Una santa fesseria
FL Roma – Campo di Pizzoferrato
Antonio mi disse: «Sto cercando di organizzare un campo a Fiuggi per Luglio. Perché non vieni anche tu?». Io risposi: «È un’idea. Ma in genere non mancano genitori a Luglio. È inutile che venga soltanto per occupare un letto. Vediamo se c’è un campo che ha bisogno di un genitore».
Partii per la California. Al ritorno, telefonai a Valeria per sapere se ci fosse qualche novità sul nostro corso formativo. Non stavo pensando al campo per niente.
«Tu devi andare a Pizzoferrato come responsabile», disse Valeria.
Io non sapevo niente di Pizzoferrato, ancora meno pensavo di fare il responsabile.
Sentii un tuffo al cuore. È un conto fare una bella esperienza sotto un altro responsabile. È un altro conto essere responsabile io per un progetto così impegnativo quanto un campo.
«Non ti preoccupare», disse Valeria. «Gli amici sono tutti bravi e c’è Antonio che ha molta esperienza».
Andai a casa di Barbara per una riunione insieme agli amici che volevano partecipare. Non era la prima riunione per loro. Vidi subito che la maggior parte del lavoro preparativo era già stato coordinato da Antonio: gli affidamenti dei ragazzi, chi doveva pensare al trasporto, chi alla spesa in grosso prima della partenza, la parte liturgica, l’animazione musicale, i giochi, il lavoro ricreativo e i servizi. Gli amici non avevano lasciato niente per me da fare. In che, dunque, consiste la mia responsabilità?
Cominciai a capire quando Vito, durante la messa in parrocchia, mi diede un foglio da firmare. Era per l’assicurazione. La mia responsabilità, dunque, dev’essere legale, morale e psicologica.
Decisi di andare a vedere la casa dove saremmo stati ospitati per il campo. Sapevo che la famiglia Bencetti aveva dato l’uso della loro casa di montagna e in più una loro amica, signora Iaia, aveva messo a disposizione la sua sala hobby, una grande sala con bagno, dove potevamo sistemare tante brandine. Il resto della casa sarebbe stata utilizzata dalla famiglia di Iaia.
Partii domenica mattina con Claudio, Chiara e mia figlia Sabina. Capii subito che la casa non era per niente adatta a noi. Era abbastanza grande per una famiglia, 3 stanze da letto più una mansarda, ma c’era solo un bagno e parecchie scale. Per di più, la casa della signora Iaia non era di fronte come pensavo io, ma a una bella passeggiata in salita! Non vedevo come potevamo sistemare tutta quella gente, inclusi dei ragazzi handicappati gravi, con tutte quelle scale e salite e soltanto due bagni. Poi venni a sapere che l’ospedale più vicino era a 3/4 d’ora di distanza su una strada di montagna a curve e non c’era né un medico né un’infermieratra i nostri amici.
Non c’era telefono. Potevamo telefonare dalla cabina telefonica pubblica, ma, nel caso di una seria malattia o incidente, i genitori non potevano telefonare a noi per notizie e per venire ci volevano tre ore di viaggio da Roma. Mi sentii un po’ preoccupata. Pensai alla dolcissima Clelia, la bambina che doveva partire con noi. Clelia è morta d’improvviso a casa sua soltanto 15 giorni prima della partenza. E se fosse morta mentre era con noi? Cominciai a pensare ai ragazzi a noi affidati.
A. Un bambino spastico, molto delicato, in carrozzella. Conoscevo A. fa parte del mio gruppo a Roma, non mi ero resa conto di quanta cura ha bisogno. Per via di un problema col metabolismo, ogni cosa che mangia deve essere accuratamente studiata, giorno per giorno. Il minimo sbaglio può essere un disastro…
E. Una bambina bellissima, però estremamente difficile con problemi comportamentali. Ci volevano 3 amici soltanto per lei.
Giovanni, servizievole, che soffre di momenti di assenza.
R. Sembrava facile ma… non era poi tanto facile come sembrava.
Ale. Estremamente lento nei movimenti. Ogni cosa che fa prende molto tempo.
Guardai ogni ragazzo. Ognuno presentava problemi non indifferenti, o di salute fragile, o fisicamente grave, o psichicamente difficile; per di più, tutti handicap diversi. Come trovare attività che potessero fare tutti?
A questo punto, Sergio non viene più. Abbiamo due posti liberi. Telefono a Lucia: «Possiamo prendere due ragazzi lievi». Lucia ci dice che due bambini down avrebbero avuto piacere, ma non necessità, di partecipare. Oppure C. (che è molto agitata e scappa da tutte le parti). La mamma è disperata. Ha proprio bisogno di riposo.
Io dico a Lucia: «C. è fuori questione. La casa dove andremo non ha cancello né recinto. Per di più abbiamo H. con noi. Non è il caso di prendere anche C. allo stesso tempo».
Poi abbiamo avuto un’altra riunione, a casa mia. Non so come, ma decidiamo di prendere C.
