Guardo l’ora, sorpreso: Dio, sono ancora le 5. Forse per lui sono SEMPRE le 5; ora viene da te, vorrebbe accendere una sigaretta; tu quasi rimpiangi di non aver mai fumato.
Ecco, accende le luci; ti sta forse chiamando? Le palpebre sono pesanti, in un quasi sonno non vuoi farti domande.
Forse Saverio cerca una sua libertà? Va bene, sta camminando, ecco scende le scale. Sa già (dopo un giorno) che troverà infine le porte chiuse, la cancellata chiusa.
Ci proteggiamo dai ladri (e, in qualche modo, dalle sue fughe).
Non si dice a un uomo: «Sei bravo se stai buono».
Men che meno a Saverio. Molto meglio vederti vero, alzarti e uscire quando vuoi, ravvivarti i corti capelli.
Chissà perché a molti sembri assente, ma ti porti addosso un sorriso a fior di labbra; forse non è vero che non te ne importa niente, forse basta non farti sentire escluso.
L’anno scorso, chi più ti ama, Delia (grazie a lei ti abbiamo conosciuto) dopo una passeggiata nei boschi ti regalò un nido che s’era trovato per strada, e ci disse: «Saverio non ha un nido».
Volevamo esserne i rametti? Avremmo saputo esserlo?
La tua inconsapevole abitudine ti portava ai nostri cassetti, ma, sapevamo, non nascondervi nulla, e le tue tasche erano il posto più sicuro per ritrovare tutto. Si sorrideva, sai, di questo. Scusaci, comunque, per le volte che abbiamo dubitato, e non c’entravi, e potevamo evitarlo.
Ma quanto più ci riempisti il cuore, al vederti scherzare con noi, solleticare i piedi a Carlo che dormiva…
No, la tua casa non è la clinica psichiatrica: la tua casa, come per tutti, è dove incontri persone che ti vogliono un po’ di bene.
Un mattino (ero sveglio, ma non troppo, anche se mi reggevo in piedi) ti sorpresi che uscivi dalla cappella: lì, dove un giorno avevi profetato, eri tornato, all’alba, da solo. Guardai dentro, non mancava nulla; che stupido ero!
Tu potevi solo aver aggiunto qualcosa.
Ti abbiamo visto scavalcare il muro, allontanarti; ma non abbiamo temuto che fuggissi: perché non dovevi tornare? Forse volevi solo allontanare la paura di non essere libero. Ti addormentavi dove ti capitava, non abbisognavi di «un letto tuo»; ma come poter temere qualcosa? Tu alla fine ci hai detto: «Qui sono tutti amici».
I malati psichici per secoli sono stati emarginati come «diversi» e ritenuti irrecuperabili e pericolosi.
II discorso sulla famiglia è di fondamentale importanza: la famiglia, infatti, è il luogo dei rapporti primari, ove ogni persona si evolve, viene educata, consuma le proprie esperienze più significative. Spesso il disturbo psichico nasce proprio all’interno di relazioni famigliari disturbate.
Una cosa è certa: la sola legge, anche la migliore, non basta a sconfiggere l’emarginazione della sofferenza mentale. Questa, come le altre forme di emarginazione, possono essere vinte se parimenti crescerà nella società civile, ecclesiale e nelle singole persone una cultura e una pratica della solidarietà dell’accoglienza, una volontà e un gusto per relazioni umane che non siano di esclusione ma di comunione in grado di garantire ai più deboli sostegno, tutela, amicizia. Deve nascere una necessaria alleanza tra «tecnici» e comuni cittadini. È soprattutto in questo settore che la parola «terapia» deve coniugarsi con la parola «accoglienza».
Nel costruire questa nuova cultura, la Comunità cristiana ha un ruolo importante, utilizzando i canali specifici della Catechesi, della Liturgia, della Scuola, dei gruppi e inventando modi concreti che diano a questi «nuovi poveri» il respiro dell’umanità.
– Mario Damiani, 1988
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.21, 1988
Sommario
Articoli
Saverio, nostro fratello di Mario Damiani
La malattia mentale di M.E.
Bloccati nel silenzio di Jean Vanier
Addomesticare la malattia di J.P. Walcke
Era la mamma ma anche un’altra persona di C.D.
Dove vivono, come vivono
Villa S. Giovanni di Dio di Nicole Shulthes
Comunità terapeutica di Primavalle di Sergio Sciascia
Risultato dell’inchiesta "Aiutateci a migliorare Ombre e Luci"
Cosa ha detto Papa Wojtyla sull'epilessia di Redazione