del comportamento
L’aggressività e le collere, sia che si manifestino contro noi o contro se stesso, non sono per il bambino autistico un desiderio di far male; sono piuttosto una maniera di fare irruzione nel nostro mondo. Bisogna cercare di scoprire ciò che scatena queste crisi di collera e di aggressività: spesso si potrà evitarle; tuttavia molti di questi atteggiamenti resteranno incomprensibili.
Se il bambino è in collera, bisogna isolarlo in un ambiente calmo e restare con lui, perché sarà necessario tenerlo per evitare che si faccia del male, allora sarà utile cantare dolcemente… Quando la crisi è passata, anche se il bambino è molto piccolo, bisogna spiegargli quello che si è tentato di fare: «Eri molto in collera, ti ho tenuto perché tu non abbia male, non voglio che tu ti faccia male».
Infine, bisogna ricordarsi che il bambino autistico non ha il senso del pericolo e che l’esperienza del dolore non lo ferma. Se si scotta, questo non gli impedirà di ricominciare.
Bisogna anche sapere che non possiamo educare con ricompense e punizioni, che per lui non hanno senso.
In conclusione, il bambino autistico sarà aiutato maggiormente da quello che noi saremo piuttosto che da quello che faremo: dovremo essere un OSSERVATORE ATTENTO, CALMO, SERENO, TOLLERANTE, REGOLARE, FERMO, TENERO, FIDUCIOSO IN LUI E NEL SUO DIVENIRE.
Nessun metodo avrà successo senza queste disposizioni personali.
– Beatrice Frank, 1990
(Ridotto da “Sesame” n. 88)
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.32, 1990
Sommario
Lezione di danza insieme di Mariangela Bertolini
Abib, Mohamed, Naima
Accogliere un bambino autistico di Beatrice Frank
Io sono una come voi: una mamma
Preghiera della malattia
Una passegiata in campagna di Gilberte Roger
Chi ha avuto paura fa gratis un altro giro di Riccardo Guglielmin
Ma non sono sola di Gaia Valmarin
Malattia mentale e legge di Sergio Sciascia
Malattia mentale - Una soluzione giusta di Sergio Sciascia
Rubriche
Libri
Il tuo nome è Olga di J. M. Espinàs
Il corpo spezzato di J. Vanier
Bibliografia italiana sui disturbi dell'Udito, della Vista e del Linguaggio di S. Legati