«Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto» (L. 10, 21-22).
Più volte ho ripetuto nel mio cuore questa frase, quando, in seguito alla richiesta dei genitori, ho iniziato il cammino di fede in preparazione al Sacramento dell’Eucarestia e Cresima con dei ragazzi di Mazara, portatori di handicap mentale.
Ci tengo a precisare: la richiesta dei genitori è importante.
Ho sempre detto alle famiglie, e continuo a ripeterlo che come «portano» questi ragazzi a livello fisico, cioè si preoccupano se sono ben coperti, nutriti, curati, etc., perché non sufficientemente capaci di gestirsi da soli, così devono «portarli» a livello di fede. In una parola: la famiglia deve impegnarsi a camminare con loro. La richiesta del Sacramento deve nascere dalla fede che abbiamo ricevuto col Sacramento del Battesimo. Solo la fede fa chiedere il sacramento, altrimenti a cosa serve la distribuzione dei Sacramenti?
Mi è stato chiesto di condividere con voi la mia esperienza. Vi dico subito che non sono portata a scrivere ciò che faccio, mi sembra talmente semplice… ma lo farò proprio in forza di questa semplicità dei nostri incontri, fatti di piccoli gesti affettuosi, concretizzati nell’accogliere i «ragazzi» così come sono. Questa semplicità ha fatto in modo che la Parola di Dio’fosse percepita nel loro «piccolo» grande cuore.
Il Signore si serve davvero di strumenti inutili, perché trionfi la Potenza della sua Parola e per confondere i ricchi e i sapienti (vd. S. Paolo). Ma andiamo ai nostri incontri.
La mia è stata una Catechesi Biblica. Volevo portare i «ragazzi» alla conoscenza:
1) di Gesù, Figlio di Dio e nostro fratello
2) del fatto che siamo fratelli in Gesù e quindi apparteniamo a un unico Padre che è Amore e Perdono;
3) di Maria, Madre di Gesù e Madre nostra.
Tutto questo forse può sembrarvi difficile, ma in realtà non è stato; pensando a Gesù quando camminava perle strade della Galilea e parlava con la gente, con persone semplici e pescatori (come gli Apostoli) spesso rozzi, se usava una parola semplice ed esempi a loro familiari, ho usato la stessa pedagogia.
Mentre, ad esempio, i «ragazzi» coloravano le immagini dell’Album di Jean Vanier (con illustrazioni delle Piccole Sorelle) e, in particolare quella di Maria che visita Elisabetta, chiedevo loro chi fossero quelle due donne (in precedenza avevo parlato loro dell’annunciazione), uno di loro disse:
— «È la Madonna che va a trovare la sua cugina».
— «E perché ci va? A fare che cosa ?».
E Gaspare pronto:
— «Per raccontare alla cugina il fatto che aspettava Gesù».
— «E poi?»
— «Per farci i servizi, perché la cugina accattava (aspettava) Giovanni».
È stato stupendo: la Madonna forse non è andata proprio per questo? Per portare Gesù in spirito di lode e di servizio?
La parabola del seminatore l’hanno capita benissimo. Raccoglievo le loro varie espressioni, mentre disegnavano rispondendo alle mie domande:
— «Cosa fa il contadino prima di seminare?»
— «Toglie l’erba… le pietre…».
Uno alla fine disse:
— «Apparecchia la terra… la fa bella per ricevere il seme».
Così la Parola di Dio, la terra è il nostro cuore.
Questa parabola l’ho adoperata anche per prepararli alla Confessione. Loro stessi dicevano che le pietre, l’erbaccia, le spine erano tutte le volte che erano stati «tinti», avevano cioè fatto capricci, si erano bisticciati etc.
