La libertà religiosa è un diritto essenziale di ogni persona umana, foss’anche la più handicappata.
Questo principio, che non ha mai cessato di essere vero, è stato ricordato, ormai a più riprese, dal papa Giovanni Paolo II ed egli sa, meglio di altri certamente, di cosa parla.
Abbiamo tutti, in quanto cristiani, il dovere imperativo di far in modo che i nostri figli handicappati possano vivere la vita cristiana con quanto essa comporta: educazione religiosa e pratica religiosa nella misura delle loro possibilità.
Questa misura — posso dirlo dopo trent’anni di pratica catechistica con bambini, adolescenti, adulti handicappati, anche molto handicappati in certi casi — questa misura è molto più grande di quanto si possa immaginare.
E il segno che Gesù stesso ha dato agli inviati di Giovanni Battista venuti a chiedergli: «Sei tu il Messia che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?» è precisamente : «Andate a riferire a Giovanni che la Buona Novella è annunciata ai poveri» (Mt. 2, 2-6). Ed è lo stesso segno caratteristico della sua missione divina che Gesù dà nella sinagoga di Nazareth (Lc. 4, 16) citando il profeta Isaia (61, 1).
Spetta alla Chiesa di oggi far in modo che si compia ora questa missione del Cristo.
Ma la Chiesa di oggi, siamo noi, preti, religiosi e religiose ma anche laici, cominciando da chi è più direttamente implicato, genitori e amici degli handicappati stessi.
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Dobbiamo dunque con coraggio, fermezza, senza stancarci, reclamare presso le autorità competenti (locali, regionali, nazionali, laiche o religiose), cominciando col farlo noi stessi, quanto è possibile perché i nostri figli ricevano una vera formazione religiosa, perché siano ammessi alla vita dei sacramenti, perché possano praticare il culto e ricevere nella comunità parrocchiale l’accoglienza che è loro dovuta. E ricordiamoci che difendendo questi diritti dei nostri figli, difendiamo anche altri figli i cui genitori non avranno gli stessi mezzi per lottare per conto loro, oppure per quelli che non hanno genitori o nessuno per rappresentarli presso le autorità così spesso poco propense a prestare orecchio ai loro desideri e ancor meno ad educarli in questo campo.
– Henri Bissonier, 1988
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Il Padre Henri Bissonier è senza dubbio un’autorità nel campo della catechesi delle persone con handicap mentale.
Ha scritto molti libri e articoli, ha insegnato in numerose università, ha fondato e diretto Movimenti nazionali e internazionali di persone con handicap.
Ma non ha fatto solo teoria: provato, fin da bambino, nella malattia, a diciannove anni scopre, nei grandi sanatori delle Alpi, l'esclusione sociale e la desolazione spirituale del mondo dei malati.
Fin dalla sua ordinazione nel 1935, impegna tutta la sua vita di sacerdote in una lotta quotidiana per la difesa dei diritti delle persone con handicap, per il riconoscimento della loro dignità, per il loro inserimento nella vita sociale e nella comunità cristiana.
È stato il pioniere in Francia della catechesi delle persone handicappate entrando con tutta la forza della sua speranza e la sensibilità del suo cuore nel mondo triste e chiuso di un ospedale pubblico dove «vivevano» delle giovani e delle ragazze handicappate mentali.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.23, 1988
Sommario
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Come fare l’educazione religiosa di H. Bissonier
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