Non era una decisione intelligente, ma era generosa. O siamo santi, o siamo fessi. I casi sono due. Eravamo d’accordo tutti che questo campo dev’essere «una santa fesseria». Da quel momento, Dio comincia a darci una mano. (A Dio piace tanto le Sante fesserie).
Appena arrivati a Pizzoferrato, vediamo la Signora Iaia che sta salutando figlio e nuora con i loro figlioli: devono partire d’improvviso per Roma.
«Adesso posso darvi 4 stanze e un bagno in più», dice Iaia.
Paradiso! Potremmo dormire più confortevolmente. Decidiamo di creare una cappella nella sala hobby. Viene molto carina, l’altare fatto dai banchi di legno coperto di un lenzuolo bianco, decorato con dei fiorellini di montagna. I parroco viene a dire la messa.
Il sole splende su di noi tutti i giorni, in un posto dove normalmente piove 3 giorni su 4. (È venuto giù un diluvio quando eravamo in partenza, con le valigie per strada. Abbiamo dovuto riaprire il garage per ripararci mentre sistemavamo il trasporto).
Abbiamo avuto dei problemi, problemi seri. La famosa crisi del 4° giorno a noi è venuta dopo 2 giorni e mezzo. Abbiamo dovuto fare una riunione di emergenza. I problemi erano tanti, quasi da voler chiudere il campo e mandare tutti a casa! Poi ci siamo messi a studiare come si poteva risolverli. Da quel momento, tutto è filato liscio. Ognuno di noi era costretto di tirare fuori il meglio di sé. Sono convinta che proprio i problemi hanno cementato così bene la nostra amicizia.
Ho imparato di più sul come deve funzionare una équipe. Ho sempre pensato che una équipe funziona sull’efficienza di ogni individuo, che ognuno deve saper fare la sua parte. A noi è successo, invece, che qualche volta un amico, o per stanchezza, o per fragilità personale o per mancanza di esperienza è venuto a mancare nel proprio compito; questo vuoto è stato subito coperto, senza che io mi accorgessi subito, dall’amico più vicino, o più forte o più generoso. Quando succede questo non abbiamo più una équipe buona. Abbiamo un’équipe indistruttibile, basata sulla nostra solidarietà.
Abbiamo preso dei rischi. Abbiamo portato i ragazzi a cavallo, in piscina, abbiamo fatto dei barbecue in giardino, al buio, attorno al fuoco. In questa occasione siamo andati un po’ fuori orario, ma valeva la pena, soltanto per vedere tutti quei visi felici e sorridenti. Abbiamo fatto amicizia in paese, sia con la gente del posto, sia con i villeggianti. Due famiglie, una di Napoli e un adi Bari, sono venute spesso a mangiare e pregare con noi. Abbiamo lavorato, servito, pregato e ci siamo divertiti insieme. C’era molto amore tra di noi e io sentivo fortemente la presenza di Dio.
È stato un campo difficile, impossibile, stupendo — una Santa Fesseria!
– Olga Barrows Gammarelli
Comunità di Bari – Campo estivo
Anche dopo il campeggio
L’Oasi S. Giovanni Battista (Fasano) ha riaperto i suoi cancelli alle 2 comunità baresi, «Immacolata Concezione» e «Spirito d’Amore», riunite per un campeggio che, fin dall’inizio, lasciava intravedere quale mole di lavoro ci aspettava. Sono così nati momenti di disagio, disorientamento, forse inevitabili: ma un opportuno momento di verifica è servito a identificare i pericoli maggiori, quelli dell’incostanza e della dispersione. Dopo, il campeggio ha preso quota.
La suddivisione in varie squadre di lavoro ha permesso una maggiore responsabilizzazione e coinvolgimento di ognuno; credo che ognuno abbia potuto cogliere un «messaggio» personale, nei diversi giorni, una «parola» che parlava di te, bastava solo lasciare una finestra aperta perché potessero entrare messaggero e messaggio.
Quest’anno abbiamo cercato di vivere diversamente anche la preparazione delle scenette, dei mimi, cercando di farne un momento ulteriore di riflessione e comunque di coinvolgimento di tutti, ragazzi compresi.
Il campeggio, coi suoi momenti di gioco, preghiera, dialogo, ascolto… invitava poi a misurarsi con i diversi linguaggi, segni che si potevano cogliere appena dietro espressioni di apparente ostilità, indifferenza.
Poi invece, aperta una «breccia», ecco i gesti che non ti aspettavi, le parole mai ascoltate… emozioni semplici ma belle.
C’era da combattere la fatica fisica, la tentazione dell’ intolleranza, certo, ma… nulla che valga la pena ricercare è mai facile. Così, la ricerca di un rapporto di amicizia continua oltre il campeggio.
Mario Damiani
Consiglio internazionale F.L.
Abbiamo avuto a Settembre un incontro del Consiglio Internazionale di Fede e Luce a Madrid.
Eravamo 13: Marie-Hélène Mathieu e Marcin Przrciszewski, coordinatore vicecoordinatore internazionali e i coordinatori di zona: Jean Evariste (Europa Atlantica), Mariangela Bertolini (Europa Alpina), Zilda Furtado (America Latina e Caraibi), Betty Renaud (Nord America), Roland Tamraz (Medio Oriente), Bella Feliciano (Asia-Oceania), Teresa de Bertodano (Africa), Padre David Wilson assistente, Marie Vincente de Severac segretaria, ed io.