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Ho parlato poi loro del perdono di Dio. Ho trovato l’argomento un po’ difficile, perché la resistenza al perdono l’abbiamo un po’ tutti, specialmente in alcuni ambienti… In genere stimolo i ragazzi facendo loro domande sugli avvenimenti del giorno o su quello che hanno visto alla TV. In quei giorni era successo il fatto del bambino di Bari buttato dalla propria mamma nel raccoglitore della spazzatura. Uno di loro mi raccontò subito il fatto e io:
— «Ma noi che dobbiamo fare? Dobbiamo perdonare a questa mamma, sì o no?». Nessuno rispondeva. Stavano colorando l’immagine di Gesù sulla croce. Gaetano, muovendo la testa in segno di diniego diceva: «No, no, non è giusto…».
— «Ma Gesù ha perdonato, sì o no?»
— «Sì, Gesù sì».
— «Una mamma, una volta si può scordare del figlio suo, ma Gesù si scorda di noi?».
E Gaetano:
— «No, no, Gesù non si scorda mai, perché noi siamo “i picciotti (piccoli) suoi”».
Ditemi se non c’è da dire: «Ti benedico, Padre…» e se non sono queste le parole di Isaia (49,15), dette con il linguaggio di oggi: «… anche se una madre ti dovesse dimenticare, io non ti dimenticherò mai?». E ancora: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (Sai. 26).
La presenza di Gesù persona viva nell’Eucarestia. Questa verità ha molto colpito i nostri ragazzi. Per spiegare questo ho adoperato il linguaggio dei segni e ho parlato della luce. Dialogando con loro, prendendo esempio dalle loro case, nominandoli, ho chiesto loro se la luce, nelle case, rimane sempre accesa.
Loro stessi mi hanno detto che quando in una casa non c’è nessuno la luce è spenta, mentre, quando le persone sono in casa, si vede la luce.
Siamo andati quindi in Chiesa (lì vicino), ho mostrato loro la lampada accesa, accanto al tabernacolo. Dopo una breve preghiera fatta salutando Gesù, ognuno si è espresso secondo le sue possibilità. Tutti dicevano che in quella porta (cioè il Tabernacolo) c’era Gesù vivo, risorto. Ma in modo del tutto eccezionale l’ha percepito Elisabetta, quando, senza nessuno le chiedesse nulla, a voce alta, indicando il tabernacolo, ha detto, ripetendolo poi più volte: «Gesù è vivo».
Questo grido, uscito dalla bocca di Elisabetta (una mongoloide abbastanza grave) è stato un vero messaggio per me: ciascuno di noi, nel suo posto e nella vocazione in cui ci troviamo, seguiamo Gesù, persona viva.
Il linguaggio dei segni, come dicevo, è molto importante, soprattutto per i nostri ragazzi. Un giorno Gaetano era molto imbronciato, nulla lo interessava, così rivolgendomi al gruppo (cinque ragazzi) dissi: «Oggi Gaetano è senza luce». Gli altri cominciarono a dire: «È spento…».
Gaetano sembrava che non seguisse, invece queste semplici parole lo fecero sobbalzare sulla sedia, si mise subito a colorare la figura e tutto contento diceva: «Ma che dici? La luce spenta?…. no, no, non sono spento!…». Ritornando all’Eucarestia qualche sacerdote un po’ perplesso nell’accogliere questi ragazzi per la recezione dell’Eucarestia, diceva che aveva bisogno, come «esame» per la loro idoneità, di qualche frase o segno che indicasse che avevano capito l’importanza del sacramento. Ho allora dialogato molto coi ragazzi, ho fatto disegni (con loro) di Gesù che istituisce l’Eucarestia, Gesù che spezza il pane con gli Apostoli etc. Ho fatto vedere loro anche le diapositive con la «storia del Chicco di grano», spiegando bene tutto il processo di crescita, la macinazione, la fabbricazione del pane che poi sfama ogni uomo e donna, la manifattura dell’ostia che, per mezzo del Sacerdote, diventa Gesù, pane di vita. Chiedevo allora:
— «Quando ricevi l’ostia è come mangiare un panino? Puoi sputarla? Prenderla in mano o appoggiarla sopra il banco?».
Tutti unanimi, con la voce e l’espressione del corpo, dicevano:
— «No, no, perché è Gesù».
