Negli Stati Uniti, uno studio sulla capacità di ascolto durante una conferenza, ha dimostrato che, abitualmente, ascoltiamo solo il 25% dei messaggi che ci sono indirizzati. Il che vuol dire che utilizziamo solo la metà di un solo orecchio! Questo mi fa pensare a quello che mi diceva un parroco: «Dobbiamo ripetere tre volte un annuncio se vogliamo essere pressappoco sicuri che tutti i presenti lo abbiano ascoltato».
È forse a scuola che prendiamo questa brutta abitudine di udire senza ascoltare, di percepire senza capire, o, quel che è peggio, di sapere in anticipo ciò che non è ancora detto da chi si rivolge a noi? Un’introspezione un po’ dura… completata da un’inchiesta un po’ fiduciosa ci porta ad enumerare le cause che ci impediscono un ascolto vero e sincero.

Ascoltiamo ma intanto ruminiamo sul passato — la telefonata del figlio che ci ha fatto star male — oppure pensiamo al dopo: passiamo in rassegna le cose da fare durante il giorno.
Come non oscillare fra ciò che è stato ieri e ciò che sarà domani?

Ascoltiamo, ma attraverso un’idea già fatta sulla persona che ci sta parlando. Tutto ciò che dice, allora, rischia di essere ricevuto in funzione dell’etichetta che le abbiamo messo addosso: è un borghese, è una progressista, ha idee belle e fatte, è limitato…
Come ascoltare la persona, non i suoi difetti, le sue qualità o l’idea che abbiamo di lei?

Ascoltiamo, ma temendo subito ciò che ci verrà detto. Abbiamo paura di una richiesta di aiuto, di un appello e siamo già così sommersi di lavoro!
Come aprire il cuore totalmente, anche all’idea o a un S.O.S. che temiamo?

Ascoltiamo, ma limitandoci strettamente alle parole pronunciate, senza ascoltare ciò che nasconde l’intonazione della voce, ciò che vela l’esitazione delle parole.
Come ascoltare non le parole, ma l’essere profondo che ci sta di fronte?

Ascoltiamo o piuttosto ci guardiamo mentre ascoltiamo. Pensiamo all’effetto che facciamo, all’importanza di quella conversazione.
Come evitare il ripiegamento su di sé, lo sguardo riflesso che ci taglia fuori dall’altro?

Ascoltiamo, ma in preda al nervosismo di tutta una giornata. Le migliori intenzioni non permettono di calmare un’impazienza fisica di cui siamo vittime. Tutto lo sforzo allora tende a dissimulare l’irritazione o la tensione nervosa o la fatica.
Come fare per essere disponibili a ciò che l’altro aspetta?

Ascoltiamo, ma con la paura di accostarci alla sofferenza di chi parla. Rifiutiamo inconsciamente di entrare in questa prova.
Come fare per essere compassionevole nel senso etimologico, cioè di accettare di soffrire con l’altro?

* * *

Ogni persona che incontriamo ha sete prima di tutto di qualcuno che gli presti attenzione, che la raggiunga nel suo essere profondo, in ciò che ha di unico e di eterno. Se ci sforziamo di metterci al suo posto, di identificarci con l’altro, solo allora possiamo cominciare ad ascoltarlo. Accogliere la persona, non l’idea che si ha di lei. Ascoltare fino in fondo, dimenticare le preoccupazioni e le fatiche. Trovare il tempo per pregare, per mettersi sotto la guida dello Spirito Santo, calmarsi, lasciar sgorgare quello che è nel profondo del nostro essere e renderci docili a Gesù che prega in noi.
Di fronte ad una persona con handicap, tutte le difficoltà di ascolto si accentuano: una può dire solo qualche parola essenziale: con prudenza bisogna completare; l’altro articola male; bisogna ricostruire la frase. Un’altra manifesta con il viso reazioni che ci fanno male; ancora di più bisogna andare oltre l’apparenza per raggiungerla in quello che ci vuol dire. Un’altra è chiusa nel suo silenzio, nella sua solitudine: bisogna indovinare e, a volte, esserle accanto e basta, presenti con tutte le forze di simpatia e di affetto che preparano la comunicazione senza parole. Perché anche quando le orecchie sentono, solo il cuore ascolta.

M.H. Mathieu, 1989
(O.et L. 45 )

Come ascoltare veramente ultima modifica: 1989-06-21T12:15:39+00:00 da Marie Hélène Mathieu

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