Ci sono settecento comunità sparse nel mondo con un centinaio in formazione.
C’erano molti problemi e molto lavoro. Ma è bene quando si porta tutto insieme nell’unità. Infatti alcuni di noi lavorano insieme da dieci anni. E siamo pieni di meraviglia per quel che lo Spirito sta facendo per mezzo di Fede e Luce. La Buona Novella è annunciata ai poveri e tanti genitori e i loro figli ritrovano vita e speranza.
Eppure, Fede e Luce resta fragile: solo cinque persone lavorano a tempo pieno. Le Comunità poggiano su persone che hanno altri lavori, e per le quali Fede e Luce è comunità di preghiera e di sostegno.
Mi sono sentito incoraggiato e rafforzato dalle relazioni di ognuno.
Ero commosso ascoltando Bella parlare delle famiglie di Fede e Luce nelle Filippine che non hanno abbastanza da mangiare. Mariangela ha comunicato la sofferenza dei genitori, ma anche la loro scoperta del mistero del povero. Roland ha parlato dell’approfondimento delle comunità nel Medio Oriente. Zilda di tutta la vita donata nelle comunità in Haiti e nel Messico. Betty, Jean e Marianna hanno parlato del progresso di Fede e Luce nelle loro zone, e Teresa delle nuove comunità in Zimbabwe, Sud Africa, Nigeria e Sierra Leone.Maria Vincente ha riferito dei suoi viaggi per Fede e Luce e di tutto il lavoro amministrativo.
Padre David Wilson ha annunciato che lascerà il compito di assistenze internazionale: egli è stato un dono prezioso, un segno di Gesù.
Marie Hélène ha ben coordinato questo incontro, insieme a Marcin che assisteva per la prima volta al Consiglio in funzione di vicecoordinatore. Marcin segue in modo particolare le questioni della formazione in Fede e Luce.
Jean Vanier
Sull’esempio di Maria
Campo di Bari
Non si è spenta la gioia che mi porto dentro per aver colto i segni tangibili di una crescita insieme, di uno sforzo comune per raggiungere l’unità, di una presenza vigile ed amorevole di «Maria». Si! Perché a Lei era stato dedicato questo campeggio. Don Vito aveva avuto l’intuizione: «Sull’esempio di Maria». Ogni giorno si rifletteva su una virtù di Maria, l’accoglienza, la fedeltà, l’intercessione, la carità, la maternità ai piedi della Croce.
Si rifletteva sul tema nel canto, nella preghiera, nel gioco, nel mimo, nella festa, anche nel giorno del pellegrinaggio a un Santuario Mariano.
Abbiamo sperimentato, a metà del campeggio, un momento di disorientamento. Stranamente erano stati loro, i piccoli, a dare il segnale: facevano proteste, scenate di gelosia, si attaccavano reciprocamente.
Mariolino è riuscito a litigare con tutti, dal primo all’ultimo. E quando Pasquale, caro particolarmente a Don Vito, ha dato segni di impazienza e di regressione e ha chiesto decisamente di ritornare alla sua casa alloggio, è scattato l’allarme. Luisa, Don Vito e io ci siamo detti che ci doveva essere una ragione; e a sera abbiamo riunito i giovani. Con calma abbiamo fatto il punto della situazione e ci siamo chiesti cosa dovevamo fare di più, cosa mancava ai nostri piccoli?… E ci siamo impegnati a mettercela tutta, ad approfondire l’amicizia, ognuno di noi con uno di loro.
Da allora è ripresa la salita con maggiore unità ed untusiasmo; i ragazzi contenti, pieni di iniziativa,… e sempre più a gonfie vele nei giorni seguenti…
A sorpresa, al momento dell’invio, è stata «Maria» a salutarci, comparsa all’improvviso (la dolce Lucia le ha prestato la figura e la voce) recitando sommessamente il Magnificat e lasciando un dono ad ognuno di noi: il Rosario!… Dario e Carlo avevano preparato con fatica e con amore le rozze coroncine, con fagioli forati e una piccola croce fatta con due pezzetti di legno. Per ognuna una frase del Magnificat!…
Delia Mitolo
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.20, 1987
Sommario
Editoriale
Basta poco per non farci sentire soli di Mariangela Bertolini
Dossier: Il ruolo del padre
Sono il papà di Francesca... di Antonio
Il padre assente di E. C.
Con suo padre di Redazione
Umili gesti che sono tutta una vita di Anna Cece
Quanti sanno...? di Paolo Bertolini
Atteso a braccia aperte: domande al medico M.O. Réthoré
Altri articoli
Il Chicco — (casa-famiglia dell'Arche) di Anna Cece
Che cosa è l'Arche
Rubriche
Dialogo aperto
Vita di Fede e Luce
Libri
Handicap e comunità cristiana di Renato Rondini
A nome di tutti i miei di Jean-Pierre Goetghebeur