Un giovane statunitense rampante scopre, alla morte del padre, di avere un fratello autistico ospite da tanti anni di un istituto per persone handicappate, al quale il padre ha lasciato praticamente tutto.
Mosso esclusivamente dall’avidità, il giovane rapisce suo fratello sperando, ottenuta la tutela, di diventare beneficiario dell’enorme eredità.
Ma i diversi giorni passati insieme portano i due fratelli a conoscersi e a riconoscersi, attraverso vaghi ricordi d’infanzia e pian piano si instaura fra loro un rapporto che li porta a non voler rinunciare l’uno all’altro.
Questa, in sintesi, la trama di Rain Man, un bellissimo film che ha, appunto, come protagonisti due fratelli di cui uno colpito da un tipo di autismo che non conosco personalmente, con fissazioni e deficit da una parte ma anche capacità mnemoniche e algebriche fuori dal comune. La mancanza di familiarità con questo handicap mi ha condizionato in alcuni passaggi del film, nei quali il personaggio mi è sembrato poco realistico perché troppo reattivo ai dialoghi e alle situazioni. Ciò che invece mi ha assolutamente conquistato è la straordinaria delicatezza con cui Dustin Hoffman interpreta questo personaggio, senza «caricaturizzarlo» o renderlo ridicolo per suscitare la risposta dello spettatore.
Anche nella ripetizione ossessiva dei piccoli gesti quotidiani che fanno un rito della giornata di un autistico, l’attore dimostra un grande rispetto verso l’handicap che rappresenta e probabilmente verso tutte le persone handicappate.
Quindi mi sembra che siano due gli intenti principali del film: il primo, quello di far entrare gli spettatori in contatto con un mondo, quello dell’handicap, molto poco frequentato dal cinema e, più particolarmente, col mondo dell’autismo sconosciuto ai più e che spesso genera, in chi lo ha di fronte, paura e diffidenza; l’altro, quello di far ruotare tutta la trama (solamente pretestuosa) intorno al rapporto che si crea e cresce tra i due fratelli; un rapporto di scoperta, non unilaterale (del «normale» verso l’handicappato) bensì reciproco, in cui ognuno progressivamente si adegua al carattere, alla personalità, alle esigenze dell’altro e ne scopre sempre più la qualità.
Nel complesso un film molto bello e importante, da godersi tranquillamente, da soli o in compagnia.
– Antonio Mazzarotto, 1989
(Antonio, 25 anni, da molto impegnato come amico e responsabile nelle comunità Fede e Luce, ora presta servizio civile nella comunità dell’Arca di Roma).
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.26, 1989
Sommario
Editoriale
Da dove cominciare? di Mariangela Bertolini
Articoli
Ho visto «Rain man» di Antonio Mazzarotto
Conoscere l’handicap: AUTISMO di Redazione
Aiutarlo a diventare «un uomo» di M.N.P.
Non è sempre facile essere sorella di Maria Cristina
Un luogo per vivere e imparare a vivere di N. Schulthes
E come «parlano» senza parole! di Sergio Sciascia
Come comportarsi con le persone cieche
Come organizzare i "Giochi Olimpici" in casa di Barbara
Rubriche
Dialogo aperto
Vita di Fede e Luce
Libri
«Sarà una bellissima festa» di A. Cattaneo
Un lungo cammino di E. Zoffoli
Amici nonostante la guerra di M. Labaky
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