Carissimi genitori «di oltre cinquanta»,
vorrei tanto poter trovare parole che entrino nel vostro cuore come una goccia di pioggia benefica su terra assetata.
Conosco l’amore con cui avete seguito da tanti anni la crescita dei vostri figli: un amore che ha conosciuto sacrifici, riununce, delusioni, frustrazioni, ma anche la gioia di averli potuto tenere vicini, di aver superato lotte e ostacoli, di aver visto i loro progressi, di aver gustato la loro delicatezza. Per alcuni di voi non sempre è andata così.
Ora, avvicinandovi alla sera della vostra vita, siete avvolti da nuovo timore: doverlo lasciare, come, dove, a chi?
Queste domande che martellano le vostre giornate e, alle volte, le vostre notti insonni, sono un vero problema che si ha paura di guardare in faccia, che si rimanda, che si cerca di dimenticare.
Quale goccia benefica far scendere nel vostro cuore? Quali risposte dare a questo autentico tormento?
Cerco di mettermi al vostro posto e cerco con voi di trovare alcuni suggerimenti che vi propongo nella speranza di non farvi del male; saprete accoglierli e farli vostri? E se non vi sembrano giusti o fattibili, vorrete perdonarmi di aver rimestato inutilmente nella piaga?
Sono solo suggerimenti iniziali e parziali, che potrete ampliare, modificare, discutere… dovrebbero servire ad aiutarvi a preparare vostro figlio a vivere non più con voi, ma con altri.
Ogni genitore che ha un figlio che può raggiungere una certa autonomia sa bene che non deve stringere con lui un rapporto di forte dipendenza: sa che deve lasciarlo pian piano indossare e scegliere da solo i suoi vestiti, prepararsi la colazione, fare qualche spesa, lavare i piatti, ordinare la stanza e rifarsi il letto… è inutile continuare l’elenco anche perché ogni ragazzo ha possibilità di autonomia diverse.
Quando questa prima, importante e, a volte, lunghissima educazione è stata portata a termine, la domanda da porsi è: «Che cosa non gli ho mai insegnato a fare da solo e posso ancora insegnargli?» e passare a vie di fatto, poco alla volta, senza mai dirgli: «Quando sarai solo, come farai?» per non far trapelare l’angoscia.
- Aiutatelo a prendere coscienza dei suoi limiti, ma soprattutto e più che mai ora, delle sue capacità. Rendetelo consapevole di quanto può dare agli altri e in particolare a chi avrà cura di lui: sorridere, essere garbato, chiedere aiuto «per favore» a un vicino, a un parente e saper dire «grazie». Insegnategli a chiedere aiuto nelle cose che non può fare e a saper offrire il suo aiuto in quello che sa fare, in modo che conoscenti e amici apprezzino le sue doti e «godano» della sua presenza. Ad esempio: andar a far visita a una persona sola, chiederle se ha bisogno di un servizio, tenere compagnia, scendere a prendere il latte o il giornale, sbucciare i piselli… In certi casi: giocare con un bambino piccolo, sorvegliare un neonato… È importante inventare e creare piccoli servizi che lo renderanno «felice» di fare qualcosa per gli altri, e simpatico e amabile.
- Prendete contatto con qualche amico o amica del palazzo e con gentilezza chiedete se qualche volta possono venire a prenderlo per portarlo a giocare, a prendere un gelato, a fare una passeggiata, ad andare a un cinema.
E il caso di riprovare
Mi direte: «Abbiamo tentato senza successo!». È il caso di riprovare; se non è andata bene una volta, ci può essere una seconda volta. Può essere importante, chiedendo una mano a una persona adulta a voi vicina, spiegarle che avete in programma di prepararlo «a vivere da solo», senza la vostra presenza…
Siamo in tempo di vacanza: approfittate per cercare di mandarlo in vacanza con amici, conoscenti, parenti, per qualche giorno, per una settimana. Bussate alla parrocchia, chiedete accoglienza per lui in un campo di giovani, fra gli scout, spiegando il motivo di fondo che vi sta a cuore. E se accettano, non sciorinate le mille attenzioni da avere, le mille vostre paure. Lasciatelo provare. L’importante è dire solo «le cose necessarie».
Non c’è bisogno, ad esempio, di sottolineare i cibi che preferisce, le abitudini esasperate che ha contratto con voi, troppo solerti nel superproteggerlo.
Cominciare a unirvi
E poi, soprattutto, cominciate a unirvi ad altri genitori che conoscete bene, con i quali andate d’accordo, che hanno figli «simili» al vostro, dei quali avete stima e fiducia, per parlare dei vostri progetti, di quello che immaginate si potrebbe fare insieme. Sarà un inizio, poi insieme da cosa nasce cosa. Potreste così formare un gruppo unito, deciso e determinato a «mettere su qualcosa», con aiuto di altri, di un’associazione, di una parrocchia, delle USSL, di un convento, del vostro vescovo…
Non stancatevi prima di cominciare: è già un passo avanti preparare un progetto, presentarlo a qualcuno, valutarne insieme la possibile realizzazione, mettersi in contatto con chi ha tentato, cominciato, sperimentato.
Ombre e Luci si farà carico di presentare in un prossimo numero una guida su un modo possibile per un gruppo di genitori di preparare una comunità-alloggio.
Non sarà facile, ma faremo questo tentativo per venire incontro a quanti fra di voi vogliono una volta di più credere che «è meglio accendere una luce che maledire l’oscurità!».
– Mariangela Bertolini, 1989
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.26, 1989
Sommario
Editoriale
Da dove cominciare? di Mariangela Bertolini
Articoli
Ho visto «Rain man» di Antonio Mazzarotto
Conoscere l’handicap: AUTISMO di Redazione
Aiutarlo a diventare «un uomo» di M.N.P.
Non è sempre facile essere sorella di Maria Cristina
Un luogo per vivere e imparare a vivere di N. Schulthes
E come «parlano» senza parole! di Sergio Sciascia
Come comportarsi con le persone cieche
Come organizzare i "Giochi Olimpici" in casa di Barbara
Rubriche
Dialogo aperto
Vita di Fede e Luce
Libri
«Sarà una bellissima festa» di A. Cattaneo
Un lungo cammino di E. Zoffoli
Amici nonostante la guerra di M. Labaky
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