Un altro sacerdote mi diceva che per i ragazzi h.m. è sufficiente ricevere il Battesimo, non gli altri sacramenti. In parte è vero, però bisogna, dopo il Battesimo, crescere nella fede, maturare. Siamo tutti responsabili di questo processo di maturazione (vd. Doc, Base, Cap. 3), quindi perché non provare? Certo questa «prova» richiede sacrificio, dedizione, tempo, perché è personalizzata.
Altri invece accettano con eccessivo zelo questi ragazzi, dando loro i sacramenti, senza nessuna preparazione.
Secondo la mia esperienza, dunque, non trovo giusto privare i ragazzi di questa crescita di fede, di questa conoscenza di Gesù, attraverso i fatti, trasmettendo loro la Parola di Dio che è «Spirito e vita» (Gv. 6, 63). Non è forse questo il desiderio di Gesù, le sue ultime parole riportate nel Vangelo di Marco, quando invia gli apostoli ad evangelizzare, senza frontiere?
«Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc. 16, 15).
Quando, nelle prime lezioni, chiedevo ai ragazzi: «Chi ha fatto Mazara? Chi ha fatto il mare (abitiamo vicino al porto)? Chi ha fatto Campobello, Marsala..?». Nominavo poi altre città più lontane, e chiedevo anche chi aveva fatto il mondo. Ebbene la risposta fu «Garibaldi».
Forse qualcuno riderà, ma a me fece molto riflettere, facendomi capire la responsabilità dei cosiddetti «sani», della famiglia, degli educatori,che cosa trasmettono ai ragazzi? Fu stupendo quando capirono che Dio aveva fatto tutto: aveva dato loro la vita, aveva fatto questo regalo a tutte le persone, perché Dio vuol bene a tutti. Si nominarono così i bianchi, i ricchi, i poveri, i fratelli di colore (nel nostro caso i tunisini)… Parlando di queste cose sono riuscita, per miracolo di Dio, a far loro memorizzare alcune preghiere e frasi dei Salmi, ad esempio: «Dio ha fatto tutto questo… Dio è grande o piccolo?».
«Dio è grande» — rispondevano tutti insieme.
«Vogliamo dirlo, allora, tutti insieme? O Signore, nostro Dio, quando è grande il tuo nome su tutta la terra!».
Spesso ripetevamo questa frase, ad ogni incontro ed allora scaturì dal loro cuore una litania, come le «lodi dell’Altissimo»: «O Signore nostro Dio, quanto sei grande… quanto sei forte!… Quanto sei bello!».
L’Ave Maria è stata imparata nello stesso modo, a indovinare, a forza di domande e di risposte:
— «Quando l’Angelo andò da Maria che le disse: Ciao?… Buongiorno?…».
— «No!» — dicevano i ragazzi insieme.
— «E come l’ha salutata?».»
— «Ti saluto, o Maria!».
— «Salutiamola allora insieme: Ave Maria, piena di grazia…».
Con Maria che ci ricorda il mistero della nostra salvezza termino questo semplice e fraterno «partage». Colei che è la stella dell’evangelizzazione ci accompagni in questo viaggio della vita, facendo incontrare, sempre di più, il suo Gesù come Via, Verità, Vita.
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Spero di avervi trasmesso non quello che io ho fatto, ma il racconto delle meraviglie del Signore, attraverso le risposte di questi «piccoli»! Certo, è necessaria molta attenzione, da parte di chi accompagna questi ragazzi. Attenzione che vuole essere incarnazione, dono disinteressato di sé, in una parola tanto Amore, per poter intuire cosa vogliono comunicarci con le loro diverse espressioni. Bisogna essere sulla stessa lunghezza d’onda.
Avrei tante altre cose da condividere con voi, sempre riguardo a questa esperienza di fede fatta con loro, ma forse sono stata anche troppo lunga. Lodiamo il Signore per le meraviglie che Lui solo, di generazione in generazione, compie nel cuore di ogni uomo. Lodiamolo, perché il Signore è buono, eterno è il suo amore per noi!
– Anna Maria Conte, Francescane Missionarie di Maria, 1988
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.23, 1